Piacere, apprendimento, dipendenze

René-Magritte, Les Profondeurs du Plaisir. 1948
Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique

Il tema del piacere è uno degli aspetti più centrali e ricorrenti nei discorsi sull’uso di sostanze e le dipendenze. Questo tema tuttavia viene spesso evocato in modo moralistico, soprattutto per caratterizzare la distanza etica, la devianza, di questo uso del piacere. Purtroppo, invece, nel dibattito pubblico scarso spazio viene riservato a quello che la ricerca sta portando alla luce sulla natura del piacere e sui suoi legami con l’apprendimento, la costruzione delle abitudini, degli stili di vita e con l’uso e l’abuso di sostanze. Una migliore conoscenza dei meccanismi del piacere potrebbe invece contribuire a sviluppare politiche educative, sociali e sociosanitarie maggiormente incisive e modelli di comprensione e di intervento sull’uso di sostanze e sulle dipendenze più razionale ed efficaci.

 

Piacere, adattamento e sopravvivenza. Il punto di vista evoluzionistico

Per comprendere meglio il ruolo del piacere e della gratificazione nell’apprendimento e nella costruzione dei comportamenti adattativi o talora, disfunzionali è forse utile fare un breve ragionamento evoluzionistico. In termini genuinamente biologici il piacere è ciò che ci spinge a imparare, ricordare e quindi ripetere i comportamenti che hanno soddisfatto un bisogno biologico. Infatti i piaceri sono primariamente legati alle motivazioni biologiche, la fame, la sete, ripararsi dal freddo, combattere l’eccessivo riscaldamento del corpo la sessualità, quindi tutto ciò che contribuisce al mantenimento degli equilibri fisiologici e concorre a determinare la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Poi noi uomini abbiamo aggiunto a queste ricompense primarie, una serie di gratificazioni più complesse, di tipo culturale, che però reclutano e attivano lo stesso apparato cerebrale.

 

Il sistema di ricompensa cerebrale. Dal piacere all’apprendimento dei comportamenti strumentali

La soddisfazione delle motivazioni biologiche e il piacere sono correlati all’attivazione del sistema di ricompensa cerebrale[1], un complesso di vie e centri neurali unito funzionalmente dalla condivisione di un neurotrasmettitore: la dopamina. Questo mediatore nervoso è allo stesso tempo il bersaglio dell’azione di tutte le sostanze d’abuso, legali e illegali[2].

Come hanno dimostrano gli ormai classici esperimenti di Wolfram Schultz, il sistema dopaminergico ha almeno una doppia funzione nei comportamenti correlati alle ricompense[3]. Schultz ha misurato l’attività dei neuroni dopaminergici in scimmie impegnate ad apprendere un compito associativo. La risposta corretta era rinforzata da una ricompensa, un sorso di succo di frutta erogato da un’apposita bottiglia. Nelle prime fasi di apprendimento i neuroni dopaminergici venivano attivati dal sorso di succo di frutta, dunque dalla gratificazione legata alla consumazione della ricompensa. Stabilita l’associazione invece questa attivazione veniva rilevata all’inizio del compito, prima dell’ottenimento del succo di frutta, precedentemente alla ricompensa. Con l’apprendimento del comportamento funzionale al raggiungimento della gratificazione dunque l’attivazione dopaminergica diventa un segnale predittivo della ricompensa. La dopamina in certo modo segnala e ricorda all’animale che quell’esercizio, con una determinata sequenza di azioni, porta al piacere del succo di frutta. L’attivazione dopaminergica così motiva e riattiva i comportamenti appresi per ottenere la ricompensa.

