La molteplicità dell’Io, l’identità narrativa e le terapie narrative

Non vorrai dirmi che tu
sei tu o che io sono io.
Siamo passati come passano gli anni.
Altro di noi non c’è qui che lo specimen
anzi l’imago perpetuantesi
a vuoto –
e acque ci contemplano e vetrate,
ci pensano al futuro: capofitti nel poi,
postille sempre più fioche
multipli vaghi di noi quali saremo stati.

Così scriveva nel 1975 Vittorio Sereni nella poesia intitolata “Altro posto di lavoro” uscita nella raccolta Stella variabile: una suggestiva descrizione poetica della molteplicità dell’Io e delle identità personali.

 

La molteplicità dell’Io

Ernst Ludwig Kirchner, Doppio autoritratto
Ernst Ludwig Kirchner, Doppio autoritratto

Ma cos’è il nostro Io? Secondo le scienze cognitive l’Io è un sistema complesso composto di diversi agenti e subsistemi funzionali, di diverse identità quindi. Nella nostra mente, e in modo correlato nelle strutture cerebrali, infatti agiscono in parallelo e in modo integrato diversi agenti funzionali. Sistemi funzionali per la percezione, per la memoria autobiografica, per il controllo volontario dell’azione, per le emozioni, per l’attenzione, per gli automatismi e le memorie procedurali, per i processi decisionali, e così via. Talora alcuni di questi sistemi manifestano comportamenti antagonistici, funzionano cioè in opposizione, in contrasto. Ciò ad esempio accade non raramente tra i processi emotivi/impulsivi e le funzioni di autocontrollo. Tutti noi abbiamo frequentemente osservato personalmente il soccombere delle nostre buone intenzioni, della nostra consapevole volontà, sotto la spinta di intense attivazioni emotive. Ci capita di essere così due “persone” nello stesso momento, avere dentro di noi due diverse e contrapposte motivazioni ad agire, due diversi sistemi di intenzioni e valutazioni.

Se immaginiamo poi la proiezione della nostra persona nel tempo appare evidente che i nostri Sé diventano addirittura multipli, come scriveva Sereni. Ad esempio durante un processo di scelta rispetto a consumare o meno un oggetto che può dare un piacere immediato ma che espone a rischi futuri: bere alcol a una cena per una persona cui piace. La valutazione concentrata sul presente suggerisce di consumare immediatamente, ma ciò nel futuro prossimo espone l’Io al rischio di un’incidente in macchina al ritorno a casa. D’altra parte questo invece non interessa al mio Sé futuro ma già tornato a casa e steso a letto, che potrebbe pure addormentarsi prima per effetto dell’alcol. Ma per un mio Sé ancora più distante nel tempo, l’uso dell’alcol potrebbe causare danni al fegato, farmi ingrassare, alterare il sistema cardiocircolatorio e così via. A distanza temporali diverse dal presente per il mio Io variano le emozioni, i valori che anche razionalmente assegniamo ai nostri stati mentali e alle cose con cui interagiamo. Per questo, in una scelta presente possiamo avvertire simultaneamente intenzioni differenti e contrapposte. Le nostre diverse motivazioni presenti corrispondono alle differenti proiezioni del nostro Io nel tempo: siamo temporalmente multipli.

Ma allora da dove scaturisce questa prepotente percezione dell’unità della nostra mente, la convinzione che il nostro Io sia un’entità dotata di una sua natura singolare, coesa, momento per momento e nel tempo?

 

Siamo agenti narrativi. La nostra identità è il racconto provvisorio di una storia creata da noi stessi

Paul Klee, Racconto alla Hoffmann, 1921
Paul Klee, Racconto alla Hoffmann, 1921

Secondo le scienze cognitive, l’Io è un agente narrativo costantemente impegnato a tessere storie e interpretazioni che tengono assieme i diversi agenti interni della mente e i diversi Sé che un soggetto impersona nei vari ambienti in cui vive e nelle diverse dimensioni temporali in cui si pensa. Il filosofo Daniel Dennett ha descritto l’Io come un centro di gravità narrativa, un’entità astratta, non sostanziale, un personaggio fittizio che però è in grado di esercitare una sorta di attrazione sui diversi elementi della nostra mente e sulle nostre diverse esperienze nel tempo.

