Pratiche contemplative e Mindfulness nel trattamento del disturbo da sostanze e nelle dipendenze

Negli ultimi dieci anni l’interesse della ricerca e della ricerca in clinica sulle pratiche mindfulness ha subito una straordinaria accelerazione. Nel giugno 2017, interrogato con le chiavi di ricerca “mindfulness” e “meditation”, pubmed restituisce 1403 articoli pubblicati. In ordine di tempo, il primo lavoro classificato in questo modo è uno studio del 1982 sull’utilizzo della mindfulness nel trattamento del dolore cronico di Jon Kabat-Zinn[1], biologo molecolare statunitense, tra coloro che più hanno contribuito all’introduzione delle pratiche contemplative in clinica.

L’applicazione della mindfulness nella clinica delle dipendenze è più recente. Il primo studio in cui viene esplicitamente richiamata la potenziale utilità terapeutica della mindfulness esce nel 2004 e riguarda le strategie di controllo del desiderio delle sostanze, del craving[2]. Dal 2006, grazie soprattutto all’impulso dato da Alan Marlatt e Sarah Bowen, le ricerche sull’applicazione degli interventi basati sulla mindfulness nel trattamento dei disturbi da uso di sostanze e delle dipendenze hanno iniziato a diffonderesi rapidamente, per moltiplicarsi in modo esponenziale dal 2015. Usando come chiavi di ricerca “mindfulness” e “addiction” nel giugno 2017 pubmed restituisce 141 articoli e 60 di questi sono pubblicati dal 2015 al 2017. Oggi sono disponibili diverse revisioni sistematiche che indicano il training mindfulness come un promettente trattamento per il disturbo da uso di sostanze[3].

Nel tentativo di integrare le pratiche mindfulness all’interno di trattamenti attuabili e replicabili per i disturbi da uso di sostanze sono stati messi a punto diversi protocolli standardizzati di interventi comportamentali, tra cui i corsi di meditazione Vipassana, la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), la Mindfulness-Based Relapse Prevention (MBRP), la più recente Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement (MORE). La pratica mindfulness costituisce una parte importante anche di altri interventi per il trattamento dei disturbi da uso di sostanza, come l’Acceptance and Commitment Therapy – terapia dell’accettazione e dell’impegno – (ACT), la terapia dialettico comportamentale – Dialectical Behavior Therapy (DBT) -, la terapia dello schema spirituale del Sé – Spiritual Self-Schema (3-S).

Nel post descriveremo sinteticamente queste diverse metodologie.

Wassily Kandinsky – Studio Sul Colore, Quadrati Con Cerchi Concentrici, 1913

1.            Meditazione Vipassana

La meditazione Vipassana è la comune radice originaria di queste tecniche. Si veda il post di approfondimento sulla Vipassana in questo sito.

Vipassana è probabilmente la più antica tra le forme di meditazione buddista[4]. Nella pratica Vipassana la meditazione è comunemente svolta nella posizione seduta, l’attenzione viene ancorata sul respiro e ogni volta che insorge un pensiero o una sensazione distraente, si osserva, si etichetta e si lascia andare per tornare sul respiro[5]. Nella meditazione Vipassana è possibile anche la focalizzazione dell’attenzione sul corpo, sulle emozioni, e su altri processi mentali.

Nel disturbo da uso di sostanze i corsi di meditazione Vipassana sono finalizzati a sviluppare l’attenzione, la consapevolezza e l’accettazione verso le esperienze correlate al consumo come lo stress, il craving o gli stimoli interni ed esterni associati alle sostanze. Si cerca in questo modo di ottenere la non reattività verso questi stimoli che invece generalmente innescano il consumo. L’effetto del training Vipassana sul consumo di sostanze è stato studiato su una popolazione carceraria[6]. I risultati della ricerca hanno indicato che dopo il rilascio, rispetto ai soggetti di controllo trattati con interventi standard, i partecipanti al corso Vipassana presentano una significativa riduzione nel consumo di sostanze, una diminuzione dei sintomi psichiatrici e un incremento dell’esito positivo di tipo psicosociale.

 

2.            Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR)

Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) è un programma che integra tre diverse tecniche, meditazione seduta, body scan, Hatha Yoga.

