Un endofenotipo delle dipendenze: il caso della P300

Le dipendenze e l’abuso di sostanze sono patologie complesse, la cui sintomatologia variegata è specchio di un’altrettanta complessa variazione del normale funzionamento cerebrale. Per molti di questi sintomi sono note le cause genetiche che contribuiscono a un aumentato rischio di sviluppare determinati disturbi comportamentali, mentre è ancora fitto il mistero che avvolge quelle che si potrebbero definire le tappe intermedie del processo patologico.

Ramon Casas, Jove decadent (1899)

L’endofenotipo è una componente misurabile, ma al contempo invisibile a occhio nudo, che si caratterizza come una parte intermedia del percorso esistente tra genotipo e fenotipo (manifestazioni sintomatiche, di natura fisiologica e/o comportamentale) di una malattia.
In particolare, nel contesto delle patologie psichiatriche un endofenotipo è tale se condivide con essa delle variazioni ereditabili, se è evidente sia durante la fase attiva sia durante la fase inattiva della patologia, se viene co-trasmessa a livello familiare, e se è evidente sia in familiari affetti dalla patologia, sia in persone sane. Inoltre, generalmente l’endofenotipo precede e segnala un rischio aumentato di sviluppare la patologia stessa (Iacono and Malone, 2011).

Sono stati diversi, nel corso degli anni, i tentativi di identificare, attraverso le tecniche di registrazione del segnale cerebrale, delle impronte -nascoste nell’attività neurale- che potessero fungere da endofenotipo per l’abuso e la dipendenza da sostanze. L’approccio sicuramente più utilizzato è quello dell’elettroencefalogramma (EEG) che, attraverso degli elettrodi posti sul cuoio capelluto di una persona, è in grado di registrane l’attività cerebrale. L’EEG è una tecnica del tutto non invasiva, priva di effetti collaterali e in grado di identificare l’attivazione/inibizione di determinate aree cerebrali con un’elevatissima risoluzione temporale.
L’EEG può quindi essere utilizzato per registrare cosa avviene, nel cervello di un soggetto, negli attimi immediatamente successivi alla presentazione di uno stimolo (di natura sensoriale-tattile, visivo, uditiva- o che invece richiede un’elaborazione cognitiva più complessa). Questa tecnica, definita potenziali evocati (o event related potential, ERP) permette di identificare dei picchi nel tracciato EEG, delle variazioni del segnale elettroencefalografico che rispecchiano l’attivazione di una popolazione neuronale in risposta a uno stimolo. Tali picchi sono solitamente identificati da una lettera, che ne indica la polarità (P per positivo, N per negativo) e un numero, che indica il tempo (in millisecondi) che intercorre tra lo stimolo e il picco in esame. In quest’ottica, numeri più bassi indicano risposte immediate del sistema nervoso, e identificano picchi (come la N100) che riflettono risposte sensoriali più primitive; picchi con una latenza maggiore (come la P300, uno dei potenziali evocati più studiati) sono invece correlati ad elaborazioni cognitive più complesse.

Un tipico potenziale evocato. Sull’asse Y l’ampiezza del segnale, sull’asse X la latenza.
Ogni picco è identificato da una lettera, che ne indica la polarità, e da un numero, che ne indica la latenza.

Proprio la P300 e la sua ampiezza sono da alcuni anni oggetto di studio nell’ambito della ricerca di un endofenotipo collegato alla propensione all’abuso di sostanze. La P300 viene evocata dalla presentazione di uno stimolo, tipicamente visivo o uditivo, raro o inatteso; nonostante i sistemi neurologici sottostanti a questa risposta fisiologica non siano del tutto chiari, sembra che la P300 rifletta l’attivazione di circuiti che connettono le regioni frontali e quelle tempo/parietali, e che sono coinvolti nei processi di attenzione, nei comportamenti di natura decisionale e nella memoria. Secondo le teorie più accreditate (Polich, 2007) la P300 riflette un meccanismo di inibizione neurale in grado di facilitare la trasmissione dello stimolo saliente (raro, o atteso) a discapito di altri, considerati di minore importanza.

La P300, e in particolare la riduzione della sua ampiezza, presenta diversi punti di contatto con la definizione di endofenotipo per le patologie collegate all’abuso di sostanze: una ridotta P300 è associata, innanzitutto, a comportamenti di abuso; l’ampiezza di tale onda è poi ereditabile di generazione in generazione e presenta tratti genetici che si possono riscontrare anche nel fenotipo che caratterizza situazioni patologiche; inoltre una ridotta ampiezza della P300 è evidente dopo un periodo di astinenza, ma anche nei figli – che non avevano mai fatto uso di sostanze- di pazienti affetti da disturbi di abuso. Infine, una ridotta P300 registrata durante l’infanzia/prima adolescenza può predire un elevato rischio di sviluppare situazioni patologiche legate all’uso di sostanza in età adulta, così come altri disturbi comportamentali (disturbo dell’attenzione o di iperattività, sessualità precoce, eccessiva disinibizione, vedi Iacono e McGue, 2006).
Un’ulteriore prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, di quanto sia difficile eradicare comportamenti così complessi- e al contempo così dannosi- come quelli collegati all’uso e abuso di sostanze; comportamenti che affondano le radici nei processi cognitivi più strutturati, ma che grazie all’individuazione della P300 e di altri endofenotipi potrebbero risultare più facili da trattare.

Riferimenti bibliografici:

Wilson et al., (2015) Neurological Risk Factors for the Development of Problematic Substance Use in Handbook on the Cognitive Neuroscience of Addiction, Wiley Backwell ed.

Iacono, W. G., & Malone, S. M. (2011). Developmental endophenotypes: Indexing genetic risk for substance abuse with the P300 brain event‐related potential. Child Development Perspectives, 5: 239–247.

Polich, J. (2007). Updating P300: An integrative theory of P3a and P3b. Clinical Neurophysiology, 118: 2128–2148.

Iacono, W. G., & McGue, M. (2006). Association between P3 event‐related brain potential amplitude and adolescent problem behavior. Psychophysiology, 43: 465–469.

 

 

 

User Avatar

admin

Read Previous

I processi cognitivi alla base della terapia: il case study del colloquio motivazionale

Read Next

Psicotropismo, teletropismo, autotropismo: le sostanze psicoattive come agente che plasma la cultura umana

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *