Le parole dell’azzardo

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Sull’inserto Salute di Repubblica uscito in edicola in edicola il 28 gennaio scorso e ancora disponibile, un articolo di Tiziana Moriconi che racconta le mie ricerche sulle dimensioni narrative delle dipendenze analizzate con strumenti di linguistica computazionale.

Ecco un estratto:
“Mi sono sempre sentito come risucchiato in un imbuto. Non dall’idea di vincere soldi, perché chi è giocatore da tanto tempo non pensa più a questo. Gioca e basta, perché ormai è diventato un automatismo”. “Non era un vero e proprio desiderio o un’emozione particolare: quando andavo a giocare avevo la mente completamente annebbiata. Quello che succedeva intorno a me non importava e anche se fosse caduto il mondo sarei rimasto lì”.
Automatismo. annebbiamento. Ci sono parole particolari, come queste, che ricorrono nei racconti nelle persone dipendenti dal gioco d’azzardo. Ci sono anche associazioni peculiari che esprimono sensazioni contraddittorie: rabbia-euforia, piacere-tristezza, ansia-ottimismo.
E manca quasi sempre la declinazione dei verbi al futuro: caratteristica che è probabilmente indice e causa, allo stesso tempo, della difficoltà a pensare agli effetti sul domani dei comportamenti impulsivi e rischiosi. A individuare per la prima volta dei ‘marcatori linguistici’ delle problematiche emotive e cognitive dei giocatori d’azzardo è stato un gruppo di ricercatori della Sissa di Trieste e dell’Università di Roma Tre, guidati da Stefano Canali e Francesco Ferretti, che pubblicano i risultati del loro studio sulla rivista scientifica “Addictive disorders and their treatment“.
Queste informazioni non sono fini a loro stesse, ma possono portare a strumenti davvero innovativi per trattare le dipendenze. Immaginiamo, per esempio, una App per smartphone che proponga un test (di quelli validati, molto precisi e da pochi minuti) per valutare lo stato affettivo ed emotivo in un momento qualsiasi della giornata. L’app potrebbe anche analizzare i testi scritti sui social o nelle mail, per poi incrociare tutti i risultati (ovviamente ci muoviamo all’interno di un programma di riabilitazione, dove i partecipanti hanno prestato il loro consenso). “Un simile strumento potrebbe individuare lo stato emotivo del paziente e le sue condizioni ambientali associati alla dipendenza – cosa sta facendo, dove, con chi – e potrebbe fornire indicazioni per aiutarlo ad affrontare il momento acuto, per esempio proponendo esercizi cognitivi e comportamentali mirati ad attenuare il senso di craving che sale quando lo stato emotivo negativo cresce”, spiega Canali…..

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Stefano Canali

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