Dimmi cosa pensi della dipendenza e ti dirò se guarirai. Le credenze sulle dipendenze e i loro effetti sull’autocontrollo

Nel mondo delle professioni sanitarie, in particolare nel settore dell’intervento sulle dipendenze, è largamente diffusa l’idea che la dipendenza sia una malattia del cervello indotta nel tempo dell’uso reiterato di droghe che compromette il controllo volontario del consumo delle sostanze stesse[i]. Questa prospettiva è stata di riflesso ampiamente diffusa al pubblico, che sembra averne incorporato gli aspetti principali. Non così tra la comunità scientifica e nel mondo della ricerca. Un crescente numero di lavori scientifici supporta visioni alternative, come quella secondo cui la dipendenza è un disturbo della scelta, oppure un disordine della motivazione[ii]; oppure addirittura l’idea che la dipendenza sia un comportamento razionale, non patologico in cui i costi che il soggetto paga sono inferiori ai benefici che in qualche modo riesce ad ottenere[iii]. A questo proposito si può pensare alla razionalità dell’abuso di sostanze in un individuo che vive una condizione traumatica, totalmente priva di prospettive di cambiamento, senza nessun supporto affettivo o sociale. In certi individuo, l’uso e anche l’abuso della sostanza in tal caso possono diventare una forma di medicazione e aggiramento di una situazione altrimenti disperante e insostenibile.

 

Le credenze condizionano il mondo in cui ci comportiamo

Considerato l’elevata pluralità dei modelli di spiegazione delle dipendenze, gli studiosi, le professioni sanitarie e i sistemi di cura e intervento sulle dipendenze dovrebbero forse usare maggiori cautele critiche nel promuovere un punto di vista sull’altro al grande pubblico, perché le prospettive che diffondono contribuiscono a generare certi insiemi di credenze.

 

Le idee sul libero arbitrio modulano la forza e il funzionamento delle capacità di autocontrollo

Auguste Rodin, La Pensée, 1888-89

Le credenze improntano e modellano il comportamento degli individui. E diverse credenze sulle competenze psicologiche e comportamentali, come quelle sul libero arbitrio, impattano fortemente sul rapporto che gli individui hanno con il mondo, gli altri e con i loro stessi impulsi, desideri, appetiti. Un aspetto fondamentale della credenza nel libero arbitrio infatti è l’idea che si è in grado di controllare le proprie azioni[iv]. Le persone usano l’autocontrollo per dirigere la propria vita verso risultati ottimali, e le persone che non usano l’autocontrollo soffrono di una miriade di esiti negativi, tra cui peggiori prestazioni scolastiche e lavorative, redditi più bassi, maggiore probabilità di criminalità e più alti tassi di abuso di sostanze e dipendenza[v]. Per questo, la credenza nell’esistenza e nel possesso del libero arbitrio sembra essere particolarmente rilevante per, controllare, inibire e superare i comportamenti di dipendenza[vi], presumibilmente perché una dipendenza è caratterizzata da desideri intensi e distorti[vii] nonché da una serie di profondi automatismi comportamentali che sono inibiti e regolati dall’autocontrollo.

Poiché il successo dell’autocontrollo dipende in parte dal credere che uno sia capace di autocontrollo, scoraggiare l’idea che le persone abbiano questa capacità potrebbe minare l’autocontrollo. In effetti, la ricerca empirica sembra indicare che minare la fiducia delle persone nel libero arbitrio diminuisce il loro autocontrollo[viii]. Questo, a sua volta, può spiegare perché bassi livelli di credenza nel libero arbitrio correlano anche con i comportamenti di inganno[ix] e con il pregiudizio[x]: entrambi questi comportamenti infatti sono largamente regolati e inibiti da un autocontrollo funzionale ed evidentemente queste caratteristiche dell’autocontrollo sono in parte mediate dalla credenza che si ha di questa competenza cognitiva.

Dunque, la nozione diffusa che la dipendenza sia una patologia cronica del cervello che pregiudica il controllo volontario dell’uso della sostanza può favorire nei soggetti dipendenti e nei loro familiari la credenza di essere di fronte a una condizione da cui non possono uscire. Il controllo di una sostanza implica il possesso di intatte facoltà di libero arbitrio, ma queste, secondo il modello medico della dipendenza, sono proprio le capacità che l’uso della sostanza ha finito per mettere fuori gioco. Abbracciare una simile prospettiva può determinare il venir meno della motivazione al recupero perché il soggetto crede di non avere il grado di autonomia e autodeterminazione necessaria a controllare e quindi a superare l’uso della sostanza.

Al contrario, le persone che credono fermamente nel libero arbitrio potrebbero avere meno probabilità di diventare dipendenti, se usano sostanze, e più probabilità di aver successo nel recupero e nella cura se invece l’uso li porta a sviluppare dipendenza. D’altra parte diverse ricerche suggeriscono che l’autoefficacia, l’efficacia di sé percepita, verso il recupero, o la specifica convinzione che uno è in grado di smettere, aumenta la velocità con cui le persone smettono di fumare[xi] bere alcol[xii].

 

La credenza della dipendenza come malattia del libero arbitrio e i suoi effetti sulla cura e sulle capacità di recupero

Un recente e complesso studio empirico di Andrew J. Vonascha, Cory J.Clark, Stephan Laub, Kathleen D. Vohsc e Roy F. Baumeister[xiii] ha provato a misurare le credenze sulla dipendenza dei tossicodipendenti e del largo pubblico e l’impatto di queste credenze sull’uso di sostanze e sui percorsi di recupero e cura. E i risultati sono piuttosto preoccupanti.