Le ricerche successive hanno confermato la scoperta di Schultz. Oggi sembra dimostrato che quando proviamo piacere il sistema di ricompensa cerebrale si attiva, e rilascia dopamina. La dopamina agisce di concerto con l’acido glutammico, il principale mediatore eccitatorio del cervello, nell’induzione dei fenomeni di neuroplasticità alla base degli apprendimenti associati alle ricompense[4]. In modo semplificato si potrebbe dire che questi due neurotrasmettitori cooperano nella costruzione e nella fissazione dei contatti neuronali nei circuiti attivati immediatamente prima e durante l’ottenimento della ricompensa. La loro azione pare facilitare la costruzione delle sinapsi, dei legami tra i neuroni, che si sono accesi assieme contemporaneamente quando abbiamo provato piacere, come postulato dalla legge di Hebb, “I neuroni che scaricano assieme si collegano”.

Il rilascio di dopamina e la concomitante azione dell’acido glutammico sembrano favorire cioè la connessione tra quei neuroni che si sono attivati per la realizzazione dei comportamenti capaci di assicurare la ricompensa, per gli stimoli visivi occorsi durante queste azioni, per gli stimoli olfattivi, uditivi, propriocettivi, viscerali concorrenti, ma anche per le emozioni provate, e gli altri elementi soggettivi – coscienti e anche inconsci -, esperiti durante la ricompensa. Per questa ragione, qualunque tipo di questi stimoli o di questi stati soggettivi si ripresenta nell’ambiente, nell’organismo o nella coscienze, diventa uno segnale che predice la ricompensa e tende a riattivare la sequenza motoria e comportamentale usata quando si è provato quel tipo di piacere, si è appreso ad ottenere quel tipo di gratificazione. Dal punto di vista adattativo è importante che questi apprendimenti finiscano per determinare risposte impulsive e talora anche automatiche. In ambiente ancestrale, nella scarsità e volatilità degli oggetti in grado di soddisfare le motivazioni biologiche come la fame, la sete, la sessualità, la termoregolazione, la sicurezza, era funzionale reagire velocemente, senza troppo pensare, in presenza di una segnale predittivo di gratificazione. Un tempo efficiente, questo meccanismo è oggi diventato problematico, considerata l’eccessiva disponibilità di potenziali ricompense in grado di attivare il sistema dopaminergico e di conseguenza costruire motivazioni e tendenze ad agire impulsivamente, abitudini e stili di vita patogeni: cibi ricchi di grasso, zuccheri, messaggi e immagini con segnali sessuali, i sempre più diffusi richiami dei possibili premi del gioco d’azzardo, delle lotterie.

 

Sostanze psicoattive d’abuso, sistema della ricompensa e sviluppo delle dipendenze

Anche tutte le sostanze d’abuso, come abbiamo detto all’inizio del post, causano un rilascio forzato di dopamina e dunque agiscono come un falso segnale di ricompensa[5]. In questo modo, come abbiamo visto per le ricompense naturali, le sostanze finiscono per promuovere la costruzione di potenti associazioni tra effetti soggettivi della sostanza, stimoli ambientali, viscerali associati all’assunzione della sostanza e azioni legate alla ricerca e al consumo della sostanza. Se l’uso di una sostanza viene sufficientemente reiterato può quindi stabilirsi un apprendimento per cui gli stimoli associati alle sostanze diventano segnali predittivi della ricompensa e motivano e innescano i comportamenti di ricerca e consumo. Con la continuazione dell’uso questi comportamenti possono trasformarsi in profonde abitudini, in forme di automatismi più o meno pronunciati e poi in compulsione, aggirando i controlli cognitivi e volontari e determinando così la dipendenza[6]. Per tali ragioni è possibile sostenere che la dipendenza è un disturbo dell’apprendimento e della memoria[7].

Ora, questa prospettiva, sviluppatasi da ricerche di tipo neurofarmacologico e molecolare, riporta l’attenzione sul piano dei processi cognitivi e dell’apprendimento. Di conseguenza, la puntuale conoscenza dei meccanismi dell’apprendimento e della modificazione delle memorie e delle abitudini fissate dagli apprendimenti diventa un elemento fondamentale per la comprensione della dipendenza, della sua persistenza, delle ricadute, così come per la messa a punto di interventi più efficaci[8], meglio capaci di attenuare, modificare o addirittura estinguere le memorie e le associazioni che strutturano la rigidità dei comportamenti dei soggetti dipendenti.

 

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

[1] Schultz W. Neuronal reward and decision signals: from theories to data. Physiological Reviews. 95 (3): 853–951; Berridge KC, Kringelbach ML. Pleasure systems in the brain. Neuron. 2015 6;86(3):646-64.

[2] Di Chiara G, Acquas E, Carboni E. Drug motivation and abuse: a neurobiological perspective. Ann N Y Acad Sci. 1992 Jun 28;654:207-19; Di Chiara G. Drug addiction as dopamine-dependent associative learning disorder. Eur J Pharmacol. 1999 Jun 30;375(1-3):13-30; Di Chiara G, Bassareo V, Fenu S, De Luca MA, Spina L, Cadoni C, Acquas E, Carboni E, Valentini V, Lecca D. Dopamine and drug addiction: the nucleus accumbens shell connection. Neuropharmacology. 2004;47 Suppl 1:227-41.

[3] Schultz W (1986) Responses of midbrain dopamine neurons to behavioral trigger stimuli in the monkey. J Neurophysiol. 56: 1439-1462.

[4] Kelley AE Memory and addiction: shared neural circuitry and molecular mechanisms. Neuron. 2004 Sep 30;44(1):161-79.

[5] Di Chiara G, Acquas E, Tanda G, Cadoni C. Drugs of abuse: biochemical surrogates of specific aspects of natural reward? Biochem Soc Symp. 1993;59:65-81.

[6] Everitt BJ, Robbins TW. Neural systems of reinforcement for drug addiction: from actions to habits to compulsion. Nat Neurosci. 2005 Nov;8(11):1481-9.

[7] Hyman SE. Addiction: a disease of learning and memory. Am J Psychiatry. 2005 Aug;162(8):1414-22;

[8] von der Goltz C, Kiefer F. Learning and memory in the aetiopathogenesis of addiction: future implications for therapy? Eur Arch Psychiatry Clin Neurosci. 2009 Nov;259 Suppl 2:S183-7.

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One Comment

  • Eccomi di nuovo Stefano e volevo completare il tuo bel saggio sul piacere, apprendimento e dipendenze evocando come proprio la dipendenza provoca una sorta di dirottamento del piacere inteso come edonismo da ricercare avidamente che stigmatizza un comportamento da consumo “binge” e di intossicazione (George KOOB) a un evitamento del dolore (che Shopenhaueriamente diventa una sorta di piacere senza edonismo) tramite il consumo. Ambedue queste condizioni diventano smisuratamente forti, come testimonia il “craving” sia per il rinforzo positivo che per il rinforzo negativo, cioè ottenere una momentanea tregua dall’immensa disforia che si è instaurata, ironia della sorte, in quel ambito chiamato il circuito della gratificazione.. L’overflow della dopamina, artefice di quello che tu efficacemente chiami “un falso segnale di ricompensa” è orribilmente falso perché smisurato a un punto da mettere KO l’intero circuito della gratificazione che garantiva, proprio attraverso un misurato piacere per le ricompense naturali (mangiare, bere, riprodursi ed accudire i propri cuccioli), la sopravvivenza dell’individuo e della sua specie. Il cervello rimedia inviando lì sul campo quattro saette della disgrazia, trasformando il tutto in un “lato oscuro della dipendenza” (ancora cito George Koob): il CRF (corticotropin releasing factor), la dinorfina, la vasopressina e la norepinefrina… oltre allo spazzamento dei recettori dopaminergici D2 … risultato? Disforia, anedonia, disperazione… e ricerca della sostanza non più per “godere” del canto delle sirene e del piacere effimero ma per sentirsi solo per un momento, altrettanto effimero (per dirla alla Pink Floyd..) “comfortably numb… Un caro saluto Daniel Amram

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