Fumo e uso sostanze psicoattive? Sintomi della povertà e dello svantaggio sociale

Il fumo sta diventando sempre più un tratto di differenziazione socio-economica, qualcosa che si accompagna e caratterizza uno status di classe, di livelli di istruzione, di disponibilità di beni. Allo stesso tempo, il fumo di tabacco è la principale causa delle disuguaglianze nella salute tra individui, e quindi anche prima causa nelle differenze di mortalità tra le classi sociali (Mackenbach et al., 2008; Forster e Jones 2001).

 

Livelli di reddito e uso di tabacco

Fernand Léger, Il Meccanico. 1920

Le ricerche epidemiologiche a livello internazionale dimostrano che negli ultimi venti anni circa, i fumatori dei paesi occidentali industrializzati delle classi medio-alte hanno smesso di fumare ad un ritmo crescente e molto più elevato del tasso di diminuzione del fumo nei ceti meno abbienti e on un più basso livello di istruzione. Peretti-Watel e collaboratori (2009) ad esempio hanno rilevato che in Francia dal 2000 al 2007, dirigenti e professionisti hanno ridotto il fumo del 22%. Nello stesso periodo i lavoratori manuali hanno ridotto l’abitudine al fumo dell’11%, e i disoccupati hanno mantenuto sostanzialmente gli stessi livelli di consumo di tabacco. Il tasso sembra poi correlare notevolmente con alloggi angusti incorporati all’interno di a quartiere stressante, rumoroso e deprivato.

Al contrario, un reddito personale più elevato riduce il tasso di uso di tabacco (Goel 2008). Il livello di reddito incide anche sull’efficacia relativa degli interventi di riduzione del fumo basati sulla politica dei prezzi. In modo apparentemente paradossale, il costo più alto del tabacco sembra essere un deterrente al fumo per chi ha redditi più bassi (Goel 2008). La stessa ricerca di Goel indica che, più logicamente, invece, alzare i prezzi del tabacco porta a un maggior decremento dell’uso nelle persone con livelli medio-alti di istruzione rispetto alle persone meno istruite.

I ragazzi nati in famiglie a basso reddito hanno maggiori probabilità di iniziare a fumare, in parte perché sono cresciuti in un ambiente in cui è più diffuso il fumo rispetto alle famiglie a reddito più elevato. Ed è noto che il fumo nei genitori aumenta il possibilità degli adolescenti di diventare fumatori e abbassa anche l’età inizio del fumo.

 

Livelli di istruzione e consumo di tabacco

Forster e Jones (2001 hanno rilevato che le persone con occupazioni più elevate e quelle con maggiori livelli di istruzione fumano per un tempo più breve. Negli individui con livelli di istruzione medio-alta l’abitudine del fumo dura il 25,5% in meno rispetto a quella che caratterizza le persone con livelli di istruzione medio-bassa. Questo generalmente conferma gli studi di Douglas (1998) e Tauras e Chaloupka (1999).

Più alto è il livello di educazione, minore è il tasso di fumo. Goel (2008) ha dimostrato che nel 2002, la prevalenza del fumo per la popolazione con un’istruzione superiore alle superiori negli Stati Uniti era il 17,49%, mentre la prevalenza della popolazione senza un’istruzione superiore era del 32,95%. Gli individui meno istruiti peraltro sono anche meno consapevoli dei rischi associati al fumo Goldenberg et al. (2014).

Clark et al. (2006) hanno riscontrato che scarse aspettative di successo e benessere nei quindicenni correlano con l’inizio dell’abitudine al fumo, il mancato completamento del liceo e la mancanza di esercizio fisico. Le scarse aspettative di successo e benessere dipendono circolarmente dai bassi redditi e livelli di salute fisico o psicologica delle famiglie, dall’emarginazione. I ragazzi che vivono queste condizioni non riescono a investire nella crescita personale o non sono orientate all’impegno verso lo studio. Allo stesso tempo questi ragazzi sono generalmente più impulsivi e più propensi a consumare beni pericolosi, associati a una gratificazione immediata ma associata a svantaggi o danni a medio o lungo termine, come le sostanze psicoattive (Clark et al. 2006).

 

Povertà come trappola per la dipendenza da tabacco e altre patologie legati a cattivi stili di vita

Considerati questi dati è evidente che la povertà costituisce una specie di trappola che induce al fumo (Peretti-Watel, P., Seror, V. et al. 2009) e che il fumo sta sempre più diventando un altro dei tratti caratterizzanti della povertà e dell’emarginazione. Ciò sembra valere anche per l’obesità, il consumo di alcol, le malattie da dismetabolismo come il diabete di tipo II, i disturbi cardiovascolari come l’infarto e più in generale per tutte le patologie causate da cattivi stili di vita. In certo modo quindi le malattie maggiormente prevenibili attraverso una migliore autoregolazione, una vita più attenta e attiva stanno diventando sempre più le patologie dei gruppi sociali più svantaggiati, soprattutto perché in questi gruppi è più diffusa la propensione al rischio e l’impulsività.

Ma perché le differenze nello status socioeconomico incidono così tanto nell’esposizione al rischio, nella costruzione degli stili di vita potenzialmente patogeni?