L’impianto fondamentale della MBSR viene messo a punto da Kabat-Zinn alla fine degli anni Settanta per il trattamento dei pazienti con dolore cronico e valutato per la prima volta con uno studio pubblicato nel 1982[7]. L’addestramento alla Mindfulness in questi soggetti era finalizzato a facilitare un atteggiamento di osservazione distaccata delle sensazioni propriocettive, promuovendo in tal modo la separazione dell’esperienza del dolore dalla reazione affettiva e la riduzione della sofferenza percepita attraverso il reappraisal cognitivo. Il programma MBSR è stato successivamente formalizzato in un curriculum pubblicato[8] e utilizzato nel trattamento di una vasta gamma di disturbi somatici e del comportamento. L’obiettivo del programma è quello di sviluppare nei partecipanti la consapevolezza, il decentramento, cioè la capacità di prendere le distanze dai propri contentuti mentali, l’atteggiamento non giudicante e non reattivo, l’accettazione, la capacità di lasciare andare sensazioni, emozioni e pensieri indesiderati[9]. Ad oggi il programma MBSR è il training di meditazione più citato nel contesto medico[10].

L’interesse della ricerca per la MBSR ha visto un aumento esponenziale in questi ultimi dieci anni. Ad oggi sono stati pubblicati oltre 600 articoli su questo programma, oltre la metà dei quali sono usciti negli ultimi quattro anni. Molti di questi studi suggeriscono che I pazienti con malattie croniche possono giovarsi dell’incorporazione del MBSR nel trattamento[11]. Come terapia complementare nel trattamento dei disturbi da uso di sostanze il programma MBSR è ad oggi quello più utilizzato e studiato[12].

 

3.            Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT)

Il curriculum MBSR rappresenta lo schema su cui, nell’integrazione delle strategie delle terapie cognitive[13], è stata modellata la MBCT[14]. Come la MBSR infatti, la MBCT prevede un addestramento di 8 settimane con meditazioni sedute, body scan e, in maniera minore della MBSR, esercizi di Yoga.

La MBCT è soprattutto utilizzata per il trattamento dei sintomi depressivi[15] e dei disturbi d’ansia[16] ma si è tentato anche il suo impiego come terapia complementare nelle dipendenze, in particolare quando associate a depressione e altri disturbi dell’umore[17].

 

4.     Mindfulness-Based Relapse Prevention (MBRP)

A sua volta, la MBCT ha costituito il modello della MBRP, un programma che combina il programma cognitivo-comportamentale di prevenzione delle ricadute messo a punto da Marlatt nel 1985[18] con la pratica mindfulness[19]. Nell’idea di Marlatt, le pratiche e gli esercizi del programma MBRP sono disegnati per aumentare la consapevolezza e potenziare la capacità di rispondere in modo intenzionale. L’obiettivo principale è infatti quello di portare il paziente a limitare i comportamenti automatici, coltivando l’attenzione verso le esperienze sensoriali, emotivi e cognitive sia nelle situazioni che possono indurre l’innesco del consumo, sia più in generale nelle normali attività quotidiane[20]. Molti degli esercizi previsti nella MBRP hanno come specifico obiettivo lo sviluppo della tolleranza agli stati negativi di tipo fisico, emotivo e cognitivo al fine di ridurre la necessità di attenuare il disagio attraverso comportamenti impulsivi e potenzialmente associati a una qualche forma di ricompensa, attuale o appresa, come il consumo di sostanze.

Ad oggi, la MBRP si è dimostrato efficace nel trattamento del disturbo da uso di sostanze rispetto ai trattamenti tradizionali[21] e rispetto al trattamento residenziale di prevenzione delle ricadute[22].

 

5.            Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement (MORE)

La strategia di intervento MORE combina l’utilizzo della mindfulness con le tecniche della cosiddetta “Third Wave” delle terapie cognitivo comportamentali, e i principi della psicologia positiva[23]. Si veda il post specifico sulla MORE in questo sito.

La meditazione mindfulness nel metodo MORE viene utilizzata per interrompere gli schemi comportamentali coinvolti nel consumo di sostanze, e promuovere il corretto processo di valutazione dei valori edonici. Fondamentalmente, il paziente è spinto a ristrutturare le funzioni del sistema della ricompensa, che processano il valore relativo degli stimoli, dei comportamenti e delle esperienze.

Dopo aver appreso le tecniche base della mindfulness, ai pazienti vengono insegnati esercizi di contemplazione più avanzati, pensati per ristrutturare i processi di valutazione che provocano la dipendenza, e per imparare a “gustare”, i piaceri naturali attraverso tecniche di mindful savoring, cioè di assaporamento consapevole.

Fino ad oggi, la strategia MORE è stata sperimentata in tre studi clinici randomizzati[24]. Il primo, svolto su 53 alcolisti in cura in una struttura residenziale, e ha dimostrato che la tecnica è in grado di diminuire lo stress e la soppressione del pensiero, e di migliorare la variabilità del battito cardiaco in condizioni di stress e alla vista dell’alcol. Un secondo trial su 115 pazienti con una dipendenza da antidolorifici oppiodi ha dimostrato che il gruppo sottoposto a MORE ha sviluppato una maggiore tolleranza allo stress e al dolore, un minore desiderio di assumere le sostanze, e ha avuto più pazienti che al termine della terapia non rientravano più nei criteri diagnostici per l’abuso patologico di oppioidi L’ultimo studio, effettuato su 180 pazienti psichiatrici con una concomitante dipendenza, ha valutato l’efficacia di MORE comparandola a quella di una terapia cognitivo comportamentale, e ha dimostrato la maggiore efficacia della nuova terapia rispetto a quella più tradizionale.

 

6.            Terapia dialettico comportamentale – Dialectical Behavior Therapy (DBT)

La DBT è una forma modificata di terapia cognitivo comportamentale elaborata alla fine degli anni Ottanta da Marsha Linehan per trattare pazienti con disturbo borderline di personalità[25]. Il trattamento manualizzato della DBT dura un anno e punta a sviluppare le capacità di regolazione emotiva, di tolleranza e accettazione della sofferenza, di efficacia interpersonale, unitamente alle principali competenze mindfulness: consapevolezza, decentramento, non reattività. Secondo la teoria che fonda la DBT I pazienti con disturbo bordeline di personalità e gli altri soggetti affetti da disturbi del comportamento vivono la dialettica tra due opposte tensioni: l’accettazione e il cambiamento. La DBT sarebbe in grado di intervenire su questa dialettica, risolvendola in una nuova e più funzionale sintesi, attraverso l’individuazione di modi di vedere e comportamenti alternativi.

Studi di efficacia sembrano dare indicazioni discordanti sull’utilità della DBT nel trattamento del disturbo bordeline di personalità[26] e nelle dipendenze[27].

 

7.            Terapia dell’accettazione e dell’impegno – Acceptance and Commitment Therapy (ACT)

L’ACT è una forma di terapia cognitivo comportamentale che incorpora una serie di obiettivi e tecniche mindfulness, come soprattutto l’accettazione, la consapevolezza, l’apertura, e il decentramento dai contenuti mentali[28]. Piuttosto che insegnare principlamente a controllare meglio pensieri, emozioni e comportamenti, come fanno le più tradizionali forme di terapia cognitivo comportamentale l’ACT mira in primo luogo a sviluppare nel cliente la capacità di osservare, accettare i contenuti mentali indesiderati e quindi a staccarsi da essi con la defusione. La condizione di accettazione, non evitamento, è la precondizione per la comprensione dell’esperienza contestuale del sé. Questa comprensione muove la ricerca di strategie contestuali e di repertori comportamentali più vasti e flessibili, più consapevolmente conformi ai valori del cliente anche all’interno di esperienze dolorose[29].

Uno studio di revisione del 2015 ha dimostrato la maggiore efficacia dell’ACT rispetto al placebo e ai trattamenti comuni per I disturbi d’ansia, la depressione e il disturbo da uso di sostanze[30].

 

8.            Terapia dello schema spirituale del Sé – Spiritual Self-Schema (3-S)

Questo tipo di intervento ha l’obiettivo di modificare lo schema del sé che guiderebbe i comportamenti negli individui. Nel caso delle dipendenze lo scopo è chiaramente la revisione dello schema del sé costruito coi tratti che caratterizzano generalmente i soggetti dipendenti e con cui questi si rappresentano, come l’impulsività, l’egoismo, l’irresponsabilità[31].

La terapia è strutturata su una serie di pratiche e principi della filosofia buddista e prevede attività di disciplina mentale, come esercizi di concentrazione e la mindfulness, la meditazione e la riflessione sull’impermanenza e sul craving, la modificaficazione di altri aspetti cognitivi legati alla dimensione morale.

Studi iniziali sulla 3-S suggeriscono che rappresenti una promettente strategia per ridurre l’impulsività e il consumo di sostanze[32].

 

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

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