Vergogna, depressione, dipendenze. La cura dell’auto-compassione

Tutti purtroppo abbiamo avuto episodi di vergogna e anche di umiliazione nelle nostre vite. Questo tipo di vissuti emotivi si manifestano quando sentiamo di aver fatto qualcosa di sciocco, ingenuo, sbagliato, o talora anche di moralmente riprovevole. Non si tratta soltanto dell’atto di fare qualcosa di scorretto. La vergogna si manifesta per il modo in cui giudichiamo l’azione.

 

Funzioni/disfunzioni della vergogna e basi cerebrali

Masaccio, La cacciata dei progenitori dall’Eden, 1424-25, Particolare

La vergogna è quindi una forma di giudizio e per certi versi una guida per orientare i nostri futuri comportamenti. Livelli funzionali di vergogna sono associati all’autocontrollo, all’inibizione di comportamenti che potrebbero danneggiare gli altri o i beni pubblici. Gli studi sperimentali di visualizzazione in vivo delle attivazioni cerebrali peraltro indicano che la vergogna recluta nel cervello l’area della corteccia prefrontale dorsolaterale, una regione cruciale nel controllo volontario del comportamento[i]. Un adeguato sentimento di vergogna è così un fondamentale ingrediente della dimensione etica. La vergogna può promuovere il riscatto e la riparazione di una colpa e la previsione del vissuto di vergogna può prevenire in un individuo l’attuazione di qualcosa di deplorevole. In alcuni casi e per alcuni individui vulnerabili o per soggetti con storie di vita difficili e traumi ripetuti i sentimenti di vergogna possono essere dirompenti e tendono a restare nel sottofondo emotivo che accompagna tutte le esperienze e le relazioni quotidiane.

La ricerca scientifica sembra suggerire che spesso questi individui hanno vissuto un’infanzia dentro a un ambiente permeato dalla vergogna. Nelle famiglie disfunzionali in cui uno o entrambi i genitori presentano disturbi del comportamento come la depressione, l’ansia, la dipendenza è facile per i bambini vedersi come non amati, indegni, inferiori, inadeguati. In questo caso la loro intera persona diventa causa cronica della vergogna, non alcune loro azioni particolari. Il costante sminuimento, le critiche, l’incuria accrescono questo senso di inferiorità e vergogna che diventa il nucleo profondo del modo in cui l’individuo vede se stesso. Questa condizione alimenta a sua volta l’isolamento e così la paura, il senso di inadeguatezza avviando così un circolo vizioso che amplifica il disagio di questo sentimento e intrappola la persona dentro a un senso di ineluttabile mortificazione.

 

Le patologie associate alla vergogna cronica, vergogna di sé, vergogna tossica: meccanismi cerebrali e fisiologici

Dana Schultz, Shame, 2017

Questa forma di vergogna profonda, interna, per se stessi non per le proprie azioni, è una condizione tossica a tutti gli effetti e per varie ragioni neurobiologiche. La vergogna attiva l’amigdala, un centro profondo del cervello che rappresenta il cuore del sistema cerebrale emotivo e quindi allo stesso tempo il principale interruttore delle reazioni fisiologiche dello stress. Lo stress si accompagna a ogni emozione e le risposte fisiologiche dello stress, come l’aumento del battito cardiaco, della pressione, il rilascio di adrenalina, di cortisolo e così via servono a sostenere i comportamenti utili ad affrontare gli stimoli associati all’emozione. Ma queste risposte sono funzionali se l’emozione e le sue attivazioni si risolvono in un dato arco temporale. Se invece l’emozione che alimenta lo stress resta attiva a lungo, diventa cronica, allora queste risposte possono innescare dinamiche fisiopatologiche, provocare danni e lesioni. Ad esempio una più elevata e persistente presenza di cortisolo e adrenalina nel cervello inducono lo sfoltimento dei circuiti neuronali e la morte dei neuroni sulla corteccia prefrontale, l’area che media le funzioni esecutive, dell’autocontrollo e della capacità di autoregolazione nella specie umana. Coerentemente a questi processi, uno studio sperimentale ha evidenziato che gli adolescenti inclini alla vergogna presentano assottigliamento in aree prefrontali importanti nelle funzioni esecutive, come la corteccia prefrontale orbitofrontale[ii]. L’assottigliamento della corteccia prefrontale è anche associato alla depressione.

