A casa per il Coronavirus. Combattere il senso di isolamento sociale

Endre Bálint, 1960

La specie umana è la specie animale più sociale. Non siamo fisicamente in grado di vivere isolati. E ognuno di noi sarebbe condannato a morire se non potesse interagire e collaborare con gli altri, beneficiare del lavoro e della presenza dell’altro, dare il suo contributo. Per queste ragioni gli esseri umani hanno necessità di restare e soprattutto di sentirsi connessi, legati agli altri o a un gruppo.
In questi giorni di confinamento a causa del Coronavirus una parte significativa della nostra socialità e dei nostri affetti, delle nostre amicizie è compromessa e impedita. Chi è a casa con la famiglia ha almeno salva una parte dei legami affettivi, la più importante. Chi invece è costretto a star solo in casa può vivere in una delle condizioni più stressanti e penose per l’essere umano: il senso di isolamento e la 

solitudine. E infatti l’isolamento è stato da sempre tra le più estreme forme di punizione e tortura. Certo, in questo periodo anche chi vive solo può usare il telefono, lo smartphone e i social per restare in contatto con gli altri. Ma, in quanto animali, la nostra socialità e gli equilibri psichici che da essa dipendono, si realizzano in larga parte attraverso l’interazione fisica, la vicinanza, il contatto.

Numerose ricerche scientifiche dimostrano che la perdita delle connessioni sociali, soprattutto per le persone più vulnerabili come anziani e bambini, comporta carichi di stress difficili da sopportare. La famosa scala Social Readjustment Rating Scale messa a punto dagli psichiatri Holmes e Rahe, uno strumento citatissimo nella letteratura scientifica, vede tra i primi 5 eventi più stressanti della vita (su 43 indagati):

1) morte del coniuge (valore 100);

2) divorzio (valore 73);

3) separazione (valore 65);

4) incarcerazione (valore 63);

5) morte di un familiare stretto (valore 63).

Sono tutti eventi in cui i legami sociali e affettivi vengono meno, sono compromessi o impediti. Solo al sesto posto tra gli eventi stressanti della vita troviamo una malattia personale seria e con un valore assegnato di 53, quasi la metà rispetto al divorzio. Vale a dire che per un individuo è molto più stressante un divorzio, una separazione, una incarcerazione che avere un infarto, il diabete, o addirittura una patologia oncologica.

Studi successivi hanno dimostrato che gli individui che riportano punteggi più elevati in questa scala si ammalano molto di più rispetto a chi ha punteggi più bassi. Ad esempio persone che hanno appena subito un divorzio, una separazione e nello stesso periodo hanno conosciuto il carcere subiscono più infezioni, sviluppano più frequentemente problemi cardiovascolari, cancro e così via. La perdita delle connessioni sociali poi causa disturbi psicologici anche severi, depressione, ansia, dipendenze, che facilitano ulteriormente l’insorgenza di malattie fisiche.

Il legame tra eventi stressanti e malattie dipende dal fatto che lo stress determina numerose e profonde modificazioni fisiologiche, tra cui aumento della pressione, del battito cardiaco, alterazioni nelle funzioni ormonali e dell’apparato digerente, abbassamento delle funzioni immunitarie. L’isolamento sociale così costituisce un fattore di rischio molto serio, soprattutto in presenza di altre patologie pregresse o altri rischi di malattia, soprattutto di infezione: ciò che sembra stia accadendo in questa pandemia da COVID-19.

La ricerca sperimentale dimostra che il senso di isolamento e di disconnessione sociale conta di più dell’effettivo isolamento. Ciò significa che il sentirsi soli ha un impatto sulla salute maggiore del vivere soli o dell’essere costretto a un periodo di limitazione dei contatti sociali.
In questo momento ciò è un bene, possiamo così utilizzare dei piccoli esercizi comportamentali per limitare e contrastare il peso soggettivo dell’isolamento dagli altri.
Ne propongo uno semplice, che si può fare da soli o insieme agli altri condividendolo.

