Fumo perché voglio. Dipendenza da nicotina e controllo volontario del consumo di tabacco

Il gesto di accendersi una sigaretta è un comportamento volontario? Rimane tale anche per quelle persone che presentano un tipo di consumo inquadrabile nella ‘dipendenza da nicotina’?  Perché le persone continuano a fumare sigarette pur sapendo che quel comportamento comporta gravi rischi per la salute e possiede elevati costi economici e ormai anche sociali? Sono liberi di decidere di smettere? E se sì, perché  in molti non lo fanno? Perché ci sono così tante ricadute tra gli ex-tabagisti? Infine: ci sono persone o condizioni per le quali smettere di fumare risulta impossibile?

La dipendenza da tabacco è probabilmente una delle forme più diffuse di dipendenza e senza dubbio una delle più controverse, vista la legalità della sostanza a dispetto dei gravi effetti sulla salute. La ricerca indica infatti che il tabacco, insieme all’alcol ha un potenziale d’abuso e costi sanitari e sociali più elevati di gran parte delle droghe, delle sostanze psicoattive illecite[1]. E le informazioni sulla dannosità del tabacco sono ampiamente disponibili alla popolazione, addirittura veicolate in modo drammatico sui pacchetti di sigarette. La consapevolezza dei rischi del fumo di tabacco dovrebbe essere tutto sommato diffusa e ciò suggerisce di caratterizzare il tabagismo come un comportamento irrazionale. Per tale ragione, la reiterazione del consumo di tabacco a dispetto della consapevolezza dei danni che causa viene spiegata come una condizione patologica, dovuta a una perdita del controllo cognitivo e volontario sul fumo. Così, secondo questa prospettiva, che è la spiegazione biomedica ortodossa, i tabagisti continuano a fumare perché sono diventati incapaci di inibire il desiderio del tabacco e non perché vogliono effettivamente fumare o perché decidono ogni volta di fumare.

 

Il tabagismo come caso di studio del problema del libero arbitrio

Fernand Léger, Les Fumeurs (I fumatori), 1911-1912, Solomon R. Guggenheim Museum, New York.

Le spiegazioni del tabagismo costituiscono un caso esemplare per la discussione e l’analisi del problema del libero arbitrio, della libertà e dell’autonomia del comportamento. Esse ripropongono un’antica questione filosofica la cui problematicità risiede soprattutto nel carattere controverso delle definizioni di volontà, libertà e autonomia, nella loro eccezionale eterogeneità, nella mancanza di accordo scientifico sui loro significati. L’incertezza e la natura controversa di questi temi determina il carattere problematico del concetto di dipendenza, che appunto dipende dal senso che attribuiamo all’idea di comportamento volontario e conseguentemente al suo opposto, le compulsioni. Abbiamo già in precedenza affrontato questi temi tra cui questi due post: “Intenzionalità, volontà e libertà nelle dipendenze” e “Dipendenze, incontinenza e debolezza di volontà

Le definizioni condizionano il modo in cui guardiamo un fenomeno, cosa andiamo a cercare, le strategie di formulazione degli esperimenti e la loro interpretazione. Inoltre i concetti che descrivono i comportamenti, il loro grado di autonomia e libertà cambiano nel tempo, in relazione all’insieme degli altri significati che usiamo per dar senso e dar conto alla natura umana. E questi ultimi sono altri significati che dipendono dalle trasformazioni materiali della società, dagli strumenti e dalle tecnologie che usiamo. Si pensi all’impatto che stanno avendo le tecnologie digitali e della comunicazione nella sfera dei processi cognitivi e decisionali, nelle possibilità di decidere e di agire nell’ambiente e nelle relazioni con gli altri: nelle possibilità quindi di essere o meno liberi, autonomi, responsabili, di agire intenzionalmente oppure in modo obbligato o compulsivo, come sembra accadere nelle dipendenze.

Il concetto stesso di dipendenza, come rilevato da Orford (2001)[2], si è profondamente trasformato nel tempo. L’idea iniziale di passione o dedizione, di vizio morale, che presuppone quindi la facoltà di scelta, ha lasciato sostanzialmente il passo al concetto di patologia, una condizione morbosa che abolisce la capacità di decidere se consumare o meno la sostanza e pone quindi fuori gioco la volontà.

Ma le cose stanno veramente così? L’uso di sostanze compromette il libero arbitrio? La dipendenza elimina la capacità delle persone di scegliere e agire liberamente, intenzionalmente, per lo meno rispetto all’uso della sostanza cui sono dediti?

Da una parte c’è chi è convinto che l’individuo dipendente, ogni volta che consuma, decida di reiterare l’uso della sostanza. Il tabagista sarebbe così uno che sceglie di fumare ogni volta che si accende una sigaretta e lo fa in completa autonomia e consapevolezza (Lewis, 2016[3]). Dall’altra c’è chi raffigura il tabagista come inerme e sopraffatto da desideri potenti e irresistibili che lo rendono incapace di gestire in modo controllato il suo rapporto col fumo (Volkow, 2015[4]).
Tra queste due interpretazioni opposte esiste tuttavia una gamma di spiegazioni alternative più sfumate, all’interno del quale si colloca quella recentemente avanzata da Roy Baumeister[5].

