Storia del metadone prima del suo utilizzo nel trattamento sostitutivo delle dipendenze da oppioidi

Cinquanta anni fa, Vincent Dole e Marie Nyswander pubblicavano Heroin addiction – a metabolic disease[1] la prima riflessione teorica sulla sperimentazione del trattamento con metadone della dipendenza da eroina partita nel 1965 alla Rockefeller University a New York [2]. Si trattava del trial clinico durato circa tre anni che portava allo stesso tempo all’affermazione del primo trattamento farmacologico razionale ed efficace per la cura degli eroinomani e a quella che è stata sinora la più profonda rivoluzione concettuale nel campo della comprensione scientifica delle dipendenze.

 

La sintesi del metadone e i primi studi per l’utilizzo clinico in Germania

Ma il metadone aveva già una storia piuttosto lunga e articolata prima di questa sperimentazione, una storia che insegna come il pregiudizio concettuale costituisca spesso, a dispetto delle evidenze, un potente ostacolo all’avanzamento della conoscenza scientifica e alla sua applicazione nella pratica clinica.

Il metadone era stato sintetizzato nel 1939 nei laboratori della I.G. Farbenkonzern, una sussidiaria della Farbwerke Hoechst, a Francoforte, in Germania. Dalla fine degli anni Venti, la Hoechst aveva avviato una ricerca tesa allo sviluppo di sostanze sintetiche con proprietà analgesiche e spasmolitiche. Nel 1937 questo filone di ricerca aveva già portato alla messa a punto della petidina o meperidina, il primo oppioide strutturalmente non analogo alla morfina, che veniva messa in commercio col nome di Dolantina, e oggi più noto come Demerol[3]. Nel corso dello sviluppo di questa linea ricerca alla Hoechst, Gustav Ehrhart e Max Bockmühl scoprivano numerose altre sostanze, tra cui, nel 1939, il 2-Dimetilammino-4,4-difenil-5-eptanone, indicato come composto Va 10820: il metadone[4], nome con cui sarà conosciuto però soltanto nel 1947.

Il brevetto del metadone registrato da Gustav Ehrhart e Max Bockmühl il 25 settembre 1941

Il 25 settembre 1941 il composto veniva brevettato. Successivamente iniziavano gli studi per le sue eventuali applicazioni terapeutiche. A tal fine, durante la seconda guerra mondiale, con il nome in codice di Amidone, veniva anche inviato alla Wehrmacht, le forze armate tedesche. Probabilmente a causa dell’uso di dosi eccessive, gli effetti collaterali osservati durante la sperimentazione finivano per indicare non solo l’inefficacia dell’Amidone ma anche la sua pericolosità. La sostanza così non trovava utilizzo per il trattamento del dolore nei soldati in guerra e non riceveva l’approvazione per l’uso commerciale[5].

Con la fine della seconda guerra mondiale tutti i brevetti tedeschi e i nomi commerciali venivano requisiti ed espropriati dalle forze alleate. I registri della ricerca della I.G. Farbenkonzern della Hoechst erano confiscati dagli Stati Uniti e un comitato tecnico spedito alla Francoforte per studiare il lavoro svolto alla Hoechst durante la guerra. La relazione del comitato riportava i risultati di Bockmühl e Ehrhart alla comunità scientifica e alle industrie statunitensi, che sottolineavano come, a dispetto della diversità strutturale, l’Amidone mimava da vicino gli effetti della morfina[6].

 

Amidone diventa Metadone

La formula così venne diffusa anche a livello internazionale e sfruttata da numerose industrie farmaceutiche, cosa che spiega i numerosi e diversi nomi commerciali della sostanza. Nel 1947 il Council on Pharmacy and Chemistry dell’American Medical Association decideva di assegnare alla sostanza il nome generico non proprietario di metadone[7]. La Ely-Lilly commercializzava la sostanza con il nome di Dolophine e la Winthrop come Adanon.

Il 1947 è l’anno in cui esplodono gli studi sul metadone, soprattutto sulle sue proprietà spasmolitiche e analgesiche. Rispetto al tema delle dipendenza invece va rilevato che sin da questi primi studi era evidente che le proprietà analgesiche del metadone non si associavano a franchi effetti euforizzanti, come quelle tipiche della morfina e dell’eroina[8]. Era un dato importante perché gli effetti euforizzanti sono uno degli elementi che più concorrono a determinare il potenziale d’abuso di una sostanza, dato che è molto probabile si determini la motivazione a ripetere il consumo di una sostanza in grado di dare piacere.

 

Gli studi preclinici di Isbell e Wikler

Lo stesso anno, Harris Isbell e Abraham Wikler, due tra i più autorevoli studiosi delle dipendenze da oppioidi del periodo, notavano che sebbene il metadone inducesse una forma di dipendenza fisica, questa era di un’intensità così bassa e accettabile da far suggerire di usare questa nuova sostanza come sostituto per trattare la più severa dipendenza da morfina. Questa era una evidenza condivisa con altri studi clinici dello stesso periodo[9].

A chiudere questo anno denso di studi sul metadone, nel dicembre nel 1947, JAMA pubblicava un nuovo, autorevole e assai articolato, contributo di Isbell, Wikler e altri collaboratori[10].  Lo studio dimostrava che la somministrazione della sostanza portava a tolleranza e a dipendenza fisica e che alcuni effetti sembravano ricordare quelli ricercati con l’uso di morfina ai soggetti studiati nell’esperimento.

Gli autori rilevavano e descrivevano però anche la capacità del metadone di stabilizzare un soggetto con una singola dose giornaliera, e quella di trattare i sintomi astinenziali della morfina. Queste proprietà indicavano nuovamente la possibilità di usare il nuovo oppioide come sostituto della morfina e dell’eroina nel trattamento. Tuttavia, in modo un po’ paradossale, proprio la capacità del metadone di mimare gli effetti della morfina e attenuare i sintomi dell’astinenza da questa sostanza veniva vista come il segno della sua pericolosità. Per tale ragione, gli autori suggerivano che il metadone andasse classificato come sostanza d’abuso capace di dare dipendenza e concludevano: “se la produzione e l’uso non verranno controllati, il metadone diventerà un serio problema di salute pubblica”.

Tra l’altro alcuni soggetti nello studio avevano manifestato reazioni tossiche alla somministrazione della sostanza. Tutti questi studi erano tuttavia viziati da una serie di pregiudizi scientifici. Sulla base delle corrispondenze d’azione, il metadone veniva somministrato in modi analoghi a quelli della morfina e dell’eroina. Così, in larga parte dei casi si cercava di studiare gli effetti con somministrazione ipodermica, il metodo tipicamente utilizzato per la morfina. Risultando poi ancora poco chiara l’azione molto più lenta del metadone rispetto agli altri oppiodi, si riproduceva lo schema di somministrazione allora utilizzato per questi ultimi, con dosi tra i 10-15 mg di metadone ma ripetute anche sei o otto volte al giorno. Queste modalità di somministrazione erano però estremamente differenti da quella poi scoperta efficace per il trattamento delle dipendenze da eroina (terapia sostitutiva). In questo caso infatti la somministrazione è orale, quindi con una farmacocinetica, cioè una modalità e una velocità di azione, molto diversa da quella ipodermica o intravenosa. Con l’ingestione, infatti, il metadone è soggetto ad una prima estensiva estrazione nel fegato dove è anche immagazzinato per il rilascio successivo. Se invece somministrato con iniezione, soprattutto endovenosa, essendo altamente lipofilo e diffondendosi quindi molto facilmente, il metadone tende a comportarsi un po’ più come la morfina e l’eroina e conseguentemente a dare effetti più simili ad esse, ad avere un potenziale d’abuso che richiama in qualche modo quello dei due più vecchi e più abusati oppiodi. Infine la ripartizione del dosaggio giornaliero. Come abbiamo visto, in queste prime sperimentazioni il dosaggio giornaliero, oggi generalmente usato – tra i 60 e i 120 mg (talora anche di più) – e somministrato una volta al giorno (in alcuni casi due), era frazionato in ripetute somministrazioni per iniezione.

