Buoni propositi di cambiamento a inizio anno: come si realizzano e come falliscono

David Alfaro Siqueiros, Nuestra Imagen Actual, 1947

Per molte persone il nuovo anno inizia con i buoni propositi: smettere di fumare, fare più esercizio fisico, perdere meno tempo sui social, mangiare meno dolci e più verdure, smettere di rimandare le cose da fare, dimagrire, passare più tempo coi propri figli, stare e parlare di più coi propri genitori e così via.

La gran parte di questi buoni propositi resta tale e si ripropone l’anno successivo. Tutti noi abbiamo sperimentato la dura legge delle abitudini, la loro testarda persistenza. Ci siamo biasimati per questo, dando la colpa alla vacuità delle intenzioni, alla debolezza della nostra forza di volontà e questo ha minato ulteriormente le residue possibilità di farcela.

La ricerca scientifica sul comportamento umano dimostra tuttavia che il fallimento delle buone intenzioni è un fatto universale, non bisogna dunque attribuirsi debolezze di volontà che altri non hanno.

Una ricerca su un campione di circa 5000 persone condotta alcuni anni fa da Richard Wiseman ha dimostrato che il tasso di fallimento delle intenzioni fissate a inizio anno sfiora il 90%. Questa universalità del fallimento suggerisce che siano in gioco specifiche debolezze nei meccanismi della mente umana da cui dipendono la modificazione delle abitudini, i processi di cambiamento e la motivazione a cambiare. Conoscendole meglio forse il fallimento delle buone intenzioni può essere evitato.

 

Formulare piani di cambiamento specifici, misurabili nel tempo, costruire inneschi d’azione

Le ricerche sperimentali sulle strategie più efficaci per tradurre in atto un’intenzione di cambiamento suggeriscono di deliberare intenzioni e piani di azione specifici. Si deve pensare esattamente al risultato che si vuole ottenere e in che modo. Ad esempio, invece di decidere che si farà più attività fisica si deve stabilire che si andrà a correre tre volte a settimana: lunedì, mercoledì e venerdì appena usciti dal lavoro al parco a metà strada tornando verso casa.

Questo tipo di piano crea di fatto un innesco all’azione. Si è presa la decisione di seguire un certo piano (correre) quando si incontra un certo innesco (uscita dal lavoro, lunedì, mercoledì, venerdì, incrocio del parco verso la strada di casa). Inneschi di azione come questi possono essere sorprendentemente efficaci nel motivare l’azione. Gli psicologi Sheina Orbell e Paschal Sheeran hanno studiato un gruppo di pazienti in Inghilterra con un’età media di 68 anni, durante la riabilitazione post intervento chirurgico di protesi d’anca o del ginocchio. Ad alcuni di loro è stato chiesto di impostare gli inneschi all’azione per i loro esercizi di riabilitazione, qualcosa come, “Farò la mia i miei esercizi per la gamba ogni mattina dopo aver bevuto la mia prima tazza di caffè.” L’altro gruppo non ha ricevuto alcun consiglio sull’innesco all’azione, solo la prescrizione “faccia questi esercizi una volta al giorno”. I risultati sono stati drammaticamente diversi. I pazienti che aveva usato gli inneschi d’azione hanno raggiungo la riabilitazione funzionale in meno della metà del tempo degli altri, in piedi e camminare da soli in 3,5 settimane, contro 7,7 settimane per gli altri. Gli psicologi hanno paragonato gli inneschi d’azione ad “abitudini istantanee” perché quello che fanno, in sostanza, è rendere automatico comportamento nel momento in cui si manifesta l’innesco, come accade normalmente per le abitudini.

 

Perseguire obiettivi realistici, frazionare gli obiettivi di cambiamento in sotto-obiettivi facilmente conseguibili

Impostare piani di cambiamento con obiettivi realistici e agevolmente conseguibili, per tappe e obiettivi intermedi e i cui progressi siano chiaramente misurabili e monitorabili nel tempo. Faremo di nuovo l’esempio del tornare a fare esercizio fisico dopo un anno di sedentarietà ma le strategie sono ovviamente applicabili ad altre intenzioni di cambiamento. Nel caso della corsa, si stabilirà che entro sei mesi, correndo mediamente 3 volte a settimana, si arriverà a completare un percorso di 6 km in 36 minuti. Si imposterà un programma di ripresa che dovrà prevedere per numerose prime uscite solo pochi minuti di corsa leggera alternata a camminata, aumentando molto molto gradualmente, anche di minuto in minuto ogni volta o ogni due volte che si esce a correre. Si stabilirà sul programma, ad esempio, che entro un mese si prevede di riuscire a correre due chilometri di seguito a un passo di 7 minuti al chilometro. Il mese successivo tre chilometri a un passo di 6’50” al chilometro e così via aumentando di mese in mese il chilometraggio e diminuendo il passo al chilometro (andando cioè gradualmente più veloci).

