Natura d’America, sacra dispensa di allucinogeni

Lophophora williamsii
Lophophora williamsii

Con la scoperta del continente americano gli europei si resero conto di quanto fosse avara di sostanze psicotrope e soprattutto psichedeliche la dispensa sacra della natura del Vecchio Mondo. Tra gli infiniti tesori del novus urbis, infatti, rilucevano sopra a tutti le magiche piante della forza e della coscienza divina: la coca, i funghi e i cactus allucinogeni. La straordinaria varietà della botanica psichedelica sembrava curiosamente corrispondere al diverso atteggiamento esistenziale, più votato alla comunione spirituale con le cose della natura, più contemplativo, meno attivo e intraprendente, che le popolazioni americane avevano rispetto ai conquistatori. Come se la materia psichica della coscienza allucinata avesse a poco a poco invaso il quotidiano, segnato così tutta la loro cultura, imprimendo nel comune sentire le voci, le visioni e le emozioni fantastiche e terribili raccolte in infiniti viaggi drogati.

La scoperta delle piante psicotomimetiche del Nuovo Mondo apriva in tal mondo agli europei un territorio da esplorare enormemente più vasto e affascinante dell’ignota geografia del continente fanciullo: lo spazio amplificato ed incongruo dell’esperienza psichedelica.

 

La carne di dio e il fungo magico messicano

«La prima cosa che si mangiava durante la festa erano dei piccoli funghi neri chiamati nanacatl, che hanno la proprietà di inebriare, di causare allucinazioni e spingere alla lussuria. […] I piccoli funghi venivano mangiati con del miele e, allorché la loro influenza aveva inizio, si cominciava a danzare. Alcuni cantavano, altri, ebbri, piangevano; alcuni, rimasti senza voce, si ritiravano nelle capanne e vi restavano come assorti; alcuni piangevano sentendosi morire, ad altri pareva di essere divorati da bestie feroci, altri ancora si immaginavano di catturare un nemico nella mischia. Ad alcuni pareva di essere colti in adulterio e che sarebbero stati uccisi per questo o di essere stati condannati a morte per qualche malefatta; […] passata l’ebbrezza parlavano l’un l’altro delle proprie allucinazioni». Così il frate francescano, Bernardino da Sahagún descriveva nella sua Historia general de las cosas de Nueva España, l’uso e gli effetti del fungo Psilocybe mexicana, la “carne di dio”, come lo chiamavano gli indigeni.

Il culto del nanacatl o teonanacatl, della carne di dio, è certamente molto antico. Probabilmente però in origine i funghi non venivano mangiati, ma da essi si ricavava un estratto che costituiva il principio attivo di una bevanda degli dei, analoga al soma. Il teonanacatl era lo strumento cardine di una scienza dimenticata in grado di spiegare ed illuminare la coscienza suprema. Gli affreschi e le statue-fungo ritrovate e che risalgono sino al X secolo a.C., nella loro eloquente simbologia, raccontavano come gli indios, abbandonando la mente al fungo sacro, riuscivssero a risalire la corrente delle metamorfosi umane sino alla sorgente originale dello spirito. L’idea dello psylocibe come veicolo di un viaggio a ritroso verso una grandezza e una ricchezza perdute è ancora oggi comune in alcuni riti degli Indiani mazatechi e zapotechi. La carne di dio, così almeno affermano, li traghetta dalla squallida periferia del mondo, dove imperano miseria e sofferenza, al centro dell’universo, in quel giardino primitivo dove abitano ancora i loro straordinari avi.

L’identificazione del teonanacatl con lo Psylocibe fu fatta soltanto nel 1956 da Wasson e Roger Heim. I due ricercatori portavano quindi il fungo in Francia, dove veniva coltivato nei laboratori del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi. Fu Albert Hofmann, chimico e farmacologo della Sandoz di Basilea, ad isolare nel 1958 le maggiori componenti attive dello Psylocibe, la psilocibina e la psilocina, due sostanze straordinariamente simili nella struttura chimica all’LSD, il potente allucinogeno sintetizzato dallo stesso Hofmann nel 1943.

Il Cactus peyote e la mescalina

Il Peyote o Peyotl, la pianta da cui si ricava la mescalina, è un cactus, il cui nome scientifico è Lophophora williamsii o Anhalonium lewinii. Ciò che sappiamo sui suoi primi impieghi ci è giunto da Francisco Hernandez, medico alla corte di Filippo II di Spagna. Hernandez effettuò numerosi viaggio nell’America Centrale, il primo dei quali assieme a Cortez, con lo scopo di conoscere e studiare le moltissime erbe medicinali degli indios. Scoprì in tal modo che il peyote era considerato sacro dagli aztechi. «Coloro che lo mangiano o lo masticano hanno visioni o terrorizzanti o comiche […] immagini terrificanti come se si trattasse del demonio», così Hernandez descriveva il suo primo incontro con un rituale pubblico di assunzione del peyote in Messico.

Anche il francescano Bernardino  da Sahagun riferiva nella sua Historia general de las Cosas de Nueva España l’uso del peyote da parte delle popolazioni del Centro America: «la pianta Peyotl, una specie di erd-tuna, è bianca, cresce nelle regioni nordiche, e in quelli che ne bevono o mangiano provaca delle visioni terribili o ridicole. Questa ebbrezza dura due o tre giorni, poi passa. I Chichimeki mangiano moltissimo questa pianta: essa dà loro forza e li incita alla lotta toglie loro la paura e non lascia loro sentire la fame né la sete: si dice che in questo modo essi sono al di sopra di ogni pericolo.»

Il peyotismo

Il termine peyotl è probabilmente di origine azteca e sembra che designi qualcosa di colore bianco, splendente. La sacralità del peyote è passata indenne attraverso l’opera di conversione dei missionari europei, tanto che il suo uso è integrato ancora oggi nei rituali della religione cristiana che gli indios praticano. Nel corso della storia, il culto del peyote si è diffuso verso nord, nelle popolazioni indiane dell’America Centro-settentrionale.

Nel 1918, un singolare sincretismo tra culto del peyote e dottrina cristiana veniva proclamato ufficialmente come Chiesa indigena americana. Vari racconti mitologici servivano a rifondare la teologia, la morale e l’escatologia cristiane su una struttura di valori e simboli più compatibile con la tradizionale cultura indiana. Nessun dogma specifico era imposto ai fedeli, poiché ciascuno poteva entrare in comunione con Dio tramite la grazia che dava l’ingestione del peyote. Per questa ragione, i sacerdoti del peyotismo affermavano che «la migliore maniera di istruirsi sulla religione è di assumere il peyote e di imparare attraverso di esso»

Ancora oggi il peyotismo costituisce una delle religioni più praticate dagli indiani che vivono negli stati compresi tra le Montagne Rocciose e il Mississipi. Molte sono state le polemiche sorte negli Stati Uniti intorno a tale culto, per la centralità rituale che esso assegna all’uso di sostanze allucinogene, tuttavia fino ad oggi le varie amministrazioni statunitensi hanno sempre riconfermato la sua legalità.

Phantastika: gli effetti del peyotl

Gli effetti del peyotl si esercitano soprattutto a carico della percezione visiva. Lous Lewin così si esprimeva al riguardo nel 1927: «L’illusione dei sensi fanno sì che il soggetto sia completamente assorbito. Dagli oggetti più banali emanavano meraviglie: il mondo che il soggetto vede ora fa apparire pallido e moro il mondo che gli appariva prima: esso contiene delle sinfonie di colori di uno splendore, di una delicatezza e d’una varietà, quali la mano umana è incapace di riprodurre. E gli oggetti immersi in un tale splendore di tinte si muovono, e talora le loro tinte mutano così rapidamente che l’impressione psichica quasi non ha il tempo di adattarvisi. Dopo qualche tenpo compaiono arabeschi o figure colorate, che si avvolgono e svologno in un giouco delicato, incessante, talora attenuate da ombre scure, talaltra di una chiarezza inondante: le figure che si formano sono graziose e varissime: figure geometriche, sfere o dadi di tinte mutevoli, triangoli con punte gialle, donde partono cordoni d’argento o d’oro, tappeti dai colori splendenti, tappezzerie, filigrane oscure su fondo azzurro, o striscie gialle, azzurre, verdi, rosse, luminose su un fondo scuro, anche stoffe di forma quadrata, che sembrano tessute con filo d’oro ondulati, stelle di uno splendore azzurro, verde, giallo; o si mostrano dei riflessi luminosi di pietre preziose, forme cristalline di tinta varia, magicamente splendenti, anche paesaggi o campi, di colore  vario come di pietre preziose colorate, piante con fiori di colore giallo chiaro, e molte altre visioni. Inoltre possono apparire delle forme grottesche: dei nani colorati, degli esseri favolosi plastici, mobili, o rigidi come pitture»

Dai resoconti di chi ha assunto il peytotl emerge inoltre che si sperimenta frequentemente, in lucida coscienza, la smaterializzazione e la moltiplicazione dell’io. Il soggetto può assistere inerme ad un drammatico smontaggio, alla spietata dissezione chimica della sua personalità. Il teatro interno della coscienza si trasforma in un allucinato teatro anatomico dove, con sereno e sbigottito distacco, si può assistere da spettatori all’esame autoptico del nostro io. Il peyotl sembra poi ricomporre questi contenuti psichici isolati in forme incongrue, bizzarre, incomprensibili e assegnare loro un valore conoscitivo assoluto, disvelante, che dà l’impressione vivida della certezza e della verità intuita. È questa la ragione per cui il peyotl è stato usato come veicolo di percorsi iniziatici volti alla ricerca di più o meno sedicenti realtà assolute dell’universo e verità disvelate dell’interiore.

 

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Stefano Canali

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