Come sostiene J. Thomas Payte, probabilmente le conclusioni del lavoro di Harris Isbell e Abraham Wikler sarebbero state diverse se nello studio avessero somministrato il metadone oralmente[11]. Purtroppo la peculiare farmacocinetica del metadone e le particolarità dell’assunzione orale rimasero misteriose sino ai primi anni Sessanta. Così, l’autorevole studio di Isbell e Wikler segnava il promettente destino del metadone nel trattamento della dipendenza da oppioidi. Per quasi altri venti anni migliaia di individui dipendenti dagli oppiodi si videro preclusa la possibilità di avere il trattamento che grazie a Vincent Dole e Marie Nyswander sarebbe diventato dalla fine degli anni Sessanta l’intervento clinico più rigorosamente studiato e quello che ha prodotto i risultati migliori nel campo della cura delle dipendenze da stupefacenti.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

[1] Dole VP, Nyswander ME. Heroin addiction–a metabolic disease. Arch Intern Med. 1967 Jul;120(1):19-24.

[2] Dole VP, Nyswander ME. A medical treatment for diacetylmorphine (Heroin) addiction. A clinical trial with methadone hydrochloride. JAMA. 1965 Aug 23; 193:646-50.

[3] Eisbel O, Schaumann O, Dolantin ein neuartiges Spasmolytikum und Analgetikum (Chemisches und Pharmakologisches), Deutsche med. Wehnschr. 65: 967 (16 giugno) 1939.

[4] Bockmühl M, Ehrhart G. Über eine neue Klasse von spasmolytisch und analgetisch wirkenden Verbindungen, I. Justus Liebigs Annalen der Chemie 1949;561(1):52-85

[5] Chen KK, Pharmacology of Methadone and related compounds. Annals of the New York Academy of Sciences, 1948, Volume 51, Newer Synthetic Analgesics. pp. 83–97.

[6] Kleiderer EC, Rice JB, Conquest V. Pharmaceutical activities at the I. G. Farbenindustrie plant, Höchst-am-Main, Germany. Rept. 981: Office of the Publication Board, Dept. of Commerce, Washington, D. C. 1945.

[7] Council on Pharmacy and Chemistry. 1947. Methadon, generic term for 6-dimeth-ylamino-4,4-diphenyl-3-heptanone. J. A. M. A. 134: 1483.

[8] Scott WW, et al.  Early  clinical experience  with  Dolophine (No.  10820). Anesth. & Analg. 1947, 26: 18; Eddy S, A new morphine-like  analgesic. J. Am. Pharm. Assoc. 1947, 8: 536; Troxil  EB. The analgesic  action of 1,l-diphenyl-1-(dirr~ethylaminoiso-propy1)-butanone-2 in man.  Fed. Proc. 1947, 6: 378; Troxil  EB.  Clinical evaluation of the analgesic methadon.  JAMA 1948, 136: 920-926.

[9] Eddy S, A new morphine-like  analgesic. J. Am. Pharm. Assoc. 1947, 8: 536.

[10] Isbell H, Wikler A and Eddy N. Tolerance and addiction liability of 6-dimethylamino-4-4-diphenyl-heptanon-3 (methadon). Journal of the American Medical Association, 1947, 135: 888–94.

[11] Payte JT. A Brief History of Methadone in the Treatment of Opioid Dependence: A Personal Perspective, Journal of Psychoactive Drugs, 1991, 23:2, 103-107.

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