Status socioeconomico e propensione per i comportamenti associati a ricompense immediate ma patogene

Jacob Lawrence, This is Harlem, 1943

Lo status socioeconomico di svantaggio e marginalità alimenta, razionalmente, basse aspettative verso il futuro. E per un individuo che nutre scarse speranze di affermazione, benessere, miglioramento della propria condizione materiali e sociale è in qualche modo più razionale e vantaggioso perseguire gratificazione e ricompense immediate, sebbene associate a svantaggi a medio-lungo termine, che investire sacrificio, rinunce e impegno per un futuro che verosimilmente somiglierà al disagevole presente. In termini microeconomici si potrebbe dire che in queste condizioni i soggetti percepiscono giustamente un’utilità marginale maggiore, maggiori benefici, nell’investimento sul presente anche quando questo investimento è potenzialmente causa di un amplificarsi degli svantaggio socioeconomici o di una malattia (si veda questo approfondimento sulla “razionalità” dell’uso di sostanze). In questo senso, bere alcol, fumare, usare sostanze psicoattive può garantire una forma di beneficio in termini di sollievo da stress cronico, di momenti di gratificazione pure disturbante, che nell’orizzonte temporale delle persone svantaggiate risulta superiore alla misura immaginabile dei vantaggi futuri. Per le stesse ragioni, oltre agli altri ostacoli socioeconomici, gli individui con minori aspettative di successo futuro tendono anche a essere più propensi a lasciare presto la scuola per avere una forma di reddito per acquistare beni, come ad esempio una macchina. In questo modo ottengono un beneficio, un’utilità immediata a scapito dell’investimento nell’istruzione, che potrebbe invece garantire un’utilità futura. In questo modo si alimenta peraltro il circolo dell’impulsività e dello svantaggio sociale con le correlate ricadute sulla salute e sul consumo di tabacco, alcol e sostanze psicoattive.

 

La percezione del futuro e il consumo di sostanze

Le disparità economiche e sociali dunque incidono pesantemente nell’uso del tabacco e delle altre sostanze psicoattive e nelle disuguaglianze sanitarie (Townsend et al., 1994. ). Per queste ragioni le politiche di prevenzione, controllo e cura dei disturbi di uso delle sostanze e delle dipendenze dovrebbero tenere maggiormente in conto degli aspetti economici, culturali, dei fattori demografici e anche urbanistici che concorrono a determinare i comportamenti degli individui e soprattutto il valore che danno al loro futuro. Sarebbe necessario rimuovere le cause presenti di svantaggio economico, materiale, ambientale, culturale e così alimentare la speranza nel domani. Perché giustamente nell’autoregolazione, nel controllo dell’impulsività, della propensione alle ricompense immediate e della ricerca del rischio ciò che forse conta di più è il futuro che a un individuo è concesso di immaginare.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

Clark, K. et al. (2006). The role of low expectations in health and education investment and hazardous consumption. Canadian Journal of Economics, 39(4), 1151–1172.

Douglas, S. (1998). The duration of the smoking habit. Economic Inquiry, 36, 49–64.

Forster, M., & Jones, A. M. (2001). The role of tobacco taxes in starting and quitting smoking: Duration analysis of British data. Journal of the Royal Statistical Society Series A (Statistics in Society), 164(3), 517–547.

Goldenberg, M., Danovitch, I. et al. (2014). Quality of life and smoking. The American Journal on Addictions, 23(6), 540–562.

Goel, R. K. (2008). Smoking prevalence in the United States: Differences across socio-economic groups. Journal of Economics and Finance, 32, 195–205

Mackenbach, J. P., Stirbu, I. et al. (2008). Socioeconomic inequalities in health in 22 European countries. New England Journal of Medicine, 358(23), 2468–2481.

Peretti-Watel, P., Constance, J. et al. (2009). Cigarettes and social differentiation in France: Is tobacco use increasingly concentrated among the poor? Addiction, 104, 1718–1728.

Peretti-Watel, P., Seror, V. et al. (2009). Poverty as a smoking trap. International Journal on Drug Policy, 20(3), 230–236.

Tauras, J. A., & Chaloupka, F. J. (1999). Determinants of smoking cessation: An analysis of young adult men and women. Working Paper 7262. National Bureau of Economic Research, Washington, DC.

Townsend, J., Roderick, P. et al. (1994). Cigarette smoking by socioeconomic group, sex, and age: Effects of price, income and health publicity. British Medical Journal, 309(6959), 923–927.

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One Comment

  • Ho visto solo adesso questa interessante rassegna sul rapporto fra tabagismo e povertà. La giornata mondiale del “no tobacco day” del 2017 era dedicata specificatamente al tema sollevato dal Prof. Canali, con lo slogan coniato dall’OMS: “SAY NO TO TOBACCO: PROTECT HEALTH, REDUCE POVERTY AND PROMOTE DEVELOPMENT”. Anche in Italia il tema è stato eviscerato nel corso del XIX Convegno nazionale sul tabagismo e servizio sanitario nazionale all’Istituto Superiore della Sanità il 31 Maggio 2017. Ci sarebbe un mondo di considerazioni sul tema che investe l’impulsività, le esperienze avverse nell’infanzia (altro tema importante spesso legato a situazioni di svantaggio socio economico ed ambientale), al dropout scolastico, alla pratica di sesso precoce e non protetto e gravidanze indesiderate, etc. Ma il punto che vorrei sottolineare è un problema di sanità pubblica, tutta Italiana: appurato che chi fuma è uno svantaggiato sul piano socio-economico, ma anche un vulnerabile sul piano dell’impulsività, delle malattie psichiatriche, delle patologie del comportamento (stili di vita non adeguate) perché LA CURA DEL TABAGISMO qui in Italia costa così tanto, senza che NESSUNO né dei medici, né tanto meno dei politici, sollevi questa questione? E’ possibile che la maggiore causa EVITABILE di malattia e di morte in Italia (e altrove) non preveda una presa in carico terapeutico gratuito? Almeno per fascia di reddito? Sappiamo bene la risposta….. Daniel L. Amram Pontedera

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