Guerra e sostanze psicotrope: un connubio millenario

Rideva, l’autista della strage di Barcellona, mentre procedeva a zig-zag sulle Ramblas investendo nella sua folle corsa centinaia di innocenti. Rideva preda di un’euforia che, secondo diversi gruppi investigativi, potrebbe essere il frutto di un potente allucinogeno, usato ormai in maniera massiccia dai combattenti del Califfato Islamico.

La “droga dei kamikaze” si chiama Captagon ed è uno psicostimolante ottenuto dall’unione di anfetamina e teofillina che, una volta assorbito, agisce in maniera devastante sul sistema nervoso centrale: il Captagon blocca infatti il riassorbimento di un neurotrasmettitore, la dopamina, e al contempo aumenta il rilascio, a livello di sistema nervoso centrale, di altre due sostanze, la noradrenalina e la serotonina. I circuiti neuronali alla base del piacere, della ricompensa, della sensazione di potere risultano perciò pesantemente alterati: la paura svanisce, ci si sente invincibili e onnipotenti, inibizioni e princìpi morali sono un lontano ricordo.

La guerra – Henri Rousseau (1894)

Nella storia sono molti i casi di combattenti che hanno fatto uso di stupefacenti per non sentire la stanchezza, la paura, il rimorso, e l’evoluzione delle guerre è andata a braccetto con quella delle sostanze psicoattive, come raccontiamo in un altro post del sito specificamente dedicato alla storia delle droghe in guerra. Un rapporto perverso, talora, per interessi economici, fattore causale di guerre sanguinose, come nel caso della guerra dell’oppio combattuta tra Cina e Inghilterra nell’Ottocento, di cui scriviamo in un altro post di Psicoattivo.
L’uso più interessante delle sostanze psicotrope nei contesti di guerra non è, tuttavia, quello di lenire il dolore, lo stress e per contrastare i sintomi psicologici derivanti dai combattimenti, quale il disturbo post traumatico da stress; è piuttosto quello che vede le sostanze psicotrope come un mezzo per valicare i normali limiti- fisici, psicologici e morali- umani. Le droghe, infatti, è in grado di tramutare gli uomini in soldati e combattenti, facendo compiere loro azioni altrimenti impensabili.

Non è un caso, quindi, che l’alterazione volontaria della coscienza accompagni i combattenti da millenni: dai guerrieri Inca che masticavano foglie di cocaina, ai Greci e Romani che combattevano brilli per infondersi coraggio, ai vichinghi che assumevano infusi a base di ammanita, un fungo dalla potente azione allucinogena, la storia dell’umanità è costellata di guerre decise dall’utilizzo di sostanze psicotrope.
Tuttavia l’impennata nell’uso massiccio, sistematico delle droghe in battaglia si osserva con lo sviluppo delle droghe sintetiche, e l’esempio forse più conosciuto è quello ei soldati tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale: a partire dall’invasione della Polonia del 1939, ai reparti della Wermacht è stata infatti somministrata una sorta di crystal meth, nota con il nome commerciale di Pervitin, che aveva lo scopo di ridurre la fatica, e creare nei soldati uno stato di eccitazione permanente. Nel più grande conflitto della storia dell’umanità i tedeschi non erano tuttavia i soli a fare uso di metanfetamine: anche i kamikaze dell’Impero del Sol Levante e gli Americani, infatti, utilizzarono tali sostanze per infondersi coraggio e combattere senza sosta.

Proprio gli statunitensi sono stati i più efficienti nel trarre tesoro dall’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, applicandone i principi nei conflitti successivi: Lukasz Kamienski, autore di “Shooting Up: a short history of drugs and war”, ha infatti ribattezzato il conflitto del Vietnam “la prima guerra farmacologica”. Si calcola, ad esempio che il 10-15% dei giovani soldati statunitense facesse regolare uso di eroina. Raccontiamo questa storia in uno specifico post del sito.

L’altro lato della medaglia di questa assunzione di massa è la dipendenza nei confronti di tale sostanze, che si instaura già durante la guerra ma che si manifesta, con tutti i relativi effetti collaterali, al ritorno delle truppe dal fronte, nel cosiddetto periodo di re-inserimento nella società civile. Effetti che, purtroppo, sono ben visibili anche ai giorni nostri.
Se, infatti, la posizione ufficiale delle democrazie occidentali e dei propri eserciti è quella di una ferma e dura lotta alle droghe, vietandone l’uso tra le proprie truppe, sono molti i segnali che indicano un problema tutt’altro che risolto: molto spesso quello che si osserva è innanzitutto uno switch da una sostanza psicotropa all’altra, motivo per cui i soldati sono più propensi a sviluppare dipendenza da alcool, tabacco e farmaci da prescrizione. Nel 2008, circa l’11% dei soldati all’attivo dell’esercito americano aveva sperimentato un abuso di farmaci da prescrizione (come gli oppioidi, prescritti per la cura di sintomatologie dolorose), a fronte del 2% nel 2002 e de 4% nel 2005. Secondo la stessa analisi, poco meno della metà dei soldati (47%, a fronte del 35% registrato nel 1998) aveva sperimentato un’assunzione smodata di alcol nell’anno. Di questi, circa il 20% aveva assunto alcol in modo incontrollato ogni settimana nel mese precedente l’analisi.

Questo si traduce, come è facile immaginare, in effetti psicologici devastanti, tipicamente correlati all’abuso di sostanze. Tra questi, uno dei più drammatici è senza alcun dubbio la tendenza al suicidio: se i tassi di suicidio sono infatti generalmente più bassi tra i militari, rispetto ai civili, nel 2004 gli studiosi hanno iniziato a notare un trend di crescita all’interno dell’esercito americano. Questa tendenza di crescita è proseguita in modo costante, registrando il sorpasso dei suicidi di militari rispetto a quelli di civili nel 2008: il report del 2010 della Army Suicide Prevention Task Force americana ha evidenziato che, di essi, circa un terzo era riconducibile all’abuso di sostanze.

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