 

Ritiro e isolamento sociale provocano la deprivazione di stimoli per il cervello e la diminuzione della sua efficienza e della neuroplasticità

Il ritiro sociale e l’isolamento degli individui che vivono un cronico sentimento di vergogna e la vergogna determina un progressivo impoverimento degli stimoli materiali, percettivi, comportamentali, emotivi, cognitivi e sociali. Questi stimoli sono tutto ciò che alimenta l’efficienza delle funzioni cerebrali, dei meccanismi e dei circuiti da cui dipendono tutte le funzioni psicologiche. Il cervello di un individuo che vive in un ambiente psicologicamente impoverito perde gradualmente le sue capacità neuroplastiche e va incontro così a un processo di deterioramento, che a sua volta rinforza proprio l’autoesclusione, l’autoisolamento e dinamiche depressive sempre più forti e stabili[iii].

 

La cronicizzazione dello stress causato dalla vergogna ipersensibilizza i meccanismi cerebrali che attivano la risposta allo stress: il cervello impara a reagire a stimoli stressanti sempre più bassi e in modo sempre più potente e prolungato

La cronica attivazione dei meccanismi cerebrali dello stress indotta nell’infanzia dalla vergogna determina anche la loro ipersensibilizzazione. È come se attraverso il loro persistente esercizio questi meccanismi diventassero sempre più “reattivi, potenti, efficienti e resistenti”, un po’ come succede ai muscoli quando costantemente allenati. Così anche piccoli stimoli emotivi in questi individui finiscono per innescare risposte dello stress acute e prolungate, sostenendo un circolo patologico che si autoalimenta. Questa spirale è stata illustrata anche in un altro articolo del sito Psicoattivo sul legame tra traumi nell’infanzia e disturbi psicologici da adulti.

I correlati fisiologici e patologici della vergogna, specialmente le lesioni cerebrali di cui parlavamo sopra, includono il rilascio di citochine proinfiammatorie che scatenano una risposta infiammatoria e il relativo indebolimento delle funzioni del sistema immunitario[iv].

 

Vergogna, dalla depressione alla dipendenza

La depressione associata alla vergogna cronica purtroppo non raramente induce forme di abuso di alcol e altre sostanze psicoattive (droghe illegali ma anche ansiolitici) come tentativo disfunzionale di automedicazione. Queste sostanze hanno infatti la capacità di attenuare gli stati disforici e mascherare così, temporaneamente, la penosità della loro condizione. Il prezzo di questa strategie di autocura talora è l’attaccamento patologico alla sostanza; un attaccamento prodotto dalla rottura degli equilibri neurochimici, dal cervello che tara un livello di funzionamento accettabile sulla presenza della sostanza sino a non poterne fare a meno.

Ma l’uso di alcol e droghe crea nuovi e anche più profondi sentimenti di vergogna. L’attaccamento alla sostanza abbassa ulteriormente l’autostima e contribuisce a sostenere una percezione di sé come inferiore e incapace. Sono sentimenti devastanti di cui spesso le persone intorno, anche le più care, restano inconsapevoli. Chi le vive infatti si sente indegno di aiuto e frequentemente ha ogni cura a mantenerli segreti perché è convinto che accrescerebbero la vergogna, la disistima di sé, i sensi di colpa a livelli che renderebbero inaccettabile la vita stessa.

 Questa caduta a spirale può essere fermata solo da un intervento a più livelli e con l’aiuto degli altri, di professionisti specializzati.

 

Uscire dalla vergogna

Un primo passo è anche riconoscere la vergogna e ristrutturare il vissuto di questo sentimento. È fondamentale riconoscere ed essere consapevoli di quando la vergogna si affaccia nei pensieri. Ma soprattutto si deve imparare a vivere la vergogna solo come conseguenza di azioni che si giudicano sbagliate e non come tonalità emotiva che contraddistingue la percezione di sé.

 Altro passo essenziale per rompere il cerchio patologico della vergogna tossica è accettare se stessi. Percepirsi come persona degna è essenziale per uscire dalla depressione e per il recupero da una dipendenza. Attraverso la terapia, si potrebbe imparare a vedere valore e dignità in se stessi e persino scoprire e rimuovere le cause della vergogna.

 

L’autocompassione come strategia per risolvere la vergogna e le sue componenti

Sono molte le strategie che possono essere usate per affrontare e trattare la vergogna. In questo articolo proviamo a illustrare la pratica dell’autocompassione, per addestrare e allenare la capacità di provare sentimenti di comprensione e vicinanza per le proprie sofferenze, di risvegliare le intenzioni di aiutare se stessi a risollevarsi. L’autocompassione non significa autogiustificazione, o autocommiserazione. Nelle scienze comportamentali l’autocompassione è un sentimento operazionalizzato da tre principali componenti: la gentilezza, il riconoscimento del carattere umano, la consapevolezza.

 

La componente della gentilezza

La gentilezza significa essere benevoli e comprensivi verso se stessi piuttosto che avvelenarsi nell’autocritica e nel disprezzo o autoflagellarsi. Essere gentili e comprensivi con se stessi come si riesce spesso a essere con gli altri. Molti individui che soffrono di vergogna di sé sanno essere compassionevoli e umani nei confronti degli altri pure se questi si sono macchiati di gravi colpe. Non riescono tuttavia a fare pace con se stessi e continuano a biasimarsi, a infliggersi castighi severi.

 

La componente del riconoscimento del carattere umano dell’imperfezione e della sofferenza

Il riconoscimento del carattere umano, universale dei limiti, degli errori e della sofferenza. Questa componente cognitiva dell’autocompassione permette di uscire dall’autoisolamento, di normalizzare la condizione del dolore e della vergogna. Spesso le persone che soffrono nella vergogna cronica assolutizzano il loro sentimento e i loro comportamenti. Sono portati a credere che poche altre persone o nessuno ha subito e subisce il loro dolore, ha colpe ed errori commisurabili a quelli di cui si sente responsabile. Chi soffoca completamente immerso nel dolore della vergogna finisce così per sentirsi solo, diverso, anormale e per questo ancor più meritevole di riprovazione. La comprensione del carattere umano di queste condizioni svela invece che purtroppo il dolore è un elemento imprescindibile nella vita di tutti e che l’imperfezione è qualcosa che contribuisce a renderci unici. Questa prospettiva più vasta e impersonale favorisce un atteggiamento più umano e gentile verso noi stessi, rende nonché la disposizione ad aiutare se stessi come sappiamo fare per gli altri, perché come gli altri, siamo umani, fallibili, vulnerabili, reduci da qualche ferita, alle prese col dolore.

 

La componente della consapevolezza, dell’approccio mindfulness

La consapevolezza, l’approccio mindfulness verso la propria sofferenza e la propria vergogna significa guardare a questi sentimenti facendo un passo indietro. Significa adottare uno sguardo metacognitivo: uscire da essi, osservarli non reattivamente, per quello che sono, coscienti che non coincidono con tutto il nostro essere. Questa non identificazione erode l’intrusività di questi stati d’animo e riduce così la focalizzazione talora ossessiva su di essi e il connesso perpetuo rimuginio, fenomeni che amplificano in modo esponenziale il disagio e la vergogna.

La ricerca sperimentale suggerisce che le capacità di autocompassione correlano con un maggiore benessere psicologico e sono associate a diverse tratti di forza e resilienza[v] come l’ottimismo, la curiosità, l’intelligenza emotiva[vi], l’iniziativa personale, la felicità[vii]. Coerentemente le indagini empiriche dimostrano che gli individui con meno attitudine all’autocompassione vanno maggiormente incontro a disturbi del comportamento[viii], come dipendenza[ix], depressione e disturbi d’ansia[x].

