Malattia mentale e capitale sociale. Una riflessione per la giornata mondiale della malattia mentale 2020

Secondo i più recenti studi internazionali il 13% della popolazione mondiale, vale a dire 970 milioni di persone, soffre di un qualche tipo di malattia mentale. I disturbi mentali che più contribuiscono a questo dato sconcertante sono la depressione e il disturbo d’ansia. Soffre di depressione il 3.4% della popolazione mondiale per un totale di 264 milioni di persone: 2.7% maschi, 4.1% femmine. Il disturbo d’ansia invece affligge il 3.8% della popolazione mondiale per un totale di 284 milioni di persone: 2.8% maschi, 4.7% femmine. Sono due disturbi legati agli stili di vita e all’ambiente in misura molto maggiore di patologie mentali come ad esempio la schizofrenia, in cui invece il peso della vulnerabilità biologica individuale sembra essere assai più rilevante.

La gravità della morbilità psichiatrica appare in modo ancora più evidente se si analizza l’impatto globale, il carico di malattia, dei disturbi mentali sulla popolazione e rispetto a tutte le altre malattie.

 

Il carico di malattia dei disturbi mentali

John Vassos, Monophobia, la paura di essere soli, 1931 ca

Il carico di malattia viene anche rappresentato da uno strumento di misura denominato Disability Adjusted Life Years – (DALY), vale a dire gli anni di vita rettificati per la disabilità. I DALY misurano il tempo di vita in salute perduta, la vita non vissuta per morte prematura, il tempo passato in condizioni di salute incapacitanti, tali da compromettere il lavoro, lo studio, la vita di relazione, le normali attività quotidiane. Un DALY significa così un anno perso di vita in buona salute a causa di morte prematura o malattia o disabilità.

In termini di DALY l’impatto mondiale dei disturbi comportamento è minore solo a quello che hanno tutte le malattie oncologiche, il cancro, e tutte le patologie cardiovascolari. Ed è un aumento in crescente aumento negli anni. Le stime internazionali danno questi dati:

82.17 milioni di DALY nel 1990, 122.76 milioni di DALY nel 2017 per incremento nel periodo del 49%.

La depressione è la condizione che a livello mondiale contribuisce di più al totale dei DALY per disturbi mentali ed è un disturbo in forte crescita. Nel 1990, si sono stimati 28.25 milioni di DALY, di anni persi per disabilità o morte prematura dovuti a depressione. Nel 2017 questi anni sono diventati 43.10 milioni, un incremento del 53%. In Italia nel 2017 sono stati persi 383.309 anni di vita in salute per depressione.

La depressione è la condizione più associata al suicidio.

 

Depressione e suicidio

Nel mondo ogni 40 secondi una persona muore per suicidio.

Gli ultimi dati sul tasso di suicidio globale standardizzato per età dicono che ogni 100.000 morti, più di dieci sono dovute a suicidio, in Italia sono 8 ogni 100.000. Questo rapporto varia enormemente a livello internazionale. Il 79% di tutti i suicidi del mondo si sono verificati in paesi a basso e medio reddito. Ma sono i paesi col tenore di vita più alto ad avere il tasso di suicidio più elevato in relazione alla popolazione.

Dopo gli incidenti stradali, il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni. Tra gli adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni, il suicidio è la seconda principale causa di morte tra le ragazze e la terza principale causa di morte nei ragazzi (dopo lesioni stradali e violenza interpersonale).

Sono dati sconvolgenti che molte recentissime ricerche suggeriscono diverranno ancora più gravi nel prossimo futuro, a causa dell’impatto psicologico, sociale ed economico del COVID19 e dei provvedimenti di lockdown, che stanno contribuendo alla diffusione delle condizioni psichiatriche associate al suicidio, come la depressione.

Questi dati peraltro sono largamente sottostimati. In gran parte del mondo, il suicidio è stigmatizzato e condannato per motivi religiosi o culturali. In alcuni paesi, il comportamento suicida, i tentativi di suicidio sono un reato penale. Per questo il suicidio è spesso un atto segreto circondato da tabù, e può essere non riconosciuto, talora viene erroneamente classificato o deliberatamente nascosto nei registri ufficiali delle cause di morte.

 

La giornata mondiale della salute mentale 2020

Oggi, sabato 10 ottobre è la giornata mondiale della salute mentale. Quest’anno l’obiettivo della giornata è promuovere l’incremento degli investimenti destinati alla salute mentale. Occorre a questo proposito ricordare che la salute mentale non è solo una condizione biomedica, una questione strettamente sanitaria. La salute mentale è dettata da una serie complessa di fattori culturali, sociali, economici. Limitare l’espansione dei disturbi mentali significa per questo provare a intervenire politicamente e culturalmente sulle strutture e sulle funzioni che all’interno di una società contribuiscono a generare identità, valori, relazioni, senso di comunità, fiducia, uguaglianza, cooperazione.