Al centro del modello esplicativo di Baumeister c’è l’idea di libero arbitrio come autonomia responsabile, cioè di una facoltà che presuppone due caratteristiche. La prima è l’autonomia, vale a dire il fatto che il comportamento è causato da fattori interni alla persona e non è obbligato da agenti coercitivi esterni che costringono a uno specifico e forzoso corso di azione. La seconda è la responsabilità, cioè il fatto che l’individuo intende le contingenze, vede le alternative possibili per le sue azioni e comprende le relative conseguenze delle diverse scelte possibili e accetta consapevolmente quelle legate alla decisione che prende nei fatti.

Il libero arbitrio implica così che la persona riconosca la molteplicità delle opzioni e che possa consapevolmente scegliere quali realizzare. La perdita o la compromissione del libero arbitrio significherebbe di conseguenza che una persona diventa incapace di vedere le diverse opzioni di scelta, oppure, di decidere quale prendere. In assenza del libero arbitrio un individuo non ha scelta ed è costretto ad agire soltanto in un senso, in un solo modo, indipendentemente, o anche a dispetto, dei suoi valori, delle sue intenzioni e delle sue preferenze. Un esempio in tal senso potrebbe essere la coercizione ad agire o a subire un’azione sotto la minaccia di una pistola puntata alla tempia.

Il libero arbitrio, e quindi pure la natura libera o obbligata di un comportamento, dipendono anche dal controllo delle motivazioni relative a dar corso a ai diversi tipi di comportamento possibile, alle diverse azioni possibilmente attuabili, ad esempio fumare o meno dopo un caffè.

Nel caso della dipendenza, secondo Baumeister occorre distinguere tra gli ambiti di pertinenza della motivazione e quelli del libero arbitrio. La motivazione riguarderebbe la condizione stessa di dipendenza. Diversamente, come abbiamo visto, il libero arbitrio rappresenta la capacità di decidere consapevolmente come agire, di scegliere autonomamente tra almeno due opzioni possibili di azioni, ad esempio, uscire o no dall’ufficio per fumarsi una sigaretta. Per Baumeister, la dipendenza sarebbe in grado di minare il libero arbitrio, ma solo indirettamente. I soggetti dipendenti, infatti, possono perdere il controllo delle loro motivazioni; non possono ad esempio smettere di desiderare una sigaretta o di avvertire il desiderio del fumo che cresce con l’astinenza, all’aumentare del tempo dall’ultima sigaretta fumata, oppure sentendo l’odore incrociando un’altra persona che fuma. Tuttavia essi rimangono perfettamente in grado di regolare i comportamenti che portano alla messa in atto di quel desiderio, scelgono di fumare in stato di coscienza, quindi di consapevolezza, sono per questo responsabili, possono vedere le conseguenze delle loro diverse azioni possibili. Hanno quindi più opzioni a disposizione per decidere, nessuno e niente dall’esterno gli preclude questi elementi cognitivi e la possibilità di non dar corso ai loro desideri di fumare. Questa situazione è così assimilabile a quella delle scelte libere e autonome e sembrano esistere le condizioni necessarie per la realizzazione del libero arbitrio.
Tuttavia, il controllo volontario del comportamento non funziona nel “vuoto”, ma si realizza anche esso dentro a un dominio articolato di processi automatici e inconsci (Baumeister, Masicampo, Vohs, 2011[6]). Le capacità di libero arbitrio e di scelta consapevole, quindi, sono spesso ostacolate da sequenze comportamentali automatiche, che possono essere scatenate da segnali ambientali appresi in modo condizionato (Tiffany,1990, 1999[7]). Ad esempio, il fatto di avere l’abitudine di fumare una sigaretta subito dopo un pasto può innescare due diverse conseguenze possibili. La prima tra queste è la “conformità”: il soggetto dipendente asseconda senza remore e senza conflitto il desiderio di fumare. La seconda è spesso al centro dei dibattiti sul libero arbitrio ed è rappresentata dalla “contrapposizione” tra la razionalità dell’astinenza e l’irrazionalità dell’impulso.

Il fallimento della resistenza al desiderio lascerebbe logicamente presupporre a un deficit di controllo del comportamento, eppure Baumeister continua a considerare l’atto di accendersi la sigaretta come una scelta volontaria. E lo fa sulla base di diversi criteri che permettono di distinguere gli automatismi dalle azioni intenzionali.

 

Come si può stabilire se un comportamento è volontario o costretto, obbligato?