 

Esercizi e pratiche per coltivare l’autocompassione

In questi ultimi anni numerose ricerche hanno dimostrato che è possibile coltivare l’autocompassione attraverso specifici esercizi cognitivi e anche da diverse tecniche adattate dalle pratiche buddhiste. Pratiche rese completamente secolari, depurate da istanze religiose o metafisiche, come la pratica della gentilezza amorevole e la pratica della compassione e dell’autocompassione. Le indagini sperimentali hanno chiaramente dimostrato che la pratica dell’autocompassione è uno strumento efficace per diversi disturbi psicologici, tra cui appunto depressione, ansia e dipendenze. Peraltro è stato sperimentalmente dimostrato che queste pratiche riescono ad attivare il sistema cerebrale della ricompensa. Ciò vale in particolare il suo fulcro, il nucleo accumbens, la struttura sequestrata dall’azione delle sostanze e compromesso dalla depressione. Il sistema cerebrale della ricompensa è responsabile dell’esperienza del piacere, della gratificazione. Allo stesso tempo questo sistema media la motivazione ad agire per raggiungere obiettivi desiderati, per vivere cioè una vita orientata da scopi e accompagnata dal piacere e dalla motivazione: ciò che può esser detta una vita soddisfacente e magari felice.

Nei prossimi articoli illustrerò alcune tecniche e alcune pratiche per lo sviluppo dell’autocompassione che sono passate al vaglio della ricerca scientifica. Degli studi sperimentali sui benefici della compassione ho già parlato in un precedente articolo su Psicoattivo: La compassione come medicina.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

[i] Bastin C, Harrison BJ, Davey CG, Moll J, Whittle S. Feelings of shame, embarrassment and guilt and their neural correlates: A systematic review. Neurosci Biobehav Rev. 2016 Dec;71:455-471. doi: 10.1016/j.neubiorev.2016.09.019.

[ii] Whittle S, Liu K, Bastin C, Harrison BJ, Davey CG. Neurodevelopmental correlates of proneness to guilt and shame in adolescence and early adulthood. Dev Cogn Neurosci. 2016 Jun;19:51-7. doi: 10.1016/j.dcn.2016.02.001.

[iii] Szentágotai-Tătar A, Chiș A, Vulturar R, Dobrean A, Cândea DM, Miu AC. Shame and Guilt-Proneness in Adolescents: Gene-Environment Interactions. PLoS One. 2015 Jul 31;10(7):e0134716. doi: 10.1371/journal.pone.0134716.

[iv] Slavich GM, O’Donovan A, Epel ES, Kemeny ME. Black sheep get the blues: a psychobiological model of social rejection and depression. Neurosci Biobehav Rev. 2010;35(1):39–45. doi:10.1016/j.neubiorev.2010.01.003

[v] Neff, K. D., Rude, S. S., & Kirkpatrick, K. L. (2007). An examination of self-compassion in relation to positive psychological functioning and personality traits. Journal of Research in Personality, 41(4), 908–916. doi.org/10.1016/j.jrp.2006.08.002

[vi] Heffernan M, Quinn Griffin MT, Sister Rita McNulty, Fitzpatrick JJ. Self-compassion and emotional intelligence in nurses. Int J Nurs Pract. 2010 Aug;16(4):366-73. doi: 10.1111/j.1440-172X.2010.01853.x.

[vii] Hollis-Walker, L., & Colosimo, K. (2011). Mindfulness, self-compassion, and happiness in non-meditators: A theoretical and empirical examination. Personality and Individual Differences, 50(2), 222-227. doi.org/10.1016/j.paid.2010.09.033

[viii] Barnard, L. K., & Curry, J. F. (2011). Self-compassion: Conceptualizations, correlates, & interventions. Review of General Psychology, 15, 289–303.

[ix] Phelps CL, Paniagua SM, Willcockson IU, Potter JS. The relationship between self-compassion and the risk for substance use disorder. Drug Alcohol Depend. 2018 Feb 1;183:78-81. doi: 10.1016/j.drugalcdep.2017.10.026.

[x] MacBeth, A., & Gumley, A. (2012). Exploring compassion: A meta-analysis of the association between self-compassion & psychopathology. Clinical Psychology Review, 32, 545–552.

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