 

Come eseguire l’esercizio

In questo esercizio si dovrà pensare a un momento in cui abbiamo provato un sentimento di vicinanza, di connessione; un momento in cui abbiamo avvertito un senso di legame profondo con altre persone. Cerchiamo uno specifico evento in cui ci siamo sentiti davvero molto vicini e legati a qualcuno. Ad esempio quando una persona ha dimostrato tutta la sua comprensione verso noi stessi, senza pregiudizi, in totale ascolto; oppure quando qualcuno ci ha aiutato in un momento di difficoltà; oppure partecipando a un evento molto emozionante insieme ad altri, ad esempio una manifestazione, prestando aiuto durante un’emergenza, o anche assistendo a un concerto, a una partita di calcio o basket o qualche altro evento sportivo; ancora si potrebbe pensare all’emozione condivisa dell’ultimo giorno di scuola; oppure purtroppo un episodio triste ma che ha suscitato un senso di connessione profonda, come ad esempio scampare a un terremoto e poi aiutare gli altri, essere oggetto di aiuto, partecipare alla ricostruzione.
Una volta scelto il momento, la persona o il gruppo di persone ci prendiamo un po’ di tempo per rievocarlo, riviverlo e scrivere quanto successo, considerando in particolare il modo in cui questo evento ci ha fatto sentire così intimamente connessi a un’altra persona a un gruppo di persone. Più si riesce a ricordare i dettagli dell’esperienza, le emozioni e le sensazioni corporee vissute più sarà possibile rivivere il senso di connessione e i benefici psicofisici che può assicurarci. Siate attenti e specifici, non trascurate nessuno particolare. Lasciate rifluire i pensieri e le emozioni che avete avuto e osservateli e viveteli con consapevolezza e attenzione, cercate di immergervi in essi e fissarli ancor meglio nella vostra mente.

 

Riflessione sull’esperienza dell’esercizio

Riflettete sull’esperienza dell’esercizio, sollecitando la consapevolezza delle sensazioni, dei pensieri e delle emozioni che hanno accompagnato l’esercizio. Avete notato una differenza sull’umore alla fine della pratica? Se si quale? Avete notato un modo diverso di sentire il legame con questa persona e con gli altri? Avete magari notato una qualche differenza nel modo di percepire se stessi in rapporto agli altri in generale? E’ cambiato il modo di sentire, la reazione emotiva che dà questo periodo di interazioni sociali impedite? Se siete in famiglia fare l’esercizio ognuno per suo conto e poi provate a condividere l’esperienza e a discuterne.

 

Evidenze sperimentali di efficacia della pratica

Pavey, L., Greitemeyer, T., & Sparks, P. (2011). Highlighting relatedness promotes prosocial motives and behavior. Personality and Social Psychology Bulletin, 37(7), 905-917.
In questo studio i partecipanti sono stati divisi in due gruppi. Un gruppo ha riflettuto e scritto su un momento in cui hanno sentito un forte legame con qualcun altro. Un altro gruppo ha scritto di un momento in cui si sono sentiti particolarmente competenti o autonomi. Il gruppo dei partecipanti che ha riflettuto sulla loro esperienza di connessione ha riportato maggiori sentimenti di empatia, vicinanza e preoccupazione per gli altri ed emozioni più positive, umore più alto. Lo stesso gruppo inoltre ha anche riferito una più forte intenzione di attuare una varietà di comportamenti altruistici, incluso donare soldi in beneficenza e fare di tutto per aiutare uno sconosciuto bisognoso.

Sarà arcinota, ma considerato ciò di cui ho scritto e ciò che sta accadendo, penso valga la pena riportare la Meditazione XVII di John Donne:

“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”

John Donne, Meditazione XVII, Devozioni per occasioni d’emergenza, 1624

Stefano Canali

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