La ricerca sulle reti neurali complesse per comprendere e curare la complessità delle dipendenze

Così come per la maggior parte delle patologie neuropsichiatriche, anche nelle dipendenze è possibile riscontrare uno spettro sintomatologico che spazia dai disturbi della personalità a quelli comportamentali, coinvolgendo anche la sfera cognitiva. Questa intrinseca complessità rende diagnosi e trattamento delle dipendenze piuttosto complicato, soprattutto se si tiene conto del fatto della relativamente scarsa comprensione dei processi neurobiologici alla base di queste alterazioni.

Lo sviluppo di tecniche non invasive di analisi cerebrale ha portato all’identificazione di alcuni meccanismi nervosi (legati alla ricompensa e alla gratificazione, di natura emozionale e cognitiva) che, alterati, contribuiscono all’insorgenza di una dipendenza. Diversi gruppi di ricerca hanno così potuto identificare cosa cambia nel cervello di una persona affetta da una dipendenza, così come i fattori di rischio neurobiologico che possono facilitare l’insorgenza dell’uso problematico di sostanze o di altri comportamento patologici associati. Esistono infatti diversi tratti funzionali e anatomici del sistema nervoso centrale che sembrano ricorrere frequentemente nelle dipendenze. Ad esempio a livello molecolare la vulnerabilità alla dipendenza sembra correlare ad alcuni difetti nei geni che costruiscono gli elementi fisiologici del sistema della dopamina; mentre a livello anatomofunzionale è nota l’associazione con certe anomalie nella struttura e delle funzioni di una serie di aree della corteccia prefrontale, come la corteccia orbitofrontale.

Frantisek Kupka, Primavera Cosmica 1, 1913-14

Questo insieme di risultati è sicuramente utile allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici, farmacologici e/o comportamentali. Tuttavia esso continua a presentare una seria limitazione. Un limite che è in certo modo intrinseca alla natura stessa degli attuali programmi di ricerca: necessariamente sempre più analitici e focalizzati. Il limite in questione è quello di concentrarsi su un singolo costrutto alla volta, dove per costrutto si intende la rappresentazione teorica di un determinato fenomeno comportamentale alla base di una indagine empirica e sperimentale. Con l’approccio analitico si arriva a una sempre più precisa descrizione di un singolo fenomeno o di parti circoscritti di un esso. Allo stesso tempo però questa prospettiva di indagine tende a restituire una limitata comprensione del modo in cui si determinano e si esprimono i processi comportamentali, come le dipendenze, nella complessa realtà biopsicosociale in cui vive un individuo. Ogni comportamento è infatti un fenomeno integrato e complesso tra diversi tratti comportamentali (anch’esse dinamiche complesse) e relativi correlati biologici, che sono comunque sempre e anch’essi sistemi complessi. Ed inoltre, questi sistemi, comportamentali e biologici, sono in ogni caso modulati e tenuti in funzione da elementi, processi e dinamiche ambientali, dalla dimensione materiale a quella sociale, altra straordinaria complessità che complica le complessità già presenti a livello dell’individuo.

 

Una fotografia del complesso: la risonanza magnetica funzionale basale

L’esigenza di sintesi negli ultimi anni ha portato fortunatamente alla crescita esponenziale dell’interesse nei confronti di tecniche di indagine in grado di fotografare il quadro complessivo di ciò che avviene nel nostro cervello. Non solo, quindi, quale area corticale si attiva e quando, ma anche con quali altre zone essa sia collegata, e come la funzione di una influenzi (attivandole o inibendole) le altre. Tra queste tecniche, che potremmo definire a tutto tondo, nel campo delle dipendenze ha recentemente rivestito un ruolo sempre più importante la risonanza magnetica funzionale basale (o resting‐state functional MRI (rsfMRI), grazie alla quale è possibile descrivere la connettività funzionale basale (o resting‐state functional connectivity, rsFC) del cervello e individuare le reti neurali associate a specifiche funzioni che poi possono risultate alterate nelle condizioni patologiche, in questo caso, alla dipendenze.

Come la più famosa fMRI (risonanza magnetica funzionale), la rsfMRI studia l’attività cerebrale grazie alle variazioni dell’ossigenazione sanguigna osservabili nel momento in cui una determinata area della corteccia si attiva, consumando glucosio e “richiamando” nutrimento tramite l’apparato circolatorio. La presenza di più o meno ossigeno nel sangue altera le proprietà magnetiche dell’emoglobina: grazie all’applicazione di un campo magnetico esterno si riescono quindi a discriminare le aree attive (quelle con sangue ossigenato). A differenza della fMRI, che utilizza un compito ben preciso (osservare delle figure, svolgere delle operazioni matematiche, immaginare di muovere un arto) la rsfMRI osserva invece cosa avviene quando un individuo è “a riposo”.
Grazie agli studi basati sulla rsFMRI è possibile testare a livello empirico ipotesi di alterazione neuroanatomica e funzionale sviluppate sulla base di conoscenze pregresse. Si pensi ad esempio all’ipotesi secondo cui la connettività funzionale basale sia alterata nei consumatori abituali di sostanze psicoattive (come la cocaina); questa tesi presuppone un’alterazione delle regioni del sistema mesocorticolimbico, coinvolto nella gratificazione e nel senso di ricompensa. Studiando selettivamente il comportamento di queste aree è stato dunque possibile identificare (Gu et al., 2010) una ridotta connettività sia all’interno del circuito, sia tra esso e altre regioni cruciali nell’elaborazione del reward (corteccia frontale, insula, striato e talamo).

