Libero arbitrio e dipendenze: il fascino discreto delle neuroscienze

Marc Chagall, Adamo, Eva e il frutto proibito, litografia

L’idea di dipendenza come malattia del cervello che compromette il controllo del comportamento influenza il modo in cui le persone che vivono questa condizione giudicano il livello del loro libero arbitrio? Conoscere i processi neurobiologici correlati ai cosiddetti comportamenti di consumo compulsivo di una droga può portare a una ridotta attribuzione di capacità di scelta autonoma, volontaria e quindi di responsabilità? Al contrario di quanto si potrebbe logicamente supporre, una ricerca empirica sembra suggerire di no.

Il libero arbitrio è oggetto di intenso dibattito nella concettualizzazione e nella ricerca sulla dipendenza. Non potrebbe essere altrimenti. Al centro della definizione di dipendenza c’è infatti la perdita del controllo volontario del consumo di una sostanza psicoattiva o la perdita del controllo su una data sequenza organizzata di azioni, come nel caso delle dipendenze comportamentali, tra cui il gioco d’azzardo patologico. Secondo questa prospettiva, la dipendenza cioè compromette la capacità di una persona di scegliere liberamente tra percorsi di azione alternativi. Abbiamo affrontato questo tema in diversi post, ad esempio: Intenzionalità, volontà e libertà nelle dipendenze, oppure Dipendenze, incontinenza e debolezza di volontà.

I fautori del modello di dipendenza dalla malattia del cervello hanno sostenuto che la prospettiva neuroscientifica riduce l’attribuzione del libero arbitrio perché trasferisce la causa della dipendenza dalla persona alle alterazioni cerebrali dei meccanismi decisionali. Se i circuiti neurali che mediano le decisioni e il controllo volontario sono compromessi, il libero arbitrio non può che essere giudicato fuori gioco o attenuato. Secondo i suoi sostenitori, trasformando l’idea della dipendenza da vizio a malattia del cervello, questo approccio diminuirebbe così anche la colpa attribuita alle persone con dipendenza e lo stigma sociale.

Altri studiosi invece hanno sottolineato che una ridotta attribuzione del libero arbitrio, la credenza nella compromissione del controllo volontario del comportamento renderebbero meno responsabili le persone con una tossicodipendenza e comprometterebbero così anche i percorsi di guarigione e recupero, per cui sono centrali il senso di autoefficacia e di autodeterminazione.

Dunque è davvero molto importante stabilire quale sia l’effetto sui pazienti della crescente diffusione della visione biomedica e neuroscientifica della dipendenza come malattia del cervello perché ciò impatta fortemente nel modo in cui un soggetto vive una condizione di dipendenza e affronta eventualmente un percorso di recupero.

Negli ultimi anni, diversi studi avevano già indicato che l’esposizione a spiegazioni neuroscientifiche del comportamento umano, mediate da testi o da neuroimmagini, è un possibile modulatore delle credenze sul libero arbitrio e sull’autoattribuzione di capacità di controllo volontario e autodeterminazione. (Vohs and Schooler, ; Vohs and Baumeister, ; Nahmias et al., ; Shariff et al., ). 

Analogamente, altri lavori avevano discusso il fascino seduttivo delle neuroscienze (Weisberg et al., ; Farah and Hook, ) e del cosiddetto “neurorealismo” (Racine et al., ; Rhodes, ) sulle spiegazioni del comportamento umano. Un importante studio (Weisberg et al., ) aveva peraltro dimostrato che le spiegazioni neuroscientifiche sembrano accrescere il valore scientifico delle spiegazioni di fenomeni psicologici anche quando la componente neuroscientifica della spiegazione è irrilevante o illogica per il comportamento che viene spiegato.

Lo studio condotto da Eric Racine della Biomedical Ethics Unit, della McGill University di Montréal è partito proprio dalla questa letteratura sul fascino seduttivo delle neuroscienze per verificare se le informazioni neuroscientifiche diminuiscano le attribuzioni di libero arbitrio tra le persone con dipendenza e se le caratteristiche dei rispondenti modulino l’effetto delle informazioni neuroscientifiche, influenzando la percezione dei livelli di controllo volontario del comportamento (Racine et al., 2017).

Racine ha eseguito un esperimento su larga scala attraverso il web con 2378 partecipanti affetti da dipendenza per alcol o cocaina misurando come le attribuzioni del libero arbitrio siano influenzate da: (1) un testo con una spiegazione neurobiologica della dipendenza, (2) una neuroimmagine che mostra gli effetti della dipendenza sul cervello e (3) una combinazione di un testo e una neuroimmagine, rispetto a un gruppo di controllo che non ha ricevuto alcuna informazione.

La credenza nel libero arbitrio è stata misurata usando sette item adattati della scala sul libero arbitrio e determinismo, Free Will and Determinism (FAD-Plus) (Paulhus and Carey, ). I dati così ottenuti sembrano indicare che le informazioni neuroscientifiche hanno un effetto piuttosto limitato sull’attribuzione delle capacità di controllo volontario e sul senso di responsabilità delle persone con dipendenza. Tutto sommato, quindi, il fascino delle neuroscienze non sembrerebbe così seduttivo come sostenuto dalla letteratura sul neurorealismo, ovvero anche dagli studi critici sulla cosiddetta “neuromania”. I soggetti dipendenti “neuroscientificamente informati” continuano a credere di avere il controllo del loro comportamento, adeguate facoltà di autodeterminazione e dunque responsabilità per le loro azioni.

Queste evidenze sono peraltro coerenti con i recenti studi sull’impatto del modello biomedico della dipendenza. Essi suggeriscono che tra le persone comuni la credenza dell’idea della dipendenza come malattia del cervello non correli con la diminuzione dell’attribuzione di colpa e stigma verso i soggetti dipendenti, come invece dovrebbe essere se il riconoscimento della capacità di libero arbitrio fosse ridotto dalle spiegazioni biomediche e neuroscientifiche (Meurk et al., ,; Sattler et al., ).

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

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Meurk C., Carter A., Partridge B., Lucke J., Hall W. (2014b). How is acceptance of the brain disease model of addiction related to Australians’ attitudes towards addicted individuals and treatments for addiction? BMC Psychiatry 14:373. http://doi.org/10.1186/s12888-014-0373-x

Meurk C., Partridge B., Carter A., Hall W., Morphett K., Lucke J. (2014c). Public attitudes in Australia towards the claim that addiction is a (brain) disease. Drug Alcohol Rev. 33, 272–279. http://doi.org/10.1111/dar.12115

Nahmias E., Shepard J., Reuter S. (2014). It’s OK if ‘my brain made me do it’: people’s intuitions about free will and neuroscientific prediction. Cognition 133, 502–516. http://doi.org/10.1016/j.cognition.2014.07.009

Paulhus D. L., Carey J. M. (2011). The FAD–Plus: measuring lay beliefs regarding free will and related constructs. J. Pers. Assess. 93, 96–104. http://doi.org/10.1080/00223891.2010.528483

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Racine, E., Sattler, S., & Escande, A. (2017). Free Will and the Brain Disease Model of Addiction: The Not So Seductive Allure of Neuroscience and Its Modest Impact on the Attribution of Free Will to People with an Addiction. Frontiers in Psychology8, 1850. http://doi.org/10.3389/fpsyg.2017.01850

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Vohs K. D., Schooler J. W. (2008). The value of believing in free will: encouraging a belief in determinism increases cheating. Psychol. Sci. 19, 49–54. http://doi.org/10.1111/j.1467-9280.2008.02045.x

Vohs K. D., Baumeister R. F. (2009). Addiction and free will. Addict. Res. Theory 17, 231–235. http://doi.org/10.1080/16066350802567103

Weisberg D. S., Keil F. C., Goodstein J., Rawson E., Gray J. R. (2008). The seductive allure of neuroscience explanations. J. Cogn. Neurosci. 20, 470–477. http://doi.org/10.1162/jocn.2008.20040

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