Manifesto

By Dominik from Germany – Party like it’s 1969, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9394708

Negli ultimi 15 anni circa, il concetto di dipendenza ha subito un profondo slittamento teorico. I sintomi della tolleranza e della crisi di astinenza, tratti cardinali nella classica definizione biomedica della dipendenza, hanno assunto un aspetto secondario. Elemento centrale nella attuale concettualizzazione della dipendenza è la perdita del controllo volontario del comportamento come effetto di un apprendimento patologico. La dipendenza sembra diventata cioè un disturbo cognitivo. Essa rappresenterebbe un disordine dell’apprendimento strumentale causato dalla reiterata attivazione del sistema di ricompensa cerebrale da parte delle sostanze d’abuso.

Secondo questa prospettiva, la ripetuta associazione tra ricompensa indotta dalle sostanze e stimoli associati trasformerebbe nel tempo questi ultimi in elementi predittivi di un premio. Quando questo tipo di apprendimento si stabilisce gli stimoli associati alle sostanze, luoghi, gesti, odori, emozioni, sensazioni viscerali si caricherebbero di una intensa valenza incentivante e la loro presenza percepita porterebbe all’innesco degli schemi comportamentali del consumo, aggirando i controlli inibitori.

By Dominik from Germany - Party like it's 1969, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9394708
By Dominik from Germany – Party like it’s 1969, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9394708

Questa idea della dipendenza è costruita intorno a concetti da lungo tempo oggetto della riflessione filosofica e delle scienze cognitive. Concetti come quelli desiderio, appetito, controllo volontario, decisione, motivazione, abitudine, incentivo, ricompensa, apprendimento e così via. La ricerca biomedica e anche la pratica clinica che se ne vorrebbe derivare stanno attualmente usando questi concetti in modo ingenuo e disinvolto, Da alcuni secoli le tradizioni filosofiche, in particolare l’etica, e le scienze cognitive ormai da molti decenni hanno sviluppato su tali temi teorie assai precise e strumenti critici molto sofisticati. Un impianto teorico, ma anche di pratiche, che però resta largamente sconosciuto a chi studia e lavora nel campo delle dipendenze.

Una migliore comprensione di quanto la filosofia, le scienze cognitive e la neuroetica hanno scoperto o stanno portando alla luce a proposito dei processi in gioco nell’apprendimento, nella memoria, nel decision making, e dei meccanismi di controllo delle emozioni, dei desideri e degli appetiti sarebbe un potente ausilio per la ricerca sulle dipendenze e per la messa a punto di strategie cliniche e preventive più efficaci.

I processi mentali coinvolti nelle condizioni di uso o abuso di droghe e nelle dipendenze sono poi ovviamente condizionati dal livello sociale e dal sistema dei valori, cioè dalla storia. Un soggetto capace o meno di controllare il suo proprio comportamento e il suo eventuale rapporto con una sostanza o un altro oggetto di dipendenza è tale solo in relazione a un contesto sociale e morale. Per questo anche la storia, la storia dei comportamenti d’abuso la storia biologica e la storia cultuale dell’uomo sono elementi fondamentali per comprendere meglio e agire più efficacemente sul consumo di sostanze e sulle condizioni di dipendenza, da sostanza e senza sostanza, come ad esempio, il gioco d’azzardo.

Il sito è pensato come un luogo dove provare a mettere assieme queste diverse conoscenze, integrare questi punti di vista, dal biologico al culturale, purtroppo ancora oggi oltremodo distanti.

Stefano Canali