Evolvono le società, evolvono gli usi e costumi, evolvono le dipendenze: da alcuni, anni, in particolare, si fa sempre più spesso riferimento alla cosiddetta dipendenza digitale, legata alla massiccia diffusione (e conseguente utilizzo pro-capite) delle moderne tecnologie di comunicazione.
Gli odierni dispositivi digitali, come ad esempio gli smartphone, sono infatti progettati per stimolare continuamente l’attenzione: trilli, vibrazioni, notifiche vanno ad attivare i circuiti cerebrali che governano l’attenzione sostenuta, e allo stesso tempo rappresentano una ricompensa, un reward, che riceviamo – a volte senza rendercene conto- in maniera pressoché costante.
Questo meccanismo d’azione, è facile immaginarlo e comprenderlo, favorisce delle risposte comportamentali a lungo termine del tutto paragonabili a quelle di una dipendenza da sostanza: quando abbiamo sottomano lo smartphone un controllo spasmodico alla ricerca di nuove email/messaggi/aggiornamenti di stato, quando invece ne siamo lontani (o non c’è campo) c’è invece un desiderio – paragonabile al craving da sostanza – di ritornarne in possesso.
In un recente studio, pubblicato sulla rivista NeuroRegulation, due professori statunitensi sostengono che anche gli effetti su umore e relazioni sociali sono gli stessi di quelli causati da una sostanza d’abuso. In particolare, secondo i ricercatori della San Francisco State University (che hanno studiato le risposte a un test fornite da 135 studenti) l’utilizzo massiccio di smartphone e tablet è associato a un aumento della solitudine percepita, dell’ansia e addirittura della depressione.
I risultati dello studio sono consultabili a questo link.