Questo studio dimostra che:

1) i tossicodipendenti e il pubblico credono che la dipendenza implichi una perdita di autocontrollo e libero arbitrio;

2) e che ridotti livelli di credenza nel libero arbitrio sono associati a un più elevato uso di droghe, a un minor numero di tentativi di smettere e anche a un numero più elevato di tentativi infruttuosi.

Lo studio suggerisce inoltre che i tossicodipendenti usano questa credenza per giustificare e scusare i propri comportamenti problematici di dipendenza, attenuare il senso di responsabilità morale per il loro comportamento sregolato e ridurre la stigmatizzazione di cui possono essere vittime. Per queste ragioni, nei tossicodipendenti e anche per le professioni sanitarie, l’utilizzo della visione medica della volontà compromessa può essere talora percepito come uno strumento che garantisce qualche forma di vantaggio. Ma questi vantaggi percepiti sono ampiamente superati dalle conseguenze negative che questa prospettiva può avere sull’andamento del rapporto con le sostanze. Minimizzare il proprio libero arbitrio in relazione a una dipendenza infatti tende a dar luogo a una profezia che si autoavvera: una condizione in cui la svalutazione del libero arbitrio accresce il potere percepito delle sostanze che creano dipendenza e diminuisce la percezione del proprio autocontrollo.

Questi risultati dunque sembrano dimostrare la necessità di riformulare la comunicazione della ricerca scientifica sulle dipendenze e quindi la percezione pubblica della loro natura, ma anche la comunicazione degli operatori nelle strutture e nei servizi di cura e trattamento delle dipendenze. Vanno assolutamente evitati i messaggi semplificati con cui si comunica l’equazione dipendenza e compromissione cronica del controllo volontario del comportamento. La guarigione dalla dipendenza dipende profondamente dal senso di controllo che si ha di sé, delle sostanze e degli stimoli che ne richiamano il desiderio.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici 

[i] Ad esempio: E.M. Jellinek, The disease concept of alcoholism, 1960; A.I. Leshner, Addiction is a brain disease, and it matters. Science, 278 (5335) (1997), pp. 45-47; N.D. Volkow, J.S. Fowler, Addiction, a disease of compulsion and drive: Involvement of the orbitofrontal cortex. Cerebral Cortex, 10 (3) (2000), pp. 318-325.

[ii] Ad esempio: R.F. Baumeister, A.J. Vonasch, Uses of self-regulation to facilitate and restrain addictive behavior. Addictive Behaviors, 44 (2015), pp. 3-8; G.M. Heyman, Addiction: A disorder of choice. Harvard University Press (2009); J.A. Schaler, Addiction is a choice. Open Court Publishing (2000).

[iii] Becker, G. and K. Murphy A theory of rational addiction. Journal of Political Economy, 1998, 96, 675-700;  Melberg HO, Rogeberg OJ. Rational addiction theory: a survey of opinions. J Drug Policy Anal (2010) 3(1):5.10.2202/1941-2851.1019.

[iv] G. Feldman, R.F. Baumeister, K.F.E. Wong, Free will is about choosing: The link between choice and the belief in free will. Journal of Experimental Social Psychology, 55 (2014), pp. 239-245; A.E. Monroe, B.F. Malle, From uncaused will to conscious choice: The need to study, not speculate about people’s folk concept of free will. Review of Philosophy and Psychology, 1 (2) (2010), pp. 211-224.

[v] J.P. Tangney, R.F. Baumeister, A.L. Boone, High self-control predicts good adjustment, less pathology, better grades, and interpersonal success. Journal of Personality, 72 (2004), pp. 271-324.

[vi] T.H. Brandon, T.A. Herzog, L.M. Juliano, J.E. Irvin, A.B. Lazev, V.N. Simmons, Pretreatment task persistence predicts smoking cessation outcome. Journal of Abnormal Psychology, 112 (3) (2003), pp. 448-456; M. Muraven, Practicing self-control lowers the risk of smoking lapse. Psychology of Addictive Behaviors, 24 (3) (2010), pp. 446-452.

[vii] T.E. Robinson, K.C. Berridge The psychology and neurobiology of addiction: An incentive–sensitization view.

Addiction, 95 (s2) (2000), pp. 91-117.

[viii] D. Rigoni, S. Kühn, G. Gaudino, G. Sartori, M. Brass, Reducing self-control by weakening belief in free will. Consciousness and Cognition, 21 (3) (2012), pp. 1482-1490.

[ix] K.D. Vohs, R.F. Baumeister, Addiction and free will. Addiction Research and Theory, 17 (3) (2009), pp. 231-235.

[x] X. Zhao, L. Liu, X.X. Zhang, J.X. Shi, Z.W. Huang, The effect of belief in free will on prejudice. PloS One, 9 (3) (2014), Article e91572.

[xi] Ad esempio: C.C. DiClemente, Self-efficacy and smoking cessation maintenance: A preliminary report. Cognitive Therapy and Research, 5 (2) (1981), pp. 175-187; A.J. Garvey, R.E. Bliss, J.L. Hitchcock, J.W. Heinold, B. Rosner, Predictors of smoking relapse among self-quitters: A report from the Normative Aging Study. Addictive Behaviors, 17 (4) (1992), pp. 367-377.

[xii] K.E. Solomon, H.M. Annis, Outcome and efficacy expectancy in the prediction of post-treatment drinking behaviour.

British Journal of Addiction, 85 (5) (1990), pp. 659-665.

[xiii] A. J. Vonasch, C.J. Clark, S. Lau, K.D. Vohs, R.F. Baumeister, Ordinary people associate addiction with loss of free will. Addictive Behaviors Reports, 2017, 5, Pp. 56-66.

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