 

Fare leva sul rinforzo: mini obiettivi intermedi e rilevazione immediata dei progressi

Una serie di mini obiettivi intermedi nell’itinerario del cambiamento desiderato renderà più agevole conseguirli ogni volta. Ciò impedirà l’effetto frustrazione conseguente alla constatazione di non avercela fatta, di aver mancato l’impegno. Un effetto che fa crollare il livello di motivazione ad agire verso l’obiettivo desiderato e fa scivolare indietro verso la cattiva abitudine. E d’altra parte conseguire ognuno dei mini obiettivi sarà vissuto come un successo comportamentale e rinforzerà l’adesione al programma di cambiamento e le motivazioni a persistere. Il successo comportamentale attiva il sistema cerebrale della ricompensa e induce un rilascio di dopamina. Ciò favorisce l’apprendimento e la fissazione del comportamento e si trasforma in una spinta motivazionale che attiva il desiderio di ripeterlo quando si verificano nuovamente le condizioni in cui quel comportamento è avvenuto (orari, luoghi, pensieri, eventuale presenza di certe persone, ecc)

Tenere traccia visibile del successo e dei progressi. Appena tornati a casa mettere una bella e grande spunta colorata sul calendario nella casella del giorno in cui si è corso e annotare il tempo che si è corso. Annotare anche vicino i tempi con cui si è iniziato. È una forma di rinforzo. Il nostro comportamento e quindi anche il cambiamento è fondamentalmente modellato dai rinforzi, dalle gratificazioni, dalle ricompense che otteniamo a seguito delle nostre azioni. Un segnale che rimarca un successo comportamentale, visualizza e tiene traccia dei progressi è un incentivo molto robusto per persistere nel cambiamento, per motivare la continuità e trasformare l’azione in un’abitudine che non richiede più sforzo di volontà ma si avvia automaticamente in risposta a stimoli e segnali appresi.

 

Concentrarsi sulle ricompense, il piacere e i vantaggi ottenibili dal cambiamento

Sempre a proposito della ricompensa, gli studi sul cambiamento suggeriscono di concentrarsi sulle ricompense ottenibili col cambiamento piuttosto che sui danni eventualmente conseguenti alla persistenza nella cattiva abitudine che si vuole cambiare. Ad esempio, se si vuole smettere di fumare, piuttosto che fissarsi sui rischi di patologie polmonari o cardiovascolari, può essere più di aiuto fare un elenco dei vantaggi del non fumare più e metterlo in posti di casa o del lavoro in cui si passa molto tempo o che sono associati al fumo.

Il cervello risponde ai segnali di rischio e di pericolo con la reazione di lotta (più raramente) o fuga o ancora col freezing.In questo senso, tali segnali favoriscono comportamenti di ritiro, rifiuto, paralisi. Ciò spiega in parte perché sapere che un certo comportamento può avere conseguenze negative sulla salute, come ad esempio fumare o mangiare frequentemente cibi grassi, non ci impedisce di metterlo in atto o ripeterlo.

La motivazione al cambiamento è legata al piacere ai vantaggi e alle ricompense che si possono ottenere col nuovo cambiamento, alle emozioni positive associate a queste aspettative.

Per questo può essere utile immaginare, descrivere agli altri, scrivere per sé su un diario, rammentare spesso i benefici, la convenienza, l’utilità del cambiamento. Ad esempio, tornando al caso della corsa, si potrebbe fare un elenco scritto dei vantaggi ottenibili dallo sviluppare l’abitudine a correre almeno tre volte la settimana: essere più forti e più sani, mantenere attivo anche il cervello, produrre endorfine, endocannabinoidi e altri neuromodulatori del buonumore e della motivazione come la dopamina, stare all’aria aperta, socializzare coi compagni di corsa; ma anche essere più magri e poter indossare certi vestiti impossibili da portare se in sovrappeso, per chi fuma sentire un freno al desiderio di tabacco e così via. Questa lista potrebbe diventare anche un promemoria impostato sullo smartphone o sul pc in modo che appaia quotidianamente, magari assieme alle indicazioni dei progressi fatti sia nella corsa, sia negli altri parametri fisici o comportamentali che la corsa sta migliorando (il peso, il numero delle sigarette, ecc.).

 

Guardare alle ricadute come tappe necessarie di apprendimento delle nuove abitudini

Il cambiamento delle abitudini radicate è molto difficile, perché la trama delle azioni e degli stimoli ambientali e dei pensieri e delle emozioni che le innescano è letteralmente incorporata, scritta nei circuiti nervosi, nelle parti di memoria codificate nei processi ormonali, muscolari, cardiocircolatori.

Per questo, quando si cerca di cambiare un’abitudine si andrà inevitabilmente incontro a ricadute nei vecchi schemi di comportamento. Le dipendenze sono l’esempio paradigmatico di un’abitudine estrema che genera frequenti ricadute anche nel percorso di recupero.

Ma una ricaduta è parte di un percorso di apprendimento. In ogni caduta si impara che un certo tipo di comportamento, un certo ambiente, un certo pensiero rendono più facile scivolare nel comportamento che si vuole cambiare, ad esempio le abbuffate di carboidrati. Studi dimostrano che addestrando le persone ad assumere questa prospettiva si ottiene una più elevata resilienza e il mantenimento della motivazione al cambiamento e alla fine un più elevato tasso di successo nella ristrutturazione delle abitudini. D’altra parte anche per imparare a camminare siamo dovuti cadere tante volte.

