Il ruolo della corteccia sensoriale e motoria nelle dipendenze

Il trattamento di una patologia variegata, complessa e dalle profonde implicazioni psicologiche, affettive e sociali come è la dipendenza passa innanzitutto dalla conoscenza, funzionale ma prima di tutto anatomica, delle regioni cerebrali che essa coinvolge. Non è quindi sorprendente il fatto che il mondo della ricerca scientifica abbia investito, a livello internazionale, tempo e risorse per descrivere nel dettaglio quali aree della corteccia cerebrale contribuiscano a determinare l’insorgenza di diverse componenti -sia fisiologiche, sia comportamentali – collegate alle dipendenze, e come ciò avvenga.

Joan Miro, Cifre e costellazioni amorose di una donna (1941)

Non solo amigdala

Lo sviluppo di sofisticate tecniche di neuroimaging, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET) ha permesso di valicare il modello fisiopatologico della dipendenza che potremmo definire mesolimbico: secondo questa spiegazione sono i circuiti normalmente utilizzati per la memoria e la ricompensa (l’area tegmentale ventrale, lo striato, l’amigdala, l’ippocampo, la corteccia prefrontale) ad essere alterati  nel meccanismo fisiopatologico che caratterizza l’insorgere di una dipendenza.

Al di là di questo verificato modello, resta di fondamentale importanza individuare le altre regioni cerebrali attivate durante e dopo il consumo di una sostanza, o addirittura semplicemente da stimoli che possano risvegliare, nella persona dipendente, il ricordo della sostanza. O, ancora, capire le aree coinvolte nel processo di transizione dall’uso (o abuso) di una sostanza alla dipendenza vera e propria. È da queste necessità che hanno preso piede diversi studi, pubblicati negli ultimi anni, che hanno illustrato il ruolo della corteccia motoria e sensoriale nella cosiddetta drug-cue reactivity (ossia nell’insieme di risposte, fisiologiche e comportamentali, che uno stimolo collegato a una sostanza provoca in una persona dipendente).

Il normale funzionamento delle aree sensorimotorie

Le cortecce visive, uditive e somatosensoriali sono tra le aree cerebrali più studiate nell’ambito della ricerca neuroscientifica, e il loro funzionamento è ormai assodato, soprattutto per quanto riguarda situazioni non patologiche: l’informazione sensoriale proveniente dagli stimoli esterni viene innanzitutto catturata dai campi recettivi presenti nella periferia del sistema nervoso; essa viene poi convogliata e, attraverso una serie di stazioni intermedie, giunge alla corteccia cerebrale, dove viene elaborata. Da una corteccia primaria, l’informazione passa poi a regioni corticali di ordine superiore, fino ad arrivare ad aree della corteccia (localizzate nel lobo temporale e parietale) che sono veri e proprie stazioni di interscambio multisensoriale, in cui diversi input sensoriali sono integrati per generare una rappresentazione dettagliata e univoca dello stimolo.
Analogamente, anche nella generazione di un movimento sono diverse le regioni cerebrali che collaborano, creando informazioni relative all’azione motoria sempre più precise e integrate: la corteccia motoria primaria (M1), la corteccia premotoria e il cervelletto svolgono un ruolo manifesto nella preparazione motoria, nell’inizio e nell’esecuzione del movimento, nel suo controllo fino al termine dello stesso. Queste aree interagiscono con i gangli della base, che assicurano che un flusso di informazioni fluente e organizzato giunga ai motoneuroni e, per ultimo, ai muscoli effettori.

Input sensoriali, schemi motori e dipendenza

Visto il loro ruolo cruciale nell’acquisizione delle informazioni (da un lato) e nell’esecuzione del movimento (dall’altro) gruppi di ricerca di tutto il mondo hanno a lungo sottovalutato, in realtà, la molteplice importanza delle cortecce primarie in altri processi cognitivi più complessi.  Ad esempio è stato sviluppato che la corteccia visiva primaria è particolarmente sensibile a informazioni collegate a qualche forma di ricompensa: diversi studi basati sull’fMRI e sulla PET hanno evidenziato attivazioni marcate di quest’area durante paradigmi di cue reactivity su soggetti dipendenti. Apparentemente, anche se la corteccia visiva è prevalentemente coinvolta nell’elaborazione di informazioni visive basali e nell’analisi delle caratteristiche più semplici legate agli oggetti che vediamo, la sua attivazione può essere fortemente modulata dall’apprendimento di un soggetto nei confronti di uno stimolo e dal valore ad esso associato.
Un comportamento analogo è osservabile anche nelle aree somatosensoriali della corteccia, che sono principalmente coinvolte nell’analisi di basso livello di informazioni tattili. Ci sono prove che indicano come, in pazienti dipendenti, l’esposizione a stimoli visivi collegati a una sostanza d’abuso attivi le regioni somatosensoriali.
Nel mondo dello studio delle dipendenze, la corteccia motoria è stata a lungo considerata solo nella descrizione di sintomi motori correlati all’abuso di determinate sostanze; tuttavia il suo ruolo, e quello delle altre regioni cerebrali adibite al movimento, è ora ben chiaro anche in questo contesto. È stato ad esempio dimostrato che, in modelli animali, la somministrazione di cocaina contribuisce in maniera importante alla formazione e al consolidamento di abilità motorie correlate alla somministrazione della sostanza. Questa abilità acquisite potrebbero corrispondere ai pattern motori automatizzati, correlati alla ricerca e all’assunzione di droga, nell’uomo: questi comportamenti, che prendono il nome generale di drug-seeking, sono tra i più chiari indicatori di una dipendenza, e la loro frequenza può essere un marcatore della gravità della dipendenza stessa.

