Resting state e dipendenze: un altro endofenotipo?

In uno degli ultimi interventi abbiamo descritto le ricerche che hanno portato all’identificazione della P300 come endofenotipo (inteso come una tappa intermedia, misurabile, ma al contempo invisibile a occhio nudo del percorso esistente tra variazioni genetiche e sintomatologia) per l’abuso di sostanze e le dipendenze.

L’attività nascosta

La P300 è identificabile come un picco positivo di una risposta neurofisiologica conosciuta come potenziale evocato; viene generato attraverso opportuni paradigmi sperimentali, che prevedono la presentazione di uno stimolo atteso (quindi di interesse per il soggetto che sta svolgendo l’esperimento) all’interno di un ampio gruppo di stimoli di scarso interesse. Proprio per questa sua intrinseca caratterizzazione legata all’attenzione e alla motivazione, la P300 si è dimostrata particolarmente efficace nel predire il rischio legato a tali comportamenti dannosi; non bisogna tuttavia dimenticare che esiste un altro tipo di attività cerebrale, molto più latente ma al contempo costante, che è possibile studiare attraverso l’uso dell’elettroencefalogramma (EEG): si tratta dell’attività cerebrale basale (detta anche resting-state), una sorta di modalità di default dell’attività del cervello, che coinvolge diverse aree altamente connesse tra loro.

Renato Guttuso, Mimise che dorme (1941) olio su tela

Per descriverne il pattern caratteristico, ricercatori e clinici fanno spesso riferimento alle onde cerebrali: quando una zona è attiva, infatti, le popolazioni neuronali al suo interno generano, in maniera sincrona e cadenzata, un potenziale d’azione (una scarica elettrica che percorre l’assone dei neuroni e che, giunta in prossimità delle sinapsi, permette il rilascio di un neurotrasmettitore). L’unione di decine di migliaia di potenziali d’azione viene captata dagli elettrodi dell’EEG posti sul cranio sotto forma di un’attività oscillatoria, ossia un’onda. Le onde di diversa frequenza sono per convenzione raggruppate in alcune bande: si parla così di onde cerebrali di tipo delta (comprese tra 0,1 e 4 Hz), teta (tra 4 e 8 Hz), alfa (8.13 Hz) e beta (13-30 Hz).

Un nuovo endofenotipo?

Ebbene, esistono diverse evidenze scientifiche a supporto del fatto che l’attività elettrica basale del nostro cervello, con relative possibili alterazioni, possa costituire un endofenotipo per le dipendenze e l’abuso di sostanze, in quanto soddisfa alcuni dei criteri necessari per questa classificazione. È stato infatti dimostrato (Rangaswamy et al., 2002; Herning et al., 2005, Struve et al., 1999), innanzitutto, che variazioni nell’attività della banda beta, così come un aumento dello spettro di potenza delle bande delta e teta -a discapito delle alfa, a comporre quindi un ritmo delle onde cerebrali più “lento”- sia associato a un comportamento patologico.
Inoltre l’attività cerebrale basale, e le connotazioni interindividuali ad essa associate- in termini di potenza delle diverse bande di frequenza- sono trasmissibili a livello genetico (Malone et al., 2014), altro punto fondamentale nell’attribuire loro una funzione intermedia tra genotipo e fenotipo (quest’ultimo dato, in questo caso, da un insieme di comportamenti).
Un altro aspetto molto interessante, cruciale nell’attribuire il ruolo di endofenotipo a questo connotato neurofisiologico, è che è un aumento dell’attività beta, delta e teta è riscontrabile, in soggetti dipendenti, a seguito di un periodo di astinenza (Newton et al., 2003). Tale aumento raggiunge tuttavia un plateux in caso di astinenza prolungata, presentando così una sorta di normalizzazione dell’attività cerebrale, con conseguente ritorno delle onde beta a livelli fisiologici (Saletu‐Zyhlarz et al., 2004).

Sono invece più controversi i risultati riguardanti l’ereditarietà delle componenti EEG associate all’attività basale e, anche se un aumento dell’attività beta e una diminuzione di quella alfa sono stati correlati a ricadute post-trattamento, non sono attualmente disponibili studi che mettano in correlazione l’alterazione pregressa dell’EEG basale con un aumentato rischio di patologie d’abuso. In altre parole, nonostante sia ormai chiaro che ritmi EEG e dipendenze siano collegati, il rapporto causa-effetto tra questi due fattori non è stato ancora dimostrato.

L’origine del segnale

I generatori neurali che sottostanno all’attività cerebrale basale sono distribuiti all’interno di diverse regioni del cervello, anche se nel corso degli anni sono diversi gli studi (come ad esempio Knyazev, 2007) che hanno identificato nelle aree frontali un ruolo di regolazione tra le differenti bande di frequenza. L’attività delta è predominante durante il sonno profondo, ed è altamente associata con il circuito della ricompensa, con i processi motivazionali e con quelli di apprendimento; l’attività teta è associata alla memoria, alla regolazione delle emozioni e ai processi decisionali; le onde alfa esercitano invece una funzione di controllo inibitorio su diversi circuiti neurali, determinando la sequenza temporale dell’elaborazione corticale delle informazioni; sono coinvolte anche nella soppressione selettiva dell’attenzione, e nel mantenimento della memoria di lavoro; infine, le onde beta sono quelle della cui funzione si conosce di meno, se non che siano il riflesso di processi eccitatori profondi (Engel and Fries, 2010).

Anche se l’origine anatomica dei segnali generati dall’attività basale del nostro cervello è ancora in parte sconosciuta, un aspetto interessante è che essi condividono con la P300 (l’altro endofenotipo neurofisiologico collegato a dipendenze e abuso di sostanze) diversi circuiti, suggerendo un loro possibile significato comune nell’ottica della comprensione dei disturbi legati all’alterazione del sistema della ricompensa.
I due endofenotipi condividono inoltre influenze a livello genetico e funzionale (Enoch et al., 2002), elemento che spinge sicuramente nella direzione di ulteriori studi, volti ad identificare con precisione i segnali, presenti nel nostro cervello, che possono lanciare un allarme preventivo nei confronti delle dipendenze, dell’abuso di sostanze e dei loro devastanti effetti.

Riferimenti bibliografici:

Wilson S et al. (2015) Neurological Risk Factors for the Development of Problematic Substance Use in Handbook on the Cognitive Neuroscience of Addiction, Wiley Backwell ed.

Rangaswamy M et al. (2002) Beta power in the EEG of alcoholics. Biological Psychiatry, 51: 831–842.

Herning RI et al. (2005) Neuropsychiatric alterations in MDMA users: Preliminary findings. Annals of the New York Academy of Science, 1053: 20–27.

Struve FA et al. (1999) Topographic quantitative EEG sequelae of chronic marihuana use: A replication using medically and psychiatrically screened normal subjects. Drug and Alcohol Dependence, 56: 167–179.

Malone SM et al. (2014) Adolescent drinking and motivated decision‐making: A cotwin‐control investigation with monozygotic twins. Behavior Genetics, 44: 407–418.

Newton TF et al. (2003) Quantitative EEG abnormalities in recently abstinent methamphetamine dependent individuals. Clinical Neurophysiology, 114: 410–415.

Knyazev GG (2007) Motivation, emotion, and their inhibitory control mirrored in brain oscillations. Neuroscience and Biobehavioral Reviews, 31: 377–395.

Engel AK and Fries P (2010) Beta‐band oscillations: Signalling the status quo? Current Opinion in Neurobiology, 20: 156–165.

Enoch MA et al. (2002) The relationship between two intermediate phenotypes for alcoholism: Low voltage alpha EEG and low P300 ERP amplitude. Journal of Studies on Alcohol, 63: 509–517.

 

User Avatar

admin

Read Previous

Come, quando e perché un alcolista beve

Read Next

Lo stress delle festività e il rischio di ricadute nelle dipendenze: perché e cosa fare per combatterli

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *