Intenzioni, dipendenze e abitudini

Nell’Etica Nicomachea Aristotele aveva osservato che un individuo plasma la sua concreta dimensione etica ripetendo le sue azioni, cioè attraverso le abitudini, non con le intenzioni. Più precisamente, secondo Aristotele, il modo in cui un individuo all’atto pratico decide e agisce nel suo ambiente, controlla le sue emozioni, regola i suoi desideri e i suoi appetiti, diventa o meno intemperante dipende da come agisce e dalla reiterazione di queste azioni. Perché attraverso la loro ripetizione si trasformano in abitudini, finendo per diventare disposizioni e tratti di carattere[1]. A tal proposito Sant’Agostino scriverà più tardi: “L’abitudine … che non a torto alcuni chiamano seconda natura”[2].

Artemisia Gentileschi (1593, Roma – 1651, Napoli), “Autoritratto come Allegoria della Pittura”, Olio su tela. Collezione Reale / Royal Collection, Windsor

La ricerca scientifica ha sostanzialmente confermato l’idea di Aristotele. Generalmente infatti, e al contrario di quanto si crede, non sono le intenzioni coscienti a guidare il nostro comportamento ma le abitudini, soprattutto quando le azioni abituali sono molto frequenti e i contesti che le innescano sono stabili[3]. Analogamente a quanto affermato da Aristotele, la frequenza e la stabilità di comportamenti “buoni” o salutari come ad esempio fare esercizio fisico[4], usare il filo interdentale dopo lo spazzolino[5], è correlata soprattutto all’abitudine, cioè – circolarmente – alla loro frequenza e stabilità nel tempo.

Purtroppo, come previsto da Aristotele, la ripetizione dei comportamenti problematici costruisce le abitudini problematiche, che a loro volta tendono a reiterare in modo automatico, cioè al di fuori del controllo intenzionale, i comportamenti problematici. Ad esempio la forza dell’abitudine è la variabile più importante nel determinare il comportamento alimentare sregolato, non le intenzioni coscienti o l’appetitosità del cibo[6]. Allo stesso modo è l’abitudine alla guida pericolosa che incide maggiormente sulla propensione a guidare pericolosamente, non la situazione o lo stato dell’umore o ancora altre variabili ambientali o psicologiche[7]. Il tipo specifico di abitudine al bere è la variabile che correla maggiormente con l’alcol consumato al momento in cui diventa disponibile[8]. In modo analogo, l’abitudine al fumo limita proporzionalmente alla sua forza l’efficacia degli interventi tesi a ridurre il tabagismo[9].

L’abitudine a porre in atto un determinato comportamento entro un certo contesto o in risposta a uno stimolo viene costruita da un individuo attuando ripetutamente quel comportamento in quello specifico ambiente e in risposta a quello stimolo.

È la ripetizione delle azioni in uno specifico ambiente che salda l’associazione tra contesto-stimolo e comportamento: il nesso in cui risiede l’essenza dell’abitudine. Si tratta di un apprendimento, della fissazione tra uno stimolo e una risposta comportamentale che diviene così automatica, non intenzionale e guidata dall’ambiente[10]. Ciò accade in virtù della legge di Hebb: “i neuroni che scaricano assieme si associano”. In questo caso i neuroni che hanno codificato gli stimoli ambientali e quelli che hanno organizzato e dato avvio alla risposta motoria.

Questo tipo di apprendimento può avvenire con o senza la mediazione di una ricompensa. Le abitudini possono costruirsi per semplice associazione tra stimoli e risposte, in maniera inconsapevole, oppure in modo deliberato, reiterando una determinata azione in certe circostanze finché questa non diventa automatica. Ma più facilmente questi complessi comportamentali si sviluppano con l’erogazione di un rinforzo. Un gran numero di abitudini, particolarmente quelle più negative per la salute, si fissano come apprendimenti strumentali, cioè per effetto di una ricompensa ottenuta con l’esecuzione del comportamento.

Le abitudini e le automaticità legate al consumo di sostanze sono legate soprattutto alla loro capacità di attivare il sistema della ricompensa cerebrale, di evocare un falso segnale di rinforzo positivo. La forzata attivazione del sistema della ricompensa da parte delle sostanze favorisce così la fissazione del collegamento tra effetti ricercati delle sostanze, stimoli, ambienti associati e azioni eseguite durante il consumo. La presenza dello stimolo e la memoria dell’ambiente o dei gesti associati alle sostanze –  anche inconscia – diventano così elementi incentivanti che attivano il desiderio, la motivazione alla ricerca e al consumo di sostanza. Ciò può spiegare ad esempio come mai spesso per chi fuma il caffè riattivi il desiderio di una sigaretta o perché, in chi ha problemi con l’alcol, avvicinarsi al bar dove abitualmente beve, induca la voglia di bere.

Una volta stabilite, le abitudini diventano memorie assai profonde e durevoli e tendono a reiterare i comportamenti appresi in risposta a stimoli e contesti anche in assenza del rinforzo positivo[11]. Ciò spiega come mai, i soggetti dipendenti completamente disintossicati dal punto di vista neurofarmacologico hanno la tendenza a ricadere, particolarmente quando esposti a stimoli, ambienti e condizioni psicologiche che riattivano le memorie della dipendenza, l’abitudine patologica[12].

Per gli stessi principi appena esposti è possibile costruire sane abitudini attuando ripetutamente e in modo deliberato un comportamento sano, ad esempio fare esercizio fisico la mattina poco dopo svegli, oppure lavarsi i denti subito dopo aver consumato un pasto. All’inizio l’attuazione di questo comportamento potrebbe richiedere uno sforzo di autocontrollo, di volontà. La ripetizione del comportamento porterebbe poi gradualmente alla fissazione dell’associazione tra situazione e risposta comportamentale, che finisce per diventare automatica in presenza dello specifico contesto associato. A questo punto nessun sforzo di volontà sarà necessario per esprimerla, anzi l’impossibilità di attuare di nuovo quel comportamento in occasione degli stimoli specifici provocherà un disagio, la tensione a ripeterlo e al contrario sarà necessario impegnarsi per evitare di attuarlo quando evocato dagli stimoli associati[13].

È relativamente complesso creare un’abitudine. Molto dipende dalla sua natura, dall’impegno richiesto per attuare ogni volta il comportamento che si vuole rendere abituale, dall’esistenza di un rinforzo e dalla sua intensità. Ad esempio più risultare abbastanza agevole fissare l’abitudine a bere più acqua. Mentre sarà certamente più complesso risulterà creare l’abitudine a fare almeno 30 minuti di esercizio fisico intenso la mattina, oppure scrivere 500 parole ogni sera.

Ancor più difficile sarà costruire una sana abitudine antitetica a una preesistente abitudine cattiva, oppure correggere o estinguere una cattiva abitudine salda e sedimentata, come nel caso dell’uso abituale di sostanze psicoattive. In questo caso infatti, tipicamente, un individuo fissa in modo agevole l’obiettivo di smettere o ridurre l’uso della sostanza ma incontra straordinarie difficoltà nella sua concreta realizzazione. L’autocontrollo necessario a raggiungere questo obiettivo è costantemente eroso da stimoli, memorie, emozioni che rimandano all’abitudine al consumo e attivano così il desiderio. Conseguentemente, il desiderio tende ad aumentare nel tempo, mentre il parallelo processo di inibizione di questo appetito crescente scarica l’autocontrollo, rendendo progressivamente più debole e meno capace di regolare il comportamento verso l’obiettivo dell’astinenza[14].

Un individuo che cerca di smettere l’uso di una sostanza si trova in una specie di paradosso funzionale per cui l’autocontrollo viene meno proprio quando serve di più[15]. Controllare l’impulso a consumare la sostanza può diventare quindi impossibile dopo una serie di esposizioni agli stimoli che attivano il desiderio appreso. Anche lo stress, provocando una risposta di adattamento, erode le risorse cognitive e l’autocontrollo e facilita la ricaduta nei comportamento abituale che si intende sopprimere[16]. Va a questo proposito considerato quanto la vita di un consumatore problematico sia gravata di stress – familiari, lavorativi, sanitari, economici -, e, troppo spesso, anche di inutili stress imposti da sanzioni e controlli di tipo amministrativo o giudiziario.

Un’altra importante ragione rende molto complesso controllare il consumo di una sostanza per chi abbia appreso l’uso abituale: la difficoltà a mantenere il monitoraggio degli stimoli che innescano questo comportamento. La condizione necessaria per controllare il proprio comportamento, qualunque esso sia e in particolare quello fissato dalla ripetizione del consumo di sostanze, è l’attenzione cosciente, la consapevolezza degli stimoli insorgenti, la coscienza del presente, del contesto presente, delle dinamiche desideranti che crescono nella propria mente. Purtroppo questa consapevolezza è assai carente nella vita quotidiana e una larga parte dei nostri comportamenti sono agiti in modo inconsapevole, automatico, guidati dagli stimoli ambientali[17].

Una strategia di autocontrollo che sembra essere in grado di superare questi limiti imposte dalla scarsità delle risorse cognitive, volontarie e attenzionali è quella dell’implementazione delle intenzioni sviluppata da Peter Gollwitzer[18]. L’implementazione delle intenzioni è un preciso piano d’azione precaricato tipicamente espresso nella forma “Se incontro lo stimolo X allora attuerò la riposta Y”. Una volta formulato e appreso, questo tipo di piano d’azione evita ad un individuo di affidarsi a un deliberato e cosciente sforzo cognitivo di soppressione di un’abitudine evocata da uno stimolo ambientale, che è un processo – come abbiamo visto – assai difficile da attuare. L’implementazione delle intenzioni crea delle associazioni automatiche tra lo stimolo “Se incontro X” e la risposta “Allora faccio Y”, una cosa molto diversa dai semplici piani di intenzioni “farò X”. In questo modo l’implementazione delle intenzioni aggira la necessità di attivare un controllo cognitivo e volontario, che richiede presenza attenzionale e autocontrollo non scaricato. In sostanza l’implementazione delle intenzioni fa leva sulle stesse dinamiche di associazione tra stimoli e risposte comportamentali con cui nel tempo viene intessuto un comportamento abituale.

Una meta-analisi di 94 diversi studi per un totale di 8000 partecipanti ha dimostrato che l’implementazione delle intenzioni aumenta in modo considerevole il raggiungimento di un obiettivo desiderato rispetto a un semplice piano di intenzioni[19]. In uno dei prossimi post descriveremo in dettaglio questa procedura di condizionamento e ricondizionamento del comportamento che potrebbe essere utilmente inserita nell’armamentario degli strumenti usati per il trattamento delle dipendenze.

 

Stefano Canali

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] “le virtù noi le acquistiamo se prima ci siamo esercitati, come accade anche nelle arti. Ciò che infatti dobbiamo fare quando le abbiamo apprese lo impariamo attraverso la pratica, come ad esempio costruendo case diventiamo architetti e suonando la cetra diventiamo citaredi. Cosi altrettanto compiendo cose giuste diventiamo giusti, compiendo cose moderate diventiamo moderati, facendo cose coraggiose diventiamo coraggiosi. […] inoltre, a causa dei medesimi atti e attraverso gli stessi, ogni virtù sorge o perisce; infatti dal suonar la cetra derivano sia i buoni sia i cattivi citaredi. Analogamente accade anche agli architetti e a tutti gli altri artefici: infatti dal costruir bene le case si formano i buoni architetti dal costruirle male i cattivi. Se infatti così non fosse, non vi sarebbe affatto bisogno di un maestro, bensì tutti potrebbero divenire per natura buoni o cattivi. Così accade anche per le virtù: diventiamo gli uni giusti, gli altri ingiusti; e a seconda di come ci comportiamo nei pericoli, abituandoci ad aver paura o ad aver coraggio diventiamo gli uni vili, gli altri coraggiosi. Parimenti accade sia degli appetiti sia delle ire. Gli uni infatti diventano moderati e miti, gli altri intemperanti e irascibili, poiché in quelle passioni gli uni si comportano in un modo, gli altri in un altro. E insomma da attività simili derivano diverse disposizioni [tratti di carattere]. Perciò bisogna esercitare le nostre attività in maniera determinata: a seconda delle loro differenze, infatti, derivano le diverse disposizioni.” Aristotele, Etica Nicomachea, libro secondo, 1, 1103 a-b, Laterza, Bari, 1985.

[2] Contra Julianum: IV, 103.

[3] Danner UN, Aarts H, Vries NK. Habit vs. intention in the prediction of future behavior: the role of frequency, context stability and mental accessibility of past behavior. Br J Soc Psychol (2010) 47(2):245–65.

[4] Rebar AL, Elavsky S, Maher JP, Doerksen SE, Conroy DE. Habits predict physical activity on days when intentions are weak. J Sport Exerc Psychol. 2014 Apr;36(2):157-65; Rhodes R, de Bruijn GJ, Matheson DH. Habit in the physical activity domain: integration with intention temporal stability and action control. J Sport Exerc Psychol. 2010 Feb;32(1):84-98.

[5] Judah G, Gardner B, Aunger R. Forming a flossing habit: an exploratory study of the psychological determinants of habit formation. Br J Health Psychol. 2013 May;18(2):338-53.

[6] Verhoeven AA, Adriaanse MA, Evers C, de Ridder DT. The power of habits: unhealthy snacking behaviour is primarily predicted by habit strength. Br J Health Psychol. 2012 Nov;17(4):758-70; De Vet E, Stok FM, De Wit JB, De Ridder DT. The habitual nature of unhealthy snacking: How powerful are habits in adolescence? Appetite. 2015 Dec;95:182-7.

[7] Lheureux F, Auzoult L, Charlois C, Hardy-Massard S, Minary JP. Traffic Offences: Planned or Habitual? Using the Theory of Planned Behaviour and habit strength to explain frequency and magnitude of speeding and driving under the influence of alcohol. Br J Psychol. 2016 Feb;107(1):52-71.

[8] Albery IP, Collins I, Moss AC, Frings D, Spada MM. Habit predicts in-the-moment alcohol consumption. Addict Behav. 2015 Feb;41:78-80.

[9] Webb TL1, Sheeran P, Luszczynska A. Planning to break unwanted habits: habit strength moderates implementation intention effects on behaviour change. Br J Soc Psychol. 2009 Sep;48(Pt 3):507-23.

[10] Bargh JA. The four horsemen of automaticity: Awareness, intention, efficiency, and control in social cognition. In R. Wyer & T. Srull (eds.), Handbook of Social Cognition. Lawrence Erlbaum, 1994.

[11] Ji MF, Wood W. Purchase and Consumption Habits: Not Necessarily What You Intend. Journal of Consumer Psychology, 2007, 17(4):261-276.

[12] Schroeder T, Arpaly N. Addiction and blameworthiness. In: Levy N, editor. Addiction and Self-Control: Perspectives from Philosophy, Psychology, and Neuroscience. New York, NY: Oxford University Press (2013). p. 214–38.

[13] Verplanken, B., and Orbell, S. (2003). Reflections on past behavior: a self-report index of habit strength. J Appl Soc Psychol, 33, 1313–1330.

[14] Baumeister RF, Bratslavsky E, Muraven M, Tice D. Ego depletion: is the active self a limited resource? J Pers Soc Psychol (1998) 74(5):1252–65.

[15] Muraven M, Collins RL, Neinhaus K. Self-control and alcohol restraint: an initial application of the self-control strength model. Psychol Addict Behav (2002) 16(2):113–20.

[16] Schwabe L, Wolf OT. Stress prompts habit behavior in humans. J Neurosci. 2009 Jun 3;29(22):7191-8.

[17] Wood W, Quinn JM, Kashy DA. Habits in everyday life: thought, emotion, and action. J Pers Soc Psychol. 2002 Dec;83(6):1281-97.

[18] Gollwitzer PM. Implementation intentions: Strong effects of simple plans. American Psychologist, 1999, 54, 493-503.

[19] Gollwitzer PM, Sheeran P. Implementation intentions and goal achievement: a meta-analysis of effects and processes. Adv Exp Soc Psychol (2006) 38:69–119.

User Avatar

Stefano Canali

Read Previous

Il piacere delle quasi vincite nel gioco d’azzardo

Read Next

L’importanza delle parole e del linguaggio nel problema delle dipendenze

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *