Jean Cocteau e il fantasma della recidiva

Artista eclettico e straordinario poeta, romanziere, drammaturgo, regista, disegnatore, Jean Cocteau conobbe la dipendenza dall’oppio e per molti anni cercò di superarla, sottoponendosi anche a due ricoveri per disintossicazione. Nel libro “Oppio. Diario di una cura” scrisse della dipendenza e delle numerose e feroci ricadute che flagellano e piegano la volontà e le forze di chi tenta di smettere.

Disintossicazione farmacologica

Al contrario di quanto comunemente ritenuto, la disintossicazione farmacologica non è un processo così complesso, lungo e penoso. Il cervello riesce a invertire i processi di neuroadattamento e di adattamento fisiologico alla sostanza in tempi relativamente brevi. Con l’astinenza, i sistemi dei neurotrasmettitori e gli apparati funzionali, come ad esempio il sistema endocrino e l’apparato digestivo, tornano a ripristinare gli equilibri precedenti alla dipendenza in poche settimane. Inoltre, esistono sistemi di sostegno farmacologico che possono ulteriormente ridurre questo tempo.

La dipendenza come apprendimento e memoria

Purtroppo, la sola disintossicazione farmacologica non conduce con certezza al superamento della dipendenza. Pur se del tutto liberi dalla morsa delle alterazioni chimiche, molecolari e fisiologiche, indotte dalla sostanza psicoattiva, le ricadute sono tutt’altro che rare. Gli stimoli ambientali (luoghi, odori, rumori), le esperienze, i pensieri, le sensazioni corporee, le emozioni, i ricordi, alcune persone, orari, gesti, azioni o situazioni che in passato erano associati o concomitanti al consumo della sostanza, possono riattivare il desiderio, scatenando i sintomi dell’astinenza e avviando i comportamenti, spesso automatici, di ricerca e consumo. La dipendenza, infatti, è un apprendimento: lo stabilirsi di connessioni e associazioni tra stimoli diversi, idee, emozioni e comportamenti. Ma è anche una forma di memoria molto profonda, inscritta in regioni del cervello scarsamente accessibili alla coscienza e al controllo della volontà. È una memoria inconscia, automatica, inafferrabile, fantasmatica.

Di questo fantasma implacabile parla Jean Cocteau in “Oppio. Diario di una cura” il libro cui lavorerà tra la fine del 1928 e la primavera del 1929, durante uno dei suoi ricoveri per disintossicarsi. Ecco il brano tradotto da me dal francese:

“Quando un fumatore d’oppio completamente disintossicato fuma nuovamente, non sente più il disagio della prima intossicazione. Esiste, oltre agli alcaloidi e all’abitudine, uno spirito dell’oppio, un’abitudine impalpabile che sussiste nonostante la riabilitazione dell’organismo. Non dobbiamo prendere questo spirito per il rimpianto di un oppiomane tornato normale, sebbene questo rimpianto abbia una sua parte nella persistente seduzione dell’oppio. La droga morta lascia un fantasma. In certi momenti tormenta la casa.”

“Un fumeur complètement désintoxiqué et qui refume, n’éprouve plus les malaises de la première intoxication. Il existe donc, en dehors des alcaloïdes et de l’habitude, un esprit de l’opium, une habitude impalpable qui subsiste malgré la refonte de l’organisme. Il ne faut pas prendre cet esprit pour le regret d’un opiomane redevenu normal, bien que ce regret comporte une part d’appel. La drogue morte laisse un fantôme. A certaines heures il hante la maison”.

La ricaduta

Molti soggetti raccontano della ricaduta come di un tentativo più o meno razionale di far fronte, in acuto, a una condizione dell’umore avvertita come particolarmente penosa. È noto, d’altra parte, che le condizioni di stress e disagio emotivo sono associate a tassi di recidiva più elevati. Questo fatto era al centro dei primi modelli di spiegazione delle dipendenze, come la teoria del condizionamento operante negativo, proposta da Abraham Wikler già nel 1948, e l’ipotesi della riduzione della tensione, avanzata da John Conger nel 1951 e poi nel 1956. Secondo Wikler la ricaduta è motivata dall’anticipazione del disagio della sindrome d’astinenza e dall’aver appreso che è possibile attenuare i sintomi penosi usando la sostanza [i]. Analogamente, la teoria della riduzione della tensione di Conger sostiene che l’attenuazione dello stress percepito, ottenibile con l’assunzione di alcol, rappresenti un importante fattore di rinforzo per il consumo e, quindi, per le recidive [ii]. Sono molti, a questo proposito, gli studi che dimostrano che l’uso di sostanze può attenuare la percezione e la risposta allo stress[iii]. Questa ipotesi è coerente con la teoria del consumo di sostanze come automedicazione formulata da Edward Khantzian verso la metà degli anni Settanta e, ancora oggi, ritenuta per molti versi valida ed euristicamente stimolante[iv].
Queste interpretazioni, tuttavia, sono state a lungo contrastate. In primo luogo, c’è il fatto che i consumatori di sostanze spesso non riferiscono di aver vissuto emozioni particolarmente negative prima di una recidiva[v]. Inoltre, altre interpretazioni sottolineano come le ricadute siano legate piuttosto ad automatismi appresi e avvengano frequentemente in condizioni di assenza di consapevolezza, senza nessuna evidente pressione emotiva, sotto la spinta di segnali ambientali innescanti[vi].
Queste posizioni critiche colgono, senza dubbio, aspetti importanti del complesso di fattori che determinano le condizioni di dipendenza, dove forte è il peso degli automatismi, e delle memorie procedurali. Indubbiamente i comportamenti associati alle dipendenze sono in larga parte assimilabili agli automatismi che ci permettono, ad esempio, di guidare la macchina, scrivere o andare in bicicletta. In tutti questi casi abbiamo a che fare con meccanismi e processi legati agli strati più profondi del cervello, come lo striato, dove sembrano codificate le sequenze comportamentali delle abitudini e delle memorie procedurali. Processi cerebrali di questo tipo sono solitamente esclusi dalla consapevolezza, dal controllo volontario e cognitivo, ma anche dall’emotività e dalla partecipazione affettiva.

Le ricerche più recenti hanno dimostrato che, sebbene non assumibili da soli come fattori causali delle recidive, le emozioni negative costituiscono elementi centrali delle sindromi d’astinenza e delle ricadute. Per questo, con i dovuti aggiornamenti, i modelli del condizionamento operante e del rinforzo negativo, sono di nuovo considerati fondamentali nell’interpretazione degli episodi di ricaduta[vii].

Questo modo di guardare all’uso di sostanze e alle ricadute come tentativi di regolare l’umore ha numerose implicazioni, peraltro riferibili a domini molto diversi, da quello clinico al piano morale. Considerata la complessità, se non l’impossibilità, di interventi tesi a ridurre la densità dei carichi emotivi-cognitivi propri di certe situazioni sociali contemporanee, dovrebbe diventare prioritaria la realizzazione, in ambito educativo e sin dalla scuola primaria, di percorsi finalizzati allo sviluppo di una migliore regolazione emotiva, da integrare stabilmente nei curricula scolatici. Allo stesso modo, a livello sociale si dovrebbe cercare di facilitare l’uso di strategie adeguate al contesto per modulare l’intensità e la durata della risposta emotiva, come l’attività sportiva o le pratiche meditative.

Solo in questo modo il fantasma della recidiva può cominciare a fare un po’ meno paura. 

Stefano Canali e Giulia Virtù

[i] Wikler, A. (1948). Recent progress in research on the neurophysiological basis of morphine addiction. American Journal of Psychiatry, 105, 329–338.

[ii] Conger, J. J. (1951). The effects of alcohol on conflict behaviour in the albino rat. Quarterly Journal of Studies on Alcohol, 12, 1-29; Conger, J. (1956). Reinforcement theory and the dynamics of alcoholism. Quarterly Journal of Studies on Alcohol, 17, 296–305

[iii] Si veda ad esempio: Sayette MD. Does drinking reduce stress? Alcohol Research and Health. 1999;223(4):250–255

[iv] Khantzian, E.J., Mack, J.F., & Schatzberg, A.F. (1974). Heroin use as an attempt to cope: Clinical observations. American Journal of Psychiatry, 131, 160-164; Khantzian EJ (1997) The self-medication hypothesis of substance use disorders: A reconsideration and recent applications. Harv Rev Psychiatry. 4:231–244.

[v] Ad esempio: Shiffman, S. (1982). Relapse following smoking cessation: A situational analysis. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 50, 71–86

[vi] Ad esempio: Tiffany, S. T. (1990). A cognitive model of drug urges and drug-use behavior: Role of automatic and nonautomatic processes. Psychological Review, 97, 147–168

[vii] Brownell, K. D., Marlatt, G. A., Lichtenstein, E., & Wilson, G. T. (1986). Understanding and preventing relapse. American Psychologist, 41, 765–782; Baker, T. B., Piper, M. E., McCarthy, D. E., Majeskie, M. R., & Fiore, M. C. (2004). Addiction motivation reformulated: An affective processing model of negative reinforcement. Psychological Review, 111, 33–51.

 

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