Lo sviluppo di rappresentazioni soggettive degli stimoli correlati alla sostanza di cui si è dipendenti, legate essenzialmente dall’esperienza finora sperimentata dal soggetto e dal valore perciò attribuito agli stimoli stessi, sembra perciò evidenziare un contributo essenziale delle regioni sensoriali e motorie del nostro cervello nello sviluppo delle dipendenze.
Gli stimoli acquisiscono un valore motivazionale dipendente dalla ricompensa ad essi correlati. Tuttavia, a differenza di quanto si potesse ipotizzare fino a qualche anno fa, ora è chiaro che questo processo di correlazione è elaborato e gestito non solo dal sistema mesolimbico, ma anche anche dai circuiti sensorimotori.

Un aiuto per la ricerca e per la clinica

La comprensione delle dinamiche descritte risulta di particolare importanza nello sviluppo di paradigmi sperimentali che vogliano analizzare la reazione di stimoli correlati alle sostanze d’abuso: i disegni sperimentali dovrebbero innanzitutto tenere attentamente in considerazione la modalità sensoriale attraverso cui presentare gli stimoli, e i processi di integrazione multisensoriale sovrastanti.
Tuttavia queste scoperte aprono nuove strade anche nel campo terapeutico: identificare le regioni cerebrali che sono altamente responsive nei confronti di una sostanza – o di uno stimolo ad esso correlato- potrebbero infatti facilitare lo sviluppo di trattamenti più mirati, che vadano a colpire in maniera specifica le attivazioni neurali in queste regioni.

Al di là dell’approccio chimico-farmacologico, un grande interrogative nell’ambito della clinica delle dipendenze è capire se e come queste associazioni stimolo-ricompensa, e la loro influenza sull’attività del sistema motorio e sensoriale, possano essere modificate attraverso tecniche terapeutiche non invasive. Le strategie cognitive basate sull’autocontrollo possono, ad esempio, diminuire l’attivazione delle cortecce sensoriali. Questo avviene perché tali strategie influenzano l’entità dei bias di natura attentiva correlati all’elaborazione degli stimoli e del craving (il desiderio spasmodico di assunzione), soprattutto quando gli stimoli vengono presentati abbastanza a lungo da permettere ai partecipanti di attivare volontariamente meccanismi cognitivi di controllo.

L’attivazione delle cortecce sensoriali primarie può inoltre essere utilizzata come elemento predittivo per determinare il successo di un intervento terapeutico: è stato ad esempio dimostrato che il segnale fMRI registrato in alcune regioni del giro occipitale in risposta a stimoli correlati alla cocaina predice il grado di successo terapeutico; in questo modo è più facile identificare a priori i pazienti più vulnerabili al rischio di abbandono della terapia o di ritorno all’assunzione, prestando loro ulteriore cura e definendo approcci sempre più personalizzati.

Infine, è stato dimostrato che anche i pattern motori possono essere alterati da approcci terapeutici: ad esempio in una popolazione di alcolisti è stata osservata un’attivazione del cervelletto in risposta a stimoli olfattivi, che è del tutto scomparsa a seguito di una terapia comportamentale della durata di tre settimane, associata a un approccio psico-farmacologico.

Il coinvolgimento delle aree che regolano l’elaborazione e la risposta automatica a stimoli collegati alle droghe è ancora un campo aperto, ma ora i gruppi di ricerca di tutto il mondo hanno a disposizione un modello descrittivo molto più particolareggiato, in grado di fornire interessanti spunti per sviluppare strategie sempre più efficienti, mitigando il rischio di ricadute per la maggior parte dei pazienti.

Riferimenti bibliografici

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Kosten, T. R., Scanley, B. E., Tucker, K. A., Oliveto, A., Prince, C., Sinha, R., … & Wexler, B. E. (2006). Cue‐induced brain activity changes and relapse in cocaine‐dependent patients. Neuropsychopharmacology, 31(3): 644–650.

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