Indizi nel cervello: fattori di rischio neurologici per l’abuso di sostanze

Umberto Boccioni, Il bevitore (1914)

Il delicato periodo di transizione che caratterizza l’adolescenza è un terreno fertile per il fenomeno dell’abuso di sostanze (che può sfociare in una vera e propria dipendenza), problematica che, a livello globale, comporta una serie di ricadute sociali ed economiche non marginali. A livello individuale, poi, l’abuso di sostanza (sia essa alcol o una droga) è associata a problematiche psicologiche e fisiche, a difficoltà d’apprendimento e occupazionali, nonché relazionali. È quindi di primario interesse identificare i fattori di rischio che possono indicare una suscettibilità nei confronti della problematica dell’abuso.

Gli studi sulle dipendenze hanno permesso di elaborare modelli neurologici che indicano cambiamenti sostanziali nei circuiti cerebrali che governano la ricompensa, la motivazione (chi fa uso pesante di una sostanza è iper-motivato nei confronti delle attività legate al procacciamento e assunzione della sostanza, mentre risulta ipo-motivato nei confronti delle restanti attività quotidiane), le funzioni cognitive (a livello di inibizione, attenzione, attività decisionale, regolazione delle emozioni), l’apprendimento e la memoria (di lavoro, ma anche quella a breve e a lungo termine). Quello che quindi si sono chiesti alcuni studiosi è se alterazioni a priori -rispetto allo sviluppo di una dipendenza, siano esse innate o acquisite nel corso dello sviluppo – di tali strutture cerebrali possano rappresentare un fattore di rischio che rende un individuo più suscettibile rispetto a un altro.

I disegni sperimentali in grado di identificare un’inferenza causale di tale tipo sono essenzialmente due: gli studi longitudinali e quelli di famiglie ad alto rischio. Negli studi longitudinali viene inizialmente esaminata la funzionalità neurologica in una popolazione -il più estesa possibile- di bambini o pre-adolescenti che non hanno mai fatto uso di sostanze psicoattive o di abuso; dopo di che, i partecipanti sono monitorati nel corso degli anni, e vengono registrati tutti i comportamenti legati all’uso e abuso di sostanze; sono studi lunghi e costosi, ma permettono di verificare se erano presenti variazioni neurologiche nei partecipanti che hanno poi sviluppato comportamenti patologici.
Gli studi che analizzano le famiglie paragonano invece il funzionamento neurologico di bambini e adolescenti appartenenti a famiglie a basso o ad alto rischio relativamente all’abuso di sostanze. In questo contesto, una famiglia è considerata ad alto rischio se in essa è presente almeno un membro – solitamente uno dei due genitori dell’adolescente partecipante allo studio- che presenta un comportamento patologico legato a una o più sostanze.  Un’elegante e innovativa estensione di quest’ultima tipologia di studi è costituita dal disegno sperimentale dei gemelli discordanti, in cui viene paragonato il funzionamento neurologico in coppie di gemelli all’interno delle quali solo uno dei due presenta problematiche di abuso/misuso. In questo tipo di esperimento, una variazione neurologica riscontrata in entrambi i gemelli suggerisce la presenza di un fattore di rischio pre-esistente all’abuso di sostanza.

L’analisi di queste differenze pre-patologiche è particolarmente interessante durante l’adolescenza, un periodo di rapide modificazioni a livello fisico, cognitivo, emotivo e sociale; per molti giovani esso coincide quindi anche con l’avvicinamento a comportamenti altamente appaganti, ma al contempo rischiosi, come l’uso e il misuso di sostanze. In questo periodo si osserva poi una maturazione sfasata di alcuni importantissimi meccanismi neurologici, squilibrio che secondo molti esperti è alla base del comportamento irresponsabile osservato in molti/e adolescenti: se infatti il sistema limbico-striatale (che ha un’organizzazione “dal basso verso l’alto”, ed è associato alla sensibilità nei confronti delle ricompense e alla motivazione) matura precocemente, quello prefrontale (con organizzazione “dall’alto verso il basso, e responsabile del controllo cognitivo e comportamentale) si sviluppa e si consolida gradualmente, anche al termine dell’adolescenza vera e propria. Ragazzi e ragazze si ritrovano dunque in un limbo nel quale nuovi, appaganti ricompense e gratificazioni immediate si aprono davanti ai loro occhi, senza avere i freni inibitori al massimo della loro efficienza.

Per estrapolare le informazioni relative a potenziali fattori di rischio neurologici legati alle dipendenze in questa fase così cruciale dello sviluppo, team di ricerca di tutto il mondo hanno utilizzato, nei loro studi, le più avanzate tecniche di analisi cerebrale: con le analisi di risonanza magnetica (MRI) hanno fotografato la posizione, la forma e la dimensione delle diverse aree cerebrali; con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), in grado di misurare il livello di ossigenazione del sangue di una zona del cervello,  hanno individuato l’attivazione in risposta a precisi compiti comportamentali; con la risonanza di connettività funzionale (fcMRI) hanno scoperto le attività sincrone a livello di diverse strutture; con l’imaging basato sui tensori di diffusione (DTI), infine, hanno analizzato l’integrità e la direzione dei fasci di fibre nervose che formano la materia bianca.

L’applicazione combinata di queste tecniche di indagine ha portato a risultati sorprendenti, anche se diversificati per funzioni cognitive (a riprova della complessità di tali meccanismi, e dell’estrema difficoltà di comprenderli e descriverli): a livello del circuito che regola il piacere, la gratificazione e la ricompensa – basato sul rilascio di dopamina – è stato ad esempio dimostrato (Cheetham et al., 2012) che un ridotto volume della corteccia orbitofrontale è un fattore di rischio per quanto riguarda l’utilizzo di cannabis, ma ad oggi questo è l’unico fattore di rischio identificato.
Nell’analisi delle funzioni esecutive – incluse l’inibizione e la memoria di lavoro di tipo visuale – è stato invece possibile associare (Norman et al., 2011) una minore attivazione di determinate regioni cerebrali a un aumentato rischio di assunzione pesante e incontrollata di varie sostanze. Nello specifico, tali regioni erano la corteccia dorsolaterale prefrontale, la corteccia cingolata, il giro frontali, il lobo parietale inferiore e il cervelletto. In questo campo, quindi, un solido corpo di prove- provenienti sia da studi longitudinali sia da studi su famiglie- sembra dimostrare che alterazioni dei circuiti cerebrali sottostanti a queste funzione precedono l’uso problematico di sostanze, e potrebbero esserne la causa (piuttosto che una conseguenza, causata dalle sostanze stesse).
D’altro canto, per quanto riguarda la memoria e l’apprendimento alcuni gruppi di ricerca (Hanson et al., 2010, Cheetham et al., 2014) hanno dimostrato che i volumi dell’amigdala e dell’ippocampo pre-patologici non possono essere usati come marcatori per stabilire il comportamento nei confronti dell’uso di sostanze. Tuttavia, è stato al contempo riscontrato che una ridotta attivazione nel putamen (implicato nell’apprendimento) durante un compito di inibizione di risposta (Norman et al., 2011) associato a un’attivazione aumentata durante la notificazione della ricompensa può predire l’utilizzo pesante di sostanze.

Tali variazioni neurologiche, pre-esistenti rispetto all’uso di una o più sostanze psicotrope, riflettono una suscettibilità a livello genetico che porta a una generale disinibizione a livello comportamentale: i giovani adulti non riescono a inibire i propri impulsi, anche a costo di commettere atti che sono socialmente non accettati; questa predisposizione ha poi effetto anche sul rischio di sviluppare comportamenti a rischio, tra cui appunto l’uso di sostanze, ma non solo: in quest’ottica sono diverse infatti i disturbi psicopatologici che possono emergere nel corso dell’adolescenza; tali disturbi sono forse causati dalle  variazioni neurologiche analizzate,  e sono solitamente anticipati da problematiche comportamentali (isolamento, problemi accademici, attività sessuale precoce, deficit dell’attenzione o sindrome di iperattività).
Il pericolo, come sempre per risultati di questo calibro, è quello di non cadere in una sorta di frenologia del XXI secolo: è bene infatti ricordare che tali predisposizioni, che ora è possibile individuare e registrare grazie ai progressi del neuroimaging, sono fortemente accentuate (in un verso o nell’altro) anche da moltissimi fattori ambientali, tra cui spiccano le relazioni con i genitori e i coetani e l’esposizione a eventi stressanti e/o traumatici.

Riferimenti bibliografici

Wilson et al. (2015), Neurological Risk Factors for the Development of Problematic Substance Use in The Wiley Handbok on the Cognitive Neuroscience of Addiction, Wiley Backwell.

Steinberg, L. (2010). A dual systems model of adolescent risk‐taking. Developmental Psychobiology, 52: 216–224.

Cheetham, A., Allen, N. B., Whittle, S., Simmons, J. G., Yucel, M., & Lubman, D. I. (2012). Orbitofrontal volumes in early adolescence predict initiation of cannabis use: A 4‐year longitudinal and prospective study. Biological Psychiatry, 71: 684–692.

Norman, A. L., Pulido, C., Squeglia, L. M., Spadoni, A. D., Paulus, M. P., & Tapert, S. F. (2011). Neural activation during inhibition predicts initiation of substance use in adolescence. Drug and Alcohol Dependence, 119: 216–223.

Cheetham, A., Allen, N. B., Whittle, S., Simmons, J., Yucel, M., & Lubman, D. I. (2014). Volumetric differences in the anterior cingulate cortex prospectively predict alcoholrelated problems in adolescence. Psychopharmacology, 231: 1731–1742.

Stice, E., Yokum, S., & Burger, K. S. (2013). Elevated reward region responsivity predicts future substance use onset but not overweight/obesity onset. Biological Psychiatry, 73: 869–876.

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