Un altro metodo che sfrutta la rsfMRI prevede invece un approccio radicalmente opposto: registrare l’attività in toto, e poi scomporre il segnale percepito nelle sue diverse componenti. L’analisi delle componenti indipendenti (chiamata independent component analysis, o più comunemente ICA) si basa essenzialmente su algoritmi statistici molto elaborati, che permettono di stabilire l’indipendenza dei segnali attribuendo loro una probabilità di correlazione. Se ad esempio due segnali vengono registrati in perfetta continuità temporale, e provengono da due zone vicine e/o collegate anatomicamente, la probabilità che essi siano correlati sarà molto alta, mentre quella che siano indipendenti uno dall’altro sarà prossima allo zero. L’ICA, inoltre, permette di determinare l’indipendenza di due attività cerebrali sia a livello spaziale (Beckmann e Smith, 2004) sia temporale (Smith et al., 2011).

 

Le reti neurali diffuse del nostro cervello

Grazie a queste metodologie d’indagine è stato così possibile elaborare un modo innovativo di rappresentare l’organizzazione del sistema nervoso centrale, allo stesso tempo più preciso e sintetico. il nuovo modello così delineatosi è quello dello studio delle reti neurali vaste e complesse, che racchiudono e collegano diversi circuiti cerebrali implicati nell’elaborazione cognitiva, emotiva e motivazionale.
Tra le varie “macro-reti” che sono state identificate, tre ricoprono un ruolo cruciale:

1) la rete deputata al controllo esecutivo (executive control network, ECN), implicata nei processi legati all’elaborazione degli stimoli esterni, nel controllo volontario del comportamento, nella regolazione delle emozioni;

2) la rete della modalità default (default‐mode network, DMN), coinvolta nei processi cognitivi indipendenti dagli stimoli esterni, come ad esempio nell’ideazione spontanea di pensieri che accompagna il vagare della mente;

3) la rete della salienza (salience network, SN), che permette di orientarsi tra stimoli esterni ed interni, focalizzando nel modo corretto l’attenzione (Raichle et al., 2001; Seeley et al., 2007).
È stato proposto (Menon, 2011; Sutherland et al., 2012) che la mancata regolazione di queste reti, così come delle loro interconnessioni, sia alla base di diversi disturbi neuropsichiatrici, tra cui quelli legati all’uso e abuso di sostanze (che invece erano tradizionalmente associati a variazioni dell’attività in regioni piuttosto circoscritte del cervello).

Reti neurali complesse e tabagismo

In particolare, diversi studi hanno cercato di identificare variazioni delle reti neurali su larga scala e i loro effetti legati all’assunzione di nicotina, sia a livello acuto (ad esempio durante l’assunzione o nei periodi di astinenza) sia a livello cronico, cioè nei processi che caratterizzano il mantenimento dell’uso reiterato della sostanza nel lungo periodo.

Per i fumatori cronici è piuttosto normale, quando sono obbligati ad effettuare un periodo di astinenza, sperimentare ansia, irritabilità e difficoltà di concentrazione (Hughes, 2007). Questi sintomi rendono molto difficile smettere di fumare, considerato che nel tabagismo sono quasi immediatamente cancellati dall’assunzione di nicotina (Evans e Drobes, 2009). Da dove derivano, però, questi sintomi?

Il Sistema della Salienza (SN), e in particolare l’insula, registrano i segnali fisiologici associati a uno stato di disequilibrio omeostatico. E questo stesso sistema, in interazione con la rete della modalità default (DMN) sembra essere attivamente reclutato in occasione di delle fluttuazioni neurofarmacologiche che caratterizzano la fisiopatologia dell’astinenza. A livello psicologico, queste attivazioni SN-DMN a loro volta si traducono in una potente modulazione dei processi affettivi, cognitivi e motivazionali che sostiene quindi la spinta dell’organismo ad alleviare questo stato di disequilibrio, con i comportamenti di ricerca e consumo della nicotina (Sutherland et al., 2012).
Inoltre l’astinenza da nicotina contribuisce a una diminuzione della connessione tra il sistema della salienza (SN) e la rete deputata al controllo esecutivo (executive control network, ECN) ECN, L’attenuazione di questa connettività tra i due sistemi complessi si traduce soprattutto in una ridotta attivazione del sistema del controllo esecutivo e quindi in un deficit nella corretta elaborazione e quantificazione degli stimoli esterni e del controllo dei processi affettivi e dei comportamenti impulsivi.  Infine, anche la connessione DMN-ECN sembra essere compromessa: proprio ad essa sembrano essere imputabili le difficoltà di concentrazione e altri peggioramenti delle funzionalità cognitive legati all’astinenza (Prado e Weissman, 2011).

Cosa avviene, invece, alle reti neurali quando la dipendenza è ormai divenuta uno stato cronico? In questo contesto sembra che la struttura più colpita sia lo striato, e le sue connessioni con il Sistema della Salienza (Koob e Volkow, 2010). Un’estesa letteratura, frutto di studi preclinici e di neuroimaging, ha infatti identificato nello striato un attore cruciale nei processi collegati alle dipendenze. Lo striato è un complesso di vie e centri cerebrali profondi, coinvolti soprattutto nel controllo dei comportamenti motori, nella fissazione della memorie procedurali, degli automatismi appresi e nei processi motivazionali. In particolare nelle dipendenze sembrano interessate le regioni ventrali e dorsali dello striato: le prime, quelle più correlate all’apprendimento rinforzato da ricompensa; le seconde quelle al centro dei comportamenti automatici e compulsivi legati alla ricerca della sostanza.

Utilizzando l’rsfMRI è stato possibile identificare due principali variazioni a livello di macro-network cerebrali dovute all’assunzione cronica di nicotina: la prima consiste in un aumento della connessione dei circuiti che collegano la corteccia cingolata anteriore dorsale (dorsal ACC, o dACC) e le regioni parietali laterale; la seconda variazione indotta dalla dipendenza consiste invece in una diminuita connessione tra il dACC e lo striato (Hong et al., 2009)

I sistemi neurali complessi nelle dipendenze: dai risultati sperimentali alla terapia

Lungi dall’essere una descrizione a scopo di mera ricerca di base, la comprensione dei macro-network cerebrali e di come essi vengano alterati dalle sostanze d’abuso rappresenta il primo passo nello sviluppo di approcci terapeutici innovativi e sempre più razionali e mirati. L’rsFMRI potrebbe in futuro svolgere un ruolo cruciale per identificare aree e network corticali da utilizzare come bersaglio delle terapie (per la dipendenza da nicotina ma non solo), nonché per valutare l’efficacia delle stesse.

Ora che i biomarcatori funzionali si stanno identificando, si potrebbero infatti mettere a punto linee d’intervento specifiche, volte a ripristinare la corretta connessione tra le diverse aree del cervello effettivamente coinvolte nella dipendenza. In quest’ottica la stimolazione magnetica transcranica di tipo ripetitivo (la rTMS, tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva che permette di alterare l’attività dei neuroni tramite l’applicazione, ripetuta e transiente, di un campo magnetico) è ad esempio uno strumento che sembra piuttosto promettente (Hallett, 2007).     

Stefano Canali e Marcello Turconi

 

Riferimenti bibliografici:

– Sutherland MT et al. (2015). Beyond Functional Localization Advancing the Understanding of Addiction-Related Processes by Examining Brain Connectivity in The Wiley Handbook on the Cognitive Neuroscience of Addiction, Wiley Blackwell ed.

– Gu H et al. (2010). Mesocorticolimbic circuits are impaired in chronic cocaine users as demonstrated by resting‐state functional connectivity. Neuroimage, 53: 593–601.

– Beckmann CF, Smith SM (2004). Probabilistic independent component analysis for functional magnetic resonance imaging. IEEE Transactions on Medical Imaging, 23: 137–152.

– Smith SM et al. (2011). Network modelling methods for FMRI. Neuroimage, 54: 875–891.

– Raichle ME et al. (2001). A default mode of brain function. Proceedings of the National Academy of Sciences, 98: 676–682.

– Seeley WW et al. (2007). Dissociable intrinsic connectivity networks for salience processing and executive control. Journal of Neuroscience, 27: 2349–2356.

– Menon V (2011). Large‐scale brain networks and psychopathology: A unifying triple network model. Trends in Cognitive Sciences, 15: 483–506.

– Sutherland MT et al. (2012). Resting state functional connectivity in addiction: Lessons learned and a road ahead. Neuroimage, 62: 2281–2295.

– Hughes JR (2007). Effects of abstinence from tobacco: Valid symptoms and time course. Nicotine & Tobacco Research, 9: 315–327.

– Evans DE, Drobes DJ (2009). Nicotine self‐medication of cognitive–attentional processing. Addiction Biology, 14: 32–42.

– Prado J, Weissman DH (2011). Heightened interactions between a key default‐mode region and a key task‐positive region are linked to suboptimal current performance but to enhanced future performance. Neuroimage, 56: 2276–2282.

– Koob GF, Volkow ND (2010). Neurocircuitry of addiction. Neuropsychopharmacology, 35: 217–238.

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