Siamo quotidianamente bombardati da informazioni riguardanti la finanza, l’economia ma studi scientifici suggeriscono il capitale sociale ha un ruolo più importante nel modulare i livelli di salute mentale[i].

 

Capitale sociale e salute mentale

Il capitale sociale è un modo di descrivere le relazioni sociali all’interno di società o gruppi di persone. La definizione più condivisa di capitale sociale usata nelle scienze della salute è quella proposta da Robert Putnam nel bellissimo saggio “La tradizione civica nelle regioni italiane” che consiglio vivamente di leggere per il modo esemplare con cui dimostra il legame tra senso civico, senso di comunità e cooperazione e sviluppo storico delle diverse regioni italiane. Secondo Putnam il capitale sociale è costituito da cinque fattori principali: (1) reti di comunità, volontariato, stato, reti interpersonali e loro densità; (2) impegno civico, partecipazione e uso delle reti civiche; (3) identità civica locale – senso di appartenenza, solidarietà e uguaglianza con gli altri membri; (4) reciprocità e norme di cooperazione, senso di obbligo di aiutare gli altri e fiducia nel poter avere in cambio e al bisogno aiuto e assistenza; (5) fiducia nella comunità.

D’altra parte è attraverso questi fattori che una mente viene costruita. Non si dà vita mentale senza comunità, interazioni, relazioni sociali, partecipazione, senza una struttura di valori identitaria da cui trarre la propria personale identità e attraverso cui riconoscere l’altro. Le funzioni sane di una mente dipendono dalla possibilità di godere della presenza di questi fattori. L’assenza di uno o più fattori compromette lo sviluppo e il buon funzionamento dei relativi meccanismi mentali cui sono legati, da cui dipendono e che contribuiscono a creare a livello sociale. In questo senso peraltro la salute mentale dell’individuo è legata alla salute sociale a un adeguato capitale sociale. Purtroppo questi determinanti del capitale sociale risultano oggi fortemente erosi. Le reti interpersonali di relazioni significative si fanno sempre più rarefatte; l’identità civica e il senso di appartenenza alla comunità si sono gravemente indebolite; l’uguaglianza socio-economica e le prospettive di modificare lo status socioeconomico sembrano sempre più remote o impossibili (studi scientifici dimostrano chiaramente quanto la disuguaglianza economica contribuisca alla malattia mentale[ii]); la fiducia nella comunità e nello stato appaiono gravemente minate; il volontariato sempre più sotto attacco. Le conseguenze della pandemia da COVID19 con tutta probabilità intaccheranno ulteriormente almeno alcuni dei fattori critici del capitale umano e contribuiranno per altri versi ad alimentare i fattori di rischio per i disturbi mentali, soprattutto i disturbi d’ansia e la depressione. In questo modo l’espansione dei comportamenti e del vissuto legati dei disturbi mentali potrebbe finire per favorire l’ulteriore dissipazione dei fattori protettivi del capitale umano, dando vita a un circolo perverso in cui il disagio individuale e le disfunzioni sociali si daranno vicendevolmente impulso.

Per tutto ciò, intervenire e investire sullo sviluppo del capitale umano è un imperativo critico e inderogabile. Dovrebbero iniziare a comprenderlo anche a quelli che considerano gli investimenti nella cultura, nei valori, nel senso di identità, nelle reti per il buon funzionamento sociale come secondari rispetto a quelli direttamente rivolti allo sviluppo economico in senso stretto, all’incremento della produzione e del consumo. Una mente, un’anima malata, non solo sono un grave costo per la collettività in termini di cure, ma impediscono di lavorare, di produrre, di consumare, di investire forze e tempo e soldi per il benessere presente e futuro: mettono cioè fuori gioco tutto quello che serve per far girare l’economia, generare crescita e sviluppo.

 

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

Per i dati sulla salute mentale ho fatto ricorso alle informazioni pubblicate dai documenti dell’OMS (https://www.who.int/), dall’Institute for Health Metrics and Evaluation IHME – (http://www.healthdata.org/) e da Our World in Data (https://ourworldindata.org/mental-health)

[i] Si veda ad esempio: De Silva MJ, McKenzie K, Harpham T, et al Social capital and mental illness: a systematic review Journal of Epidemiology & Community Health 2005;59:619-627.

[ii] Si veda ad esempio: Pickett KE, James OW, Wilkinson RG. Income inequality and the prevalence of mental illness: a preliminary international analysis. J Epidemiol Community Health. 2006;60(7):646-647. doi:10.1136/jech.2006.046631

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