 

Diventare consapevoli di quando e come non siamo nelle abitudini indesiderate e di quando e come mettiamo in atto le nuove

Altra strategia basata sul cambiamento di prospettiva, virata al positivo, è quella di non concentrarsi solo momenti in cui l’abitudine cattiva si manifesta oppure riappare, ma fare attenzione a quando non è presente o quando la evitiamo e ai momenti in cui riusciamo a mettere in atto il nuovo comportamento desiderato.

Ad esempio potremmo avere l’intenzione di ridurre l’uso dei social o dello smartphone perché abbiamo notato che ci porta via troppo tempo. Fissiamo l’obiettivo e facciamo affidamento sulla nostra volontà. Questa però fatica a manifestarsi proprio quando ci serve, quando ad esempio siamo stanchi o stressati, proprio quei momenti che favoriscono il riaffacciarsi delle abitudini indesiderate e ovviamente del perdersi sui social o sullo smartphone. Spesso poi non ci assiste l’attenzione. Siamo cronicamente distratti e il controllo di un’abitudine esige invece l’attenzione. Gli schemi comportali delle abitudini si avviano in modo automatico, riflesso. Essere disattenti significa lasciare che l’abitudine parta inconsapevolmente e poi non si riesca a inibirne la messa in atto.

Così potrebbe essere utile fare attenzione ai momenti in cui non usiamo lo smartphone e non ci perdiamo nei social. Cosa accade in quei momenti? Dove siamo? Con chi? Come ci sentiamo? Siamo riposati, rilassati, sazi o cosa altro? In quale periodo della giornata riusciamo a non sentire il desiderio di indulgere sullo smartphone? A che ora? Si possono esplorare queste condizioni per diversi giorni, come in un personale esperimento scientifico, annotando le risposte a queste domande in un diario. Una volta raccolti i dati si dovrà cercare di fare in modo di aumentare le condizioni e i momenti associati al non utilizzo dello smartphone.

 

Socializzare le buone intenzioni e perseguire un obiettivo di cambiamento alla volta

L’uomo è la specie più sociale della terrà. Per questo le ricerche hanno dimostrato che condividere le intenzioni di cambiamento con persone significative o socializzarle, renderle pubbliche, può favorire la loro realizzazione.

 

Perseguire solo un obiettivo di cambiamento alla volta. Deliberare ad esempio: “mangerò meno dolci, smetterò di fumare e inizierò a fare sport tre volte a settimana” è una strategia verosimilmente fallimentare. Ogni impegno di ristrutturazione delle abitudini assorbe energia cognitiva, drena attenzione e autocontrollo e per questo richiede una grande focalizzazione. Studi scientifici dimostrano che le persone sottoposte a regime dietetico o impegnate a smettere di fumare hanno più difficoltà a controllare altri ambiti di comportamento in cui occorre gestire desideri e impulsi. Ad esempio un singolare studio ha indicato che il tasso di tradimento dei partner tende ad aumentare durante i percorsi di recupero nei tabagisti.

Allocare le limitate risorse del nostro controllo cognitivo e volontario su più obiettivi di cambiamento può favorire il fallimento.

Esistono altri aspetti psicologici importanti nel raggiungimento dei buoni propositi, come la dissonanza cognitiva; i meccanismi di creazione delle preferenze attraverso l’azione, il senso di autoefficacia, ne abbiamo parlato in un precedente articolo sui buoni propositi del capodanno.

 

Per riassumere e concludere: costruire piani specifici tappa per tappa – una possibile scheda di pianificazione

  1. descrivere l’obiettivo finale in termini specifici, concreti, realistici, misurabili e il tempo previsto per la sua realizzazione;
  2. descrivere i vantaggi, i benefici, le utilità ottenibili dal conseguimento dell’obiettivo finale;
  3. riferire ad alcune persone significative le intenzioni di realizzare l’obiettivo finale, i suoi tempi e i suoi modi di realizzazione;
  4. scomporre l’obiettivo finale in sotto-obiettivi facilmente conseguibili;
  5. ogni tappa di questo programma deve essere descritta da un obiettivo concreto, misurabile, realistico e calendarizzato;
  6. per ogni tappa analizzare e descrivere:
  1. i modi,
  2. le azioni,
  3. i possibili segnali di innesco delle azioni,
  4. giorni e orari delle azioni e del possibile raggiungimento del sotto-obiettivo,
  5. le risorse personali disponibili,
  6. i mezzi per realizzarli,
  7. le persone cui riferire il sotto-obiettivo e che ci possono aiutare o che possono facilitare le azioni e il raggiungimento dell’obiettivo stesso,
  8. le eventuali difficoltà che si potrebbero incontrare e il modo concreto di risolverle o aggirarle in modo da non farsi trovare impreparato al momento,
  9. la ricompensa, la gratificazione che ci si darà per aver raggiunto la tappa.

Stefano Canali

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