La forma del tempo nelle dipendenze

Il tempo è una delle dimensioni personali più deformate dall’uso delle sostanze psicoattive e in particolare dalle dipendenze, anche in quelle comportamentali: il tempo come percezione soggettiva della durata e il tempo come organizzazione materiale della giornata. Sono moltissimi quelli che pur consumando abitualmente una sostanza psicoattiva riescono, spesso con sforzi immani, a mantenere un rapporto col mondo, col lavoro, una vita attiva e tutto sommato funzionale. Una delle strategie con cui arrivano a questo esito non scontato è quello di fissare un’ora del giorno sino alla quale si impongono l’astinenza e oltre la quale è possibile consumare.

Nella lingua inglese c’è una suggestiva espressione idiomatica: “the sun is over the yardarm” per indicare l’ora in cui è possibile iniziare a bere. Letteralmente significherebbe “quando il sole è sopra al pennone dell’albero maestro” e viene dall’antico pratica marinaresca, quando l’ora si misurava soprattutto con la posizione del sole e si poteva iniziare a bere quando il sole superava il pennone dell’albero nelle navi a vela, all’incirca dopo le 11.

 

John Barleycorn

Jack London

Il grande scrittore americano Jack London conosceva bene questa espressione per esser stato, tra le mille diverse cose della sua avventurosa vita, un marinaio e un alcolista. L’autore di “Zanna bianca”, del “Richiamo della foresta”, del “Lupo di mare”, di “Martin Eden” e tanti altre opere letterarie, ci ha lasciato anche le sue memorie di alcolista: il libro “John Barleycorn”.

Il titolo è ispitato a una omonima canzone popolare inglese della fine del sedicesimo secolo. Nella canzone, il personaggio di John Barleycorn è la personificazione dell’orzo, del chicco d’orzo (in inglese appunto barleycorn), che patisce attacchi, sofferenza e morte durante le varie fasi della coltivazione, della mietitura e della lavorazione per la produzione, tra gli altri, delle bevande alcoliche che si ottengono con la sua fermentazione, come la birra e il whisky.

Copertina dell’album dei Traffic

Esistono tante versioni della canzone, tra cui a quella famosa registrata dai Traffic nel 1970 nell’album John Barleycorn must die, in una versione acustica pubblicata nel 2012 da Steve Winwood, ex leader della band e che potete ascoltare a questo link o in una versione dal vivo degli anni Settanta a questo link.

 

La forma del tempo nelle dipendenze

In John Barleycorn, Jack London descrive acutamente il modo in cui il tempo del bevitore viene continuamente riorganizzato mentre l’abitudine al bere si radica e si trasforma in una dipendenza. È un processo subdolo che inizia con il desiderio di un drink a un certo momento della giornata:

“mi sono reso conto di attendere con desiderio il tempo del cocktail prima della cena. Lo volevo, ed ero consapevole che lo volevo. … Il programma della mia vita al ranch era il seguente: Ogni mattina, alle otto e mezza, dopo aver riletto o corretto bozze a letto dalle quattro o cinque, andavo alla mia scrivania. Corrispondenza e note mi tenevano poi occupato fino alle nove, e alle nove in punto, invariabilmente, iniziavo a scrivere. Alle undici, a volte pochi minuti prima o dopo, portavo a termine le mie mille parole giornaliere. Un’altra mezz’ora per la pulizia e il riordino della scrivania e il mio giorno di lavoro era finito, così, alle undici e mezza mi stendevo su un’amaca sotto gli alberi. […] Una mattina, alle undici e mezza, prima ho mettermi sull’amaca, ho preso un cocktail. Ho ripetuto la cosa la mattina successiva e poi quella seguente e così via […] Dopo un po’ mi ritrovai, seduto alla scrivania nel bel mezzo delle mie mille parole, in attesa di quel cocktail delle undici e mezza […] Ma presto sorse una nuova e più diabolica complicazione. Senza bere diventò impossibile portare a termine il lavoro […] Sono stato costretto a bere per poter lavorare. […] Il mio cervello non riusciva a produrre pensieri significativi e compiuti perché continuamente ossessionato dall’unica idea che dall’altra parte della stanza, nell’armadietto dei liquori, si trovava John Barleycorn.

La cosa interessante di questo passaggio è che Jack London descrive non tanto una quantità crescente di consumo ma piuttosto l’alterazione progressiva del suo programma giornaliero, della percezione e della gestione del tempo nell’arco della giornata. In effetti il ​​suo consumo aumenta con incremento del tempo dedicato al bere, ma quell’aumento è anche spiegato in termini di programma, di organizzazione del tempo: “Una volta andavo di fretta. Non ho avuto il tempo di distribuire decentemente i vari drink nella prima parte della giornata. Mi è venuta allora un’idea geniale. Ho detto al barista di prepararmi un doppio cocktail. Successivamente, ogni volta che avevo fretta, ordinavo doppi cocktail. Si risparmia tempo.”

Arshile Gorki, Garden of wish fulfillment, 1944

Il racconto della ristrutturazione del tempo intorno alla necessità di bere che fa Jack London sembra tipico di tutte le dipendenze. Ogni assuefazione a una sostanza, ogni dedizione a un comportamento, come nel caso del gioco d’azzardo, ma anche delle dipendenze affettive, in quella da lavoro, introduce e impone una parcellizzazione, una scansione del tempo che ricalca la struttura e gli schemi di consumo, i ritmi della compulsione.

 

Tempo, identità, autocontrollo

Sant’Agostino sosteneva che il tempo è una distensione dell’anima, il filo spirituale che unisce e tiene contemporaneamente presenti, nella memoria del passato e nell’immaginazione del futuro, il prima e il poi: ciò che di noi non esiste più e ciò che non è esistito e molto probabilmente non accadrà mai.

Per Kant il tempo è la forma del senso interno, cioè dell’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno.

Le scienze cognitive indicano che la percezione del tempo, la forma e l’organizzazione soggettiva del tempo fanno da impalcatura, trama e matrice al nostro Io, al modo in cui può esplicarsi la nostra azione, la nostra volontà nell’ambiente durante l’arco della vita. Il tempo soggettivo e personale costituisce così la dimensione attraverso cui diventa storia e quindi soggetto, persona, l’infinita e informe nube di accidentali e slegate contingenze materiali e psichiche in cui si muove il nostro corpo e il flusso delle nostre percezioni, degli oggetti mentali coscienti e di quelli di cui non siamo consapevoli. Allo stesso modo, il tempo soggettivo e personale è l’estensione psicologica dentro cui può realizzarsi l’esercizio dell’autocontrollo. È il filo che libera i residui gradi di libertà incuneati nella catena di cause ed effetti in cui è ingranata la nostra storia. Lasciare anche questi vitali ritagli di spazio al controllo alle cadenze impietose della compulsione significa così non solo cedere la propria autonomia ma lasciare che la sostanza o il comportamento da cui si dipende tessano l’ordito stesso del nostro Io, disegnino la nostra identità secondo la loro algebra spietata e incongrua.

Stefano Canali

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One Comment

  • Sono lieto di poter leggere finalmente, anche in italiano, riflessioni di questo tenore sul tema delle sostanze e delle dipendenze. Non è poco nell’arido panorama sulla questione.
    Grazie.

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