Il racconto delle dipendenze. Storie per capire, storie per curare, storie per smettere di usare le droghe

Il tratto definitorio, l’essenza, delle sostanze psicoattive da quelle legali come l’alcol e il tabacco a quelle illegali, è la loro capacità di modificare lo stato di coscienza e l’umore. Piuttosto che dalla semplice alterazione dei circuiti cerebrali della ricompensa e delle decisioni, la dipendenza sembra svilupparsi soprattutto per la spinta del vissuto del desiderio degli stati mentali ottenuti e ottenibili con l’uso della sostanza (Milkman & Sunderwirth, 2010[1]). È evidente che anche questo desiderio è legato all’interazione della sostanza col cervello. Tuttavia la forza del desiderio, il modo in cui agisce (anche neurobiologicamente) sulla motivazione alla ricerca della sostanza, sui processi decisionali che portano all’effettivo consumo sono modulati dall’esperienza soggettiva, dal senso personale che ha quel desiderio e quel comportamento nella storia di una persona. Allo stesso modo la costruzione nel cervello della rete di relazioni tra stimoli che innescano il desiderio (emozioni, ricordi, ambienti, persone, percezioni, sensazioni somatiche, ecc.) e comportamenti d’uso: l’essenza della dipendenza, è filtrata dal vissuto soggettivo che accompagna questi processi, dal racconto della storia individuale con cui un individuo prova a dar loro un senso.

 

Vittorio Matteo Corcos, La morfinomane, 1889

L’indagine sul vissuto soggettivo nelle dipendenze e le strategie di ricerca narrative

Per queste ragioni, nella comprensione delle dipendenze, anche sul piano biomedico, andrebbe riconosciuto un valore fondamentale all’indagine soggettiva, all’uso di strumenti e metodi di ricerca in grado di cogliere anche l’identità e le trame del vissuto e del percepito.

I metodi di ricerca narrativa rappresentano un approccio promettente e innovativo, capace di esplorare l’identità e gli stati mentali dei soggetti sotto l’effetto della sostanza (Crossley,2000[2]; Josselson, 1995[3]; Josselson & Lieblich, 1999[4]; Larsson, Lilja e Hamilton, 2001a[5]; Larsson, Lilja, Borg, Buscema, & Hamilton, 2001b[6]; Larsson & Sjoblobl, 2010[7]; Lieblich, Tuval-Mashiach, & Zilber, 1998[8]; Riessman & Quinney, 2005[9]).  Le strategie narrative, infatti, sono uno dei canali più interessanti per conoscere i mondi interiori delle persone. Attraverso i racconti possiamo rivivere le loro esperienze, le loro sensazioni e le loro emozioni. Tutto questo è fondamentale per il ricercatore in quanto permette un accesso diretto al carattere, alla personalità e all’interiorità del soggetto e quindi anche ai modi con cui rappresenta i suoi comportamenti, anche problematici. In tal senso, in modo indiretto, la ricerca narrativa permette anche di individuare i fattori soggettivi che contribuiscono a determinare la dipendenza oppure al contrario a impedire che l’uso, occasionale o controllato, si trasformi in consumo reiterato e problematico.

La ricerca narrativa nell’ambito della dipendenza, ad esempio, ha portato a nuove intuizioni sul ruolo dei meccanismi sociali e relazionali. Da molti racconti emerge questa necessità di sperimentare uno stato di coscienza alternativo; il che implica un uso sociale della droga, capace di far sentire l’individuo diverso rispetto al solito (es. più sicuro di sé, più empatico, più disinibito, meno ansioso, meno triste, più energico…) nei vari contesti (Denzin, 1987[10]; Singer, 1998[11]; South, 1999[12]; Sussman & Ames, 2001[13]).

 

Problemi e limiti della ricerca narrativa nelle dipendenze. Quanti sé e quanti racconti?

Tuttavia, quando si adotta una strategia narrativa nel campo della ricerca o del trattamento della dipendenza, è necessario porsi ulteriori domande teoriche e metodologiche (Larsson & Sjoblobl, 2010[14]). Le costruzioni narrative infatti, possono essere falsate dall’uso stesso delle sostanza psicoattiva visto che questa altera lo stato mentale. È quindi di fondamentale importanza evitare le generalizzazioni e considerare ogni caso come unico e irripetibile in quanto risultato dell’incontro, altrettanto unico, della personalità di un individuo con la chimica della sostanza.

Comprendere l’individualità è cruciale per l’analisi degli effetti a breve e a lungo termine delle sostanze psicotrope. Ancora una volta i metodi di ricerca narrativa possono essere molto appropriati nell’indagine delle caratteristiche personali dei soggetti e delle conseguenti reazioni nel momento in cui assumono una specifica sostanza psicoattiva (Heyman, 2009[15]; Larsson et al, 2001a, 2001b[16]; Lieblich, Tuval-Mashiach, & Zilber, 1998[17]). Studi recenti hanno rivelato che l’individuo sperimenta due diversi sensi di sé: con e senza droga, capaci di influenzarsi reciprocamente, soprattutto nel caso di un uso prolungato della sostanza ( ne sono un esempio gli studi sugli stupefacenti di Sussman & Ames, 2001[18]).

 

Le dimensioni temporali del rapporto con le sostanze

Ascoltare le storie di vita dei soggetti dipendenti, inoltre, permette di acquisire conoscenze non solo sulla dimensione soggettiva dell’uso / abuso di alcool e droghe (Heyman, 2009[19]), ma anche sulla dimensione temporale. I diversi sé (sobrio e assuefatto), infatti, interagiscono tra loro in maniera differente a seconda della fase di dipendenza che il soggetto sta attraversando.
 In tempi diversi i ricercatori Cameron (1995[20]), Heyman (2009) e Larsson (1992[21]) sono giunti alle medesime conclusioni: hanno individuato con i loro studi tre fasi cardine dello sviluppo di una dipendenza, la fase inziale o di sperimentazione, la fase di abuso o di convivenza con la droga e infine la fase di cessazione. Racconti dettagliati delle sensazioni sperimentate nelle varie fasi possono aiutare la ricerca a far luce sulla delicata interazione tra sostanze chimicamente attive, personalità dei soggetti e contesti di utilizzo. Un’analisi di processo è essenziale per capire le mutevoli esperienze e come i processi mentali possano cambiare nel tempo (Heyman, 2009; Jung, 2010[22]).
In un interessante studio portato avanti grazie ai resoconti degli utenti dei Servizi, Heyman è riuscito ad individuare le caratteristiche peculiari delle diverse fasi (2009, pp. 44-64). Durante il processo di sviluppo di una dipendenza si attraversa una prima fare positiva/di potenza che lascia ben presto spazio a esperienze progressivamente sempre più spiacevoli fino alla sensazione di “non poter continuare così”, che dà l’avvio all’ultima fase, quella di disintossicazione. “Quando i tossicodipendenti raccontano la loro storia ci si rende conto di come quella volontà di “smettere di drogarsi” sia parte integrante della trama narrativa e un pezzo imprescindibile della storia di dipendenza” afferma (Heyman, 2009,p. 64). Dai racconti emerge come queste fasi non vadano inserite in un continuum lineare, ma in un processo dinamico, complesso, sfaccettato e in cui giocano, interagendo mutuamente, molti fattori diversi, come età, livelli di istruzione, etnia, sesso, tipo di sostanza, religiosità, cultura, contesto sociale, condizioni economiche e lavorative e molti altri ancora.

 

Il recupero passa anche attraverso la creazione di una nuova narrazione personale: una storia senza sostanza

Le narrazioni aiutano ad attribuire significati e a costruire un dialogo non solo tra terapeuti-ricercatori e soggetti in cura, ma anche all’interno degli individui stessi. Instaurare un dialogo tra le diverse parti del sé può permettere alla persona con dipendenza di ricostruire una narrativa creando un nuova storia, senza droga. In fondo, come sostiene il punto di vista del costruzionismo sociale, ogni persona è “il narratore” all’interno del suo quadro concettuale e, a partire dalle parole può non solo rivivere esperienze già vissute ma anche creare gli antecedenti semantici per sperimentarne di nuove.

 

Tutte le terapie sono terapie narrative perché al centro c’è sempre l’ascolto e il racconto di storie

Quest’ultima riflessione apre la strada all’uso della narrativa come intervento terapeutico. Del resto, la ricerca sperimentale non ha mai rivelato l’esistenza di un metodo riabilitativo più efficace degli altri per quanto riguarda il trattamento della dipendenza. Visto che tutte le terapie raggiungono risultati comparabili, è necessario riconoscere come fattori responsabili della riuscita quelli che le accomunano, piuttosto che quelli che le rendono tra loro differenti, e la relazione terapeutica è uno di questi.  L’alleanza tra medico e soggetto in cura gioca un ruolo fondamentale all’interno della riabilitazione, proprio perché è basata sul dialogo. Come esprime in poche parole McLeod[23] “Non ci sono terapie migliori di altre, perché tutte le terapie sono terapie narrative. Qualunque cosa tu stia facendo, tu abbia intenzione di fare, come terapeuta o come soggetto in cura, puoi comprenderlo ed esprimerlo in termini di ascoltare e raccontare storie”.

Stefano Canali e Giulia Virtù

 

Riferimenti bibliografici

[1] Milkman, H. B., & Sunderwirth, S. G. (2010).Craving for ecstasy and natural highs. A positive approach to mood alteration.London: Sage.

[2] Crossley,  M.  (2000).Introducing  narrative  psychology, Buckingham: Open University Press.

[3] Josselson, R. (1995). Imagining the real. Empathy, narrative and the dialogic self. In R. Josselson and A. Lieblich (Eds.),Interpret-ing experience—The narrative study of lives(Vol. 3, pp.2744).London: Sage.

[4] Josselson, R., & Lieblich, A. (Eds.). (1999).Making meanings of narratives—The narrative study of lives (Vol. 6). London: Sage.

[5] Larsson, S., Lilja, J., & Hamilton, D. (2001a). Identity, cognitive structure, and longterm tranquillizer use: A multidimensional approach. Substance Use & Misuse, 36(9&10), 1139–1163.

[6] Larsson, S., Lilja, J., Borg, S., Buscema, M., & Hamilton, D. (2001b). Toward an integrative approach in the analysis of dependency problems. Substance Use & Misuse, 36(9&10),1323–1356.

[7] Larsson, S., & Sjoblom, Y. (2010). Perspectives on narrative methods in social work research. International Journal of Social Welfare, 19, 272–280.

[8] Lieblich, A., Tuval-Mashiach, & Zilber, T. (1998).Narrative reSearch London: Sage.

[9]Riessman, C. K., & Quinney, L. (2005). Narrative in social work: A critical review.Qualitative Social Work, 4(4),383–404.

[10]Denzin, N. (1987).The alcoholic self London: Sage.

[11] Singer, J. A. (1998).Message in a bottle. New York: Free Press.

[12]South, N. (1999).Drugs: Cultures, controls and everyday life London: Sage.

[13]Sussman, S., & Ames, S. L. (2001).The social psychology of drug abuse Buckingham: Open University Press.

[14] Larsson, S., & Sjoblom, Y. (2010). Perspectives on narrative methods in social work research. International Journal of Social Welfare, 19, 272–280.

[15] Heyman, R. (2009).Addiction a disorder of choice Harvard:Harvard University Press

[16] Larsson, S., Lilja, J., & Hamilton, D. (2001a). Identity, cognitive structure, and longterm tranquillizer use: A multidimensional approach. Substance Use & Misuse, 36(9&10), 1139–1163.

  Larsson, S., Lilja, J., Borg, S., Buscema, M., & Hamilton, D. (2001b). Toward an integrative approach in the analysis of dependency problems. Substance Use & Misuse, 36(9&10),1323–1356.

[17] Lieblich, A., Tuval-Mashiach, & Zilber, T. (1998).Narrative reSearch London: Sage.

[18] Sussman, S., & Ames, S. L. (2001).The social psychology of drug abuse Buckingham: Open University Press.

[19] Heyman, R. (2009).Addiction a disorder of choice Harvard:Harvard University Press

[20]Cameron, D. (1995).Liberating solutions to alcohol problems London: Aronson.

[21] Larsson, S. (1992). Identitet och beroende [Identity and addiction].Stockholm: Sober.

[22] Jung, J. (2010).Alcohol, other drugs and behaviour. Psychologicalresearch perspectives(2nd ed.). London: Sage.

[23]McLeod, J. (1997). Narrative and psychotherapy. London: Sage.

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