Secondo questa prospettiva, siamo tutti narratori, tutti impegnati in un incessante atto circolare di creazione, comprensione e composizione delle diverse parti e dei diversi tempi delle nostre vite.

A differenza della maggior parte delle storie che abbiamo ascoltato o letto, le nostre vite però non seguono un arco predefinito. Dal punto di vista materiale, oggettivo, l’esistenza individuale si sviluppa in un susseguirsi di contingenze e di interazioni con altri fattori e protagonisti occasionali che si sopraggiungono in modo fortuito e spesso caotico. Le nostre identità ed esperienze sarebbero per questo costantemente cangianti e frammentarie se non intervenisse un processo di interpretazione e coesione di queste schegge episodiche: la creazione di una storia sensata. Prendendo le circostanze disparate delle nostre vite e dei nostri contenuti di coscienza e mettendoli insieme in una narrazione, creiamo un tutto unificato che ci consente di comprendere le nostre vite come storie coerenti. E la coerenza è una fonte di significato, di identità, di continuità nel tempo di valori, intenzioni e singolarità.

 

Cos’è l’identità narrativa

L’identità narrativa è una storia interiorizzata che creiamo noi stessi – la nostra personale mitologia. Come i miti, la nostra identità narrativa contiene personaggi che ci aiutano e altri che ci ostacolano, eventi importanti che determinano la trama, le sfide perse e superate, la sofferenza che abbiamo sopportato, le gioie vissute. Quando vogliamo che le persone ci capiscano, condividiamo con loro la nostra storia o parti di essa; quando vogliamo sapere chi è un’altra persona, gli chiediamo di condividere parte della sua storia.

La storia che regge l’identità narrativa di un individuo non è una storia esauriente di tutto ciò che gli è accaduto. Piuttosto, facciamo “scelte narrative”. Le nostre storie tendono a concentrarsi sugli eventi più straordinari, buoni o cattivi, perché quelle sono le esperienze cui diamo un ruolo preminente e che usiamo consapevolmente per ricostruire la trama e il senso della nostra vita. Ma le interpretazioni che diamo ai fatti sono personali, diverse e specifiche. Per una persona, ad esempio, un’esperienza infantile come essere gettati in acqua da un genitore per imparare a nuotare spiega il suo essere oggi il suo senso di se un imprenditore abituato a imparare sfidando dei rischi. Per un altro, quell’esperienza potrebbe spiegare perché odia il mare e non si fida delle figure di autorità. Una terza persona potrebbe ritenere del tutto irrilevante questo episodio per la sua identità ed escluderlo così dalla sua storia.

 

Le componenti dell’identità narrativa e la loro relazione con il benessere psicologico

I modi in cui un individuo racconta gli episodi e la storia della sua vita correla con il benessere psicologico e la soddisfazione che gli individui hanno verso la loro vita. Ad esempio le persone che tendono a raccontare storie, anche di episodi negativi, ma trovando in esse comunque aspetti positivi, crescita, qualche insegnamento e qualche vantaggio indiretto, manifestano una salute psicologica più elevata, maggiore propensione a impegnarsi per la società, l’ambiente, le nuove generazioni e sentono di avere un ruolo attivo nella loro vita, di essere responsabili e protagonisti. Al contrario accade a chi tende a raccontare le storie soffermandosi, sulle perdite, i fallimenti, a riferire parabole in perdita, storie che virano al peggio. Esisterebbero poi altri aspetti tipici degli schemi narrativi, come ad esempio la tendenza a riflettere mentre si raccontano le proprie storie, oppure quella di sottolineare o svalutare il ruolo che hanno avuto gli altri, oppure ancora la tendenza a chiudere le storie con una fine positiva o negativa, o a trovare un senso nella storia. Questi aspetti del modo di raccontare la propria identità narrativa possono essere oggetto di revisione.

