Emozioni: lingue diverse portano concetti e vissuti emotivi differenti

Mel Bochner, Amazing, 2018

La serie TV ‘Lie to me’

Nel 2009 fa la sua prima comparsa sul piccolo schermo la serie televisiva ‘Lie to Me’, prodotta da Imagine Television – 20th Century Fox Television, e incentrata sulla figura carismatica del dottor Cal Lightman, consulente e studioso delle emozioni umane. Nel corso della serie, Lightman usa la sua abilità fuori dal comune di decifrare espressioni facciali e indicatori fisiologici per identificare la verità o la menzogna negli atteggiamenti delle persone.

La teoria di Ekman

La teoria accademica alla base della serie televisiva ‘Lie to me’ è che le emozioni e le loro espressioni facciali siano universali, innate per tutti gli esseri umani. Nella finzione della serie è dunque possibile, attraverso vari metodi, riuscire a “leggere” con certezza le emozioni altrui.

Ma nella realtà è possibile essere così precisi? Le emozioni sono davvero ‘universali’?

Nel 1972, Paul Ekman, psicologo statunitense tra i maggiori studiosi dei processi emotivi, definì l’esistenza di 6 emozioni primarie nell’essere umano:

  • Gioia
  • Tristezza
  • Rabbia
  • Paura
  • Sorpresa
  • Disgusto

Secondo la sua teoria queste emozioni sono indipendenti dalla cultura, dalla storia o dalla personalità di ciascuno e si manifestano allo stesso modo in ognuno di noi. Ekman, osservando le espressioni facciali di una tribù isolata in Papua Nuova Guinea, concluse che ogni emozione primaria si manifesta attraverso micro-contrazioni e distensioni degli stessi muscoli del volto. Non importa, dunque, se veniamo dall’Italia, dal Sudan, dall’India o dalla Nuova Guinea: le espressioni sono simili e si manifestano allo stesso modo.

La teoria di Ekman diede spazio alla teoria universale delle emozioni secondo la quale questi processi emotivi primari non solo avrebbero le stesse espressioni facciali e le medesime manifestazioni comportamentali, ma deriverebbero da vissuti soggettivi analoghi e equivalenti semantiche, vale a dire stesse modalità di concettualizzazione e rappresentazione linguistica.

Il dibattito

Il dibattito scientifico sull’universalità dei processi emotivi è assai vivace. Come si deduce dalla teoria di Ekman, la visione biologica-evoluzionistica sostiene l’esistenza di un comune repertorio emotivo nella specie umana. Secondo queste correnti di pensiero la condivisa universalità delle emozioni sarebbe in grado di superare le diversità culturali delle comunità umane. La prospettiva antropologico-culturale, al contrario, enfatizza il ruolo dei valori, dei simboli e della cultura nella costruzione dei codici emotivi.

La ricerca

Sebbene anche l’approccio naturalizzato abbia riconosciuto l’esistenza di caratterizzazioni culturali nella comune matrice emotiva della specie umana, le più recenti ricerche scientifiche suggerirebbero che la variazione interculturale nel modo in cui le persone pensano alle emozioni, e quindi vivono soggettivamente i diversi stati emotivi, abbia dimensioni davvero rilevanti. Lo studio più vasto e recente condotto in tal senso è quello realizzato dall’Università del North Carolina e dal Max Planck Institute e pubblicata dalla rivista Science[i]: “Emotion semantics show both cultural variation and universal structure”.

La ricerca ha combinato gli elenchi lessicali di 2.474 lingue. Utilizzando un approccio computazionale, il gruppo di studio ha identificato una serie di modelli di “colessificazione” relativi alle emozioni. Per colessificazione i linguisti intendono quel un fenomeno per cui le lingue usano una stessa parola per esprimere concetti diversi ma semanticamente correlati. Un caso di colessificazione è, ad esempio, la parola inglese fly che si riferisce sia all’atto di volare che all’insetto mosca. Un altro caso è quello la parola italiana tempo, che noi usiamo per intendere la durata ma anche le condizioni meteorologiche. Relativamente alle parole che rappresentano le emozioni un interessante caso di colessificazione è quello della lingua persiana che usa la parola-forma ænduh per esprimere sia il concetto di dolore che quello di rimpianto, cosa che non avviene ad esempio nelle lingue europee.

Confrontando le colessificazioni nelle varie lingue è possibile trovare preziose indicazioni sui meccanismi dei processi cognitivi, sul rapporto tra linguaggio e pensiero, sull’evoluzione del linguaggio umano e sui rapporti e sulle influenze semantiche e psicologiche tra le diverse lingue. Non solo: osservando questi fenomeni è possibile individuare le differenze tra i modi in cui le diverse lingue codificano il mondo, classificano e rappresentano gli stati mentali e quindi permettono agli individui di viverli, di pensarli e di conseguenza di formulare giudizi, immaginare valori e di agire di conseguenza.

Costruendo enormi reti di colessificazioni, questa ricerca ha rivelato che esiste una consistente variazione nel modo in cui le diverse lingue concettualizzano le emozioni. Per esempio, le lingue nakh-daghestane del Caucaso vedono il dolore come simile alla paura e all’ansia, mentre le lingue tai-kadai del sud-est asiatico vedono il dolore come simile al rimpianto. I risultati della ricerca impongono perciò un profondo ripensamento della prospettiva naturalizzata e della relativa idea universalistica della semantica delle emozioni.

I dati, tuttavia, indicano che le diversità della semantica delle emozioni non sono totalmente prive di coerenza e ordine. Lo studio, infatti, ha accertato che i concetti delle diverse emozioni sono anche strutturati in base al loro carattere edonico – al fatto cioè di essere piacevoli o sgradevoli – e al loro livello di attivazione – vale a dire se sono eccitanti o calmanti. Questo chiaramente indica che esistono elementi di base comuni dell’esperienza emotiva legati a processi biologici e affettivi universali.

La ricerca, inoltre, ha evidenziato che le famiglie linguistiche in stretta prossimità geografica condividono più punti di vista simili sull’emozione rispetto alle famiglie linguistiche più lontane. Una probabile ragione di ciò è che la comune ascendenza e il contatto storico tra questi gruppi ha portato a una comprensione condivisa delle emozioni.

L’importanza del linguaggio

È quindi fondamentale tenere conto della cultura di provenienza e della specificità linguistica ed etnica quando si giudicano i comportamenti emotivi altrui. Il linguaggio dà forma al pensiero e struttura il mondo che abitiamo. Per questo motivo il linguaggio fornisce la sostanza delle valutazioni soggettive, delle motivazioni individuali ad agire in un certo modo. Nel Tractatus logico-philosophicus[ii] il filosofo viennese Ludwig Wittgenstein ha scritto:

“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” (5.6), e “Che il mondo è il mio mondo si mostra in ciò, che i limiti del linguaggio (del solo linguaggio che io comprendo) significano i limiti del mio mondo” (5.62).

La stretta relazione del linguaggio con le emozioni peraltro incide anche nella varietà dei processi emotivi, nella capacità di regolazione emotiva e nelle differenze di comportamento tra individui che parlano la stessa lingua ma hanno competenze linguistiche disuguali, diversi stili narrativi, dizionari emotivi personali di differente profondità e vastità. Per questo il lavoro sul lessico emotivo dovrebbe essere “La” priorità educativa, soprattutto in questo periodo di incontro/scontro tra culture, in questo tempo in cui le dinamiche irrazionali personali (con le loro profonde e prepotenti incoerenze) e le correnti dei sentimenti collettivi sono tanto esaltate e allo stesso tempo così diffusamente manipolate.

[i] Joshua Conrad Jackson, Joseph Watts, Teague R. Henry, Johann-Mattis List, Robert Forkel, Peter J. Mucha, Simon J. Greenhill, Russell D. Gray  and Kristen A. Lindquist, “Emotion semantics show both cultural variation and universal structure”, Science, vol.366, num. 6472, pg 1517-1522, 2019, doi: 10.1126/science.aaw8160

[ii] Tractatus Logico-Philosophicus, tr. F.P. Ramsey and C.K. Ogden. Routledge & Kegan Paul, London, 1922, trad. it. a cura di A.G. Conte. Einaudi, Torino, 1989.

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Stefano Canali

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