La dipendenza come malattia del cervello

Il concetto della dipendenza come malattia cronica ad andamento recidivante (McLellan, 2000) e più precisamente come patologia del cervello (Wise, 2000) è diventato il riferimento teorico principale per la comprensione di questa condizione, a dispetto della molteplicità dei modelli di spiegazione fisiopatologica che sono stati proposti.
Secondo questa idea l’uso prolungato di una sostanza determina precise trasformazioni nelle strutture e nelle funzioni cerebrali le quali trasformano l’uso volontario nella ricerca compulsiva della sostanza (Leshner, 1997). Il segno cardinale di questa malattia sarebbe dunque la perdita del controllo.

La dopamina, il neurotrasmettitore del sistema di ricompensa cerebrale, sarebbe uno dei perni neurofarmacologici di questo processo. La dopamina viene rilasciata nel sistema di ricompensa cerebrale in occorrenza di uno stimolo importante ai fini dell’adattamento (cibo, sesso, protezione, ecc.) e perciò associato alla gratificazione, alla sensazione di piacere. E il piacere rappresenta il vissuto affettivo che motiva la ripetizione dei comportamenti associati a quel piacere stesso.

Schema dei circuiti cerebrali che usano la dopamina. Il sistema di ricompensa cerebrale sembra soprattutto localizzato sulla via mesolimbica (meso-limbic pathway). La sua origine è localizzata nell'area ventrale tegmentale (VTA) e il perno nel nucleus accumbens
Schema dei circuiti cerebrali che usano la dopamina. Il sistema di ricompensa cerebrale sembra soprattutto localizzato sulla via mesolimbica (meso-limbic pathway). La sua origine è localizzata nell’area ventrale tegmentale (VTA) e il perno nel nucleus accumbens

Il rilascio di dopamina promuove anche quei processi di neuroplasticità attraverso cui si costruiscono i circuiti funzionali o disfunzionali nel cervello che interconnettono percezioni, comportamenti e ricompense. A livello molecolare, quindi, la dopamina sarebbe una sorta di induttore dei fenomeni molecolari alla base dell’apprendimento di associazioni tra stimoli ambientali, comportamenti e gratificazioni. Questi processi favorirebbero cioè la costruzione di connessioni tra i circuiti neurali che si sono attivati contemporaneamente al piacere: quelli che hanno codificato le percezioni dell’ambiente esterno e dall’interno dell’organismo, quelli che hanno mediato i movimenti necessari a ottenere il piacere, quelli che hanno permesso l’eventuale realizzazione di processi cognitivi utili a ottenere la gratificazione. Per queste ragioni, una volta promosso un particolare apprendimento, la dopamina funziona come segnale predittivo di ricompense e viene rilasciata in occasioni degli stimoli ambientali, viscerali, emotivi e cognitivi associati a uno specifico tipo di piacere e ricompensa. In tal modo il sistema dopaminergico finisce per modellare i comportamenti dell’individuo, tenendo a fissare quelli associati a gratificazioni come risposte automatiche che si innescano in presenza degli stimoli che le predicono.

Struttura molecolare della dopamina
Struttura molecolare della dopamina

Una delle evidenze cruciali alla base dell’approccio neurobiologico verso le dipendenze è il fatto che tutte le sostanze d’abuso innescano il rilascio di dopamina verso il nucleo accumbens, una struttura cerebrale profonda del complesso striato e stazione mediana del sistema di ricompensa cerebrale, tra corteccia prefrontale, nuclei encefalici profondi e altri centri del cervello emotivo. Forzando l’attivazione dopaminergica dell’accumbens, le sostanze finiscono così per interferire con il sistema funzionale del cervello che plasma gli apprendimenti e i comportamenti adattativi.
Tra i primi a indagare il nesso tra trasmissione dopaminergica, accumbens e dipendenze, Gaetano Di Chiara ha sostenuto (1999) che la dipendenza è un disordine dell’apprendimento associativo dipendente dalla dopamina, l’espressione di un controllo eccessivo del comportamento acquisito dagli stimoli associati alle sostanze d’abuso.
Everitt e collaboratori (2008) definiscono la dipendenza come il punto finale di una serie di passaggi che portano alla perdita del controllo volontario del consumo di una sostanza. Questa transizione della condotta sarebbe mediata dal progressivo passaggio da un controllo del consumo di tipo corticale – quindi volontario – a uno controllo sottocorticale, dello striato, quindi impulsivo, compulsivo. In questa transizione sono cruciali i fenomeni di neuroplasticità che intervengono a livello dei circuiti dopaminergici tra corteccia prefrontale e complesso striato per effetto dell’assunzione cronica della sostanza.
Hyman (2005 e 2007) è ancora più eloquente a questo proposito e propone di considerare la dipendenza come una malattia dell’apprendimento e della memoria: una patologica occupazione da parte delle sostanze d’abuso dei meccanismi nervosi che naturalmente servono a modellare i comportamenti finalizzati alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, attraverso i processi di ricompensa.
Esistono poi molte altre interpretazioni e ipotesi sui meccanismi patogenetici della dipendenza come malattia (si veda ad esempio Chao e Nestler, 2004; Koob e Kreek, 2007, Le Moal e Koob, 2007), tuttavia, come osserva Hyman (2007), a dispetto di alcune differenze sui meccanismi in gioco tutte le principali formulazioni dell’idea di dipendenza come malattia del cervello concordano sul fatto che il segno cardinale di questa condizione è la diminuzione del controllo volontario del comportamento.
Questo modello biomedico della dipendenza come malattia non è universalmente ritenuto in grado di rappresentare adeguatamente la natura e le peculiarità della condizione. Descrizioni di tipo psicologico e sociologico sono in grado di cogliere elementi della fenomenologia di questi comportamenti che ancora sfuggono alla prospettiva biomedica. Inoltre, dato che in ogni caso qualunque tipo di intervento, sia esso farmacologico, psicoterapico o comportamentale, finisce per avere come bersaglio gli indirizzi chimici e microanatomici del cervello e modificare così le sue funzioni e le sue circuiterie, le strategie di cura, recupero e prevenzione di tipo psicosociale hanno non di rado un grado di efficacia comparabile a quello degli approcci medicalizzati.

Riferimenti bibliografici

Chao J, Nestler EJ. (2004) Molecular neurobiology of drug addiction. Annu Rev Med. 55:113-32.

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Everitt BJ, Belin D, Economidou D, Pelloux Y, Dalley JW, Robbins TW. (2005) Neural mechanisms underlying the vulnerability to develop compulsive drug-seeking habits and addiction. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 12;363(1507):3125-35.

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Leshner AI (1997) Addiction is a brain disease, and it matters. Science;278(5335):45-7.

McLellan AT, Lewis DC, O’Brien CP, Kleber HD. (2000) Drug dependence, a chronic medical illness: implications for treatment, insurance, and outcomes evaluation. JAMA. 4;284(13):1689-95.

Wise RA. (2000) Addiction becomes a brain disease. Neuron. 26(1):27-33.

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Stefano Canali

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