Da un paio di anni, insieme a Francesco Ferretti, sto studiando possibili marcatori linguistici e narrativi nelle dipendenze. I risultati delle prime indagini sono già usciti su lavori pubblicati su riviste scientifiche internazionali, tra cui l’ultimo: Canali, S., Altavilla, D., Acciai, A., Deriu, V., Chiera, A., Adornetti, I., et al. (2021). The Narrative of Persons with Gambling Problems and Substance Use: A Multidimensional Analysis of the Language of Addiction. JOURNAL OF GAMBLING ISSUES, 47, 167-198 [10.4309/jgi.2021.47.7]

 

Modificare le storie personali per modificare il comportamento

La ricerca suggerisce che le strategie di editing narrativo delle storie possono essere efficaci nel trattamento dei disturbi del comportamento. Anche piccoli aggiustamenti nei modi con cui si racconta la propria storia possono avere un impatto significativo nella ristrutturazione più ampia dell’identità personale. È possibile eseguire esercizi di scrittura/riscrittura degli aspetti narrativi che più si associano al disturbo e in questo modo mitigarlo. Abbiamo scritto degli approcci narrativi nella terapia delle dipendenze qui. Si possono usare anche esercizi di lettura e scrittura per potenziare la propensione a vedere la propria storia in una prospettiva più funzionale a ottenere certi risultati desiderati. Ad esempio in uno studio di alcuni anni fa molto citato, Adam Grant e Jane Dutton hanno chiesto alle persone che curano le raccolte fondi dai call center universitari di fare un esercizio di scrittura per quattro giorni consecutivi. A un gruppo (i beneficiari) hanno chiesto di scrivere a proposito di attenzioni verso di loro per cui hanno provato gratitudine. A un altro gruppo (i benefattori) hanno invece chiesto di scrivere delle volte che loro hanno aiutato altre persone.

I ricercatori hanno poi contato il numero di telefonate fatte e i soldi raccolti dai due diversi gruppi, scoprendo che le persone impegnate a scrivere sugli episodi della loro vita in cui avevano agito come benefattori facevano il 30% di telefonate in più rispetto agli altri e di conseguenza reperivano più fondi.

Questo esperimento è uno dei molti in cui si dimostra che scrivere storie su di Sé enfatizzando certi aspetti o da certe prospettive modifica l’identità percepita e per questo anche le nostre azioni. D’altra parte ciò è congruente con quanto affermato da tempo dalla teoria dell’autopercezione Daryl J. Bem secondo cui osservando ciò che facciamo – quindi anche ciò che scriviamo o diciamo – noi inferiamo le nostre preferenze e i nostri atteggiamenti e quindi circolarmente li radichiamo o li modifichiamo.

 

Imparare a raccontare le storie in modo più coerente, chiaro e preciso può migliorare le capacità di autoregolazione e l’autocontrollo

Ma la capacità del lavoro sui contenuti dei racconti personali di modificare l’identità narrativa e i comportamenti di un individuo potrebbe sembrare ovvia e intuitiva. D’altra parte è in ultima analisi quello che si fa con tutte le psicoterapie. Meno scontata è la capacità di migliorare il senso di autoefficacia, la capacità di regolare le emozioni e l’autocontrollo lavorando sulle componenti strutturali delle narrazioni. Indagini recenti, tra cui una condotta dal mio gruppo di ricerca, suggeriscono che esistono correlazioni tra queste importanti funzioni dell’Io e le variabili narrative “pure” delle storie che una persona racconta come l’ordine cronologico del racconto, la presenza di indicazioni causa-effetto nelle parti del racconto, la coerenza tematica, la coesione, la presenza di un chiaro arco narrativo che si risolve. Ciò suggerisce che si potrebbe lavorare sulla capacità di produrre strutture narrative coerenti, pulite, precise, efficaci, cioè di raccontare bene le storie, per migliorare le competenze funzionali e adattative di un individuo, ne parleremo presto.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

Bem, D. J. (1967). Self-Perception: An Alternative Interpretation of Cognitive Dissonance Phenomena. Psychological Review, 74, 183-200; Bem, D. J. (1972). Self-Perception Theory. In L. Berkowitz (Ed.), Advances in Experimental Social Psychology (Vol. 6, pp.1-62). New York: Academic Press.

Dennett, D. (1992). “The Self as a Center of Narrative Gravity”, in F. Kessel, P. Cole and D. Johnson, eds, Self and Consciousness: Multiple Perspectives, Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1992.

Grant, A., & Dutton, J. (2012). Beneficiary or Benefactor: Are People More Prosocial When They Reflect on Receiving or Giving? Psychological Science, 23(9), 1033–1039. https://doi.org/10.1177/0956797612439424

 

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