Dal punto di vista medico e biologico, ad esempio, un metodo semplice per stabilire se un comportamento è volontario è controllare quale tipologia di muscoli utilizza. Se l’azione mette in moto fasce muscolari striate allora è un comportamento volontario, altrimenti non lo è. Per esempio, una luce brillante, causa la dilatazione delle pupille degli occhi, che è eseguita da muscoli lisci involontari: la persona non può controllare questa manifestazione corporea né può coscientemente resisterle. Senza dubbio, invece, l’atto di fumare una sigaretta, implica un considerevole utilizzo dei muscoli volontari: il gesto di scartare il pacchetto, aprirlo, estrarre la sigaretta, portarla alle labbra, accenderla…etc. ai quali il soggetto può consapevolmente scegliere di opporre resistenza. Da questo punto di vista, quindi, non può che essere considerato un atto deliberato.
Un altro criterio per capire se il comportamento è intenzionale è prestare attenzione alla presenza di due caratteristiche salienti dell’azione volontaria: la pianificazione e l’adattamento. La pianificazione, chiamata anche premeditazione, riguarda la visualizzazione o comunque l’organizzazione mentale delle sequenze di azioni e delle loro conseguenze e soprattutto lo svolgimento di azioni preparatorie concatenate. L’adattamento, invece, riguarda la capacità di apportare modifiche ad un comportamento mentre lo si sta eseguendo. È evidente come atti involontari, come starnuti, battiti di ciglia, conati di vomito etc., siano privi di queste caratteristiche. I fumatori, invece, mostrano sia pianificazione che adattamento. Per potersi accendere una sigaretta, infatti, bisogna, prima di tutto, comprarsi il pacchetto e munirsi di un accendino funzionante (azioni premeditate). Inoltre, se per qualche motivo l’accendino si dovesse scaricare (interrompendo così la sequenza di azioni pianificate), il fumatore sarebbe perfettamente in grado di trovare percorsi alternativi, chiedendolo in prestito o comprandone uno nuovo dal tabaccaio più vicino (capacità di adattamento).

Sembrano, dunque, esserci ragioni sufficienti per considerare i tabagisti come soggetti in grado di esercitare il dovuto controllo sulle azioni legate al fumo.

Tutto questo delinea senza dubbio un approccio che si allontana dal modello teorico di dipendenza come malattia cronica recidivante caratterizzata dall’uso compulsivo della sostanza, dalla perdita del controllo volontario. Sono evidenze che suggeriscono l’utilizzo di strategie di rafforzamento del controllo volontario del comportamento per il trattamento e la prevenzione delle dipendenze: training cognitivi e comportamentali volti a potenziare le capacità di gestire i desideri e regolare gli impulsi. Questa prospettiva implica anche che vada combattuta l’idea stessa di dipendenza come malattia cronica in cui è compromesso il controllo volontario dell’uso della sostanza. Come scrive Baumeister, “i soggetti dipendenti non devono sentirsi vittime indifese”[8]. La credenza e la consapevolezza di poter regolare il rapporto con la sostanza e soprattutto di poter riabilitare il controllo sono essenziali al percorso di recupero dei tabagisti e di tutti i soggetti con dipendenza. Rafforzare la cognizione delle proprie capacità di controllo può aiutarli da un lato a resistere meglio ai desideri e alle tentazioni della sostanza e dall’altro a alimentare la fiducia, la motivazione al cambiamento senza le quali non si può vincere o anche solo affrontare la difficile sfida del recupero.

 

Stefano Canali e Giulia Virtù

Riferimenti bibliografici

[1] Lachenmeiera DW,Rehm J. Comparative risk assessment of alcohol, tobacco, cannabis and other illicit drugs using the margin of exposure approach. Sci Rep. 2015; 5: 8126; van Amsterdam J1, Opperhuizen A, Koeter M, van den Brink W. Ranking the harm of alcohol, tobacco and illicit drugs for the individual and the population. Eur Addict Res. 2010;16(4):202-7. doi: 10.1159/000317249. Epub 2010 Jul 2; Nutt DJ, King LA, Phillips LD; Independent Scientific Committee on Drugs. Drug harms in the UK: a multicriteria decision analysis. Lancet. 2010 Nov 6;376(9752):1558-65. doi: 10.1016/S0140-6736(10)61462-6. Epub 2010 Oct 29.

[2] Orford, J. (2001). “Conceptualizing addiction: Addiction as excessive appetite”. Addiction,

96, 15–31.

[3] Lewis, M. (2016). The addiction habit. Aeon https://aeon.co/essays/why-its-high-time-that-attitudes-to-addiction-changed        .

[4]Volkow, N. (2015, June 12). Addiction is a disease of free will. [Web log post]. Retrieved from https://www.drugabuse.gov/about-nida/noras-blog/2015/06/addictiondisease-

free-will

[5] Roy F. Baumeister (2017) “Addiction, cigarette smoking, and voluntary control of action: Do cigarette smokers lose their free will?” Addictive Behaviors Reports, 5, June 2017, pp. 67-84

[6] Baumeister, R. F., Masicampo, E. J., & Vohs, K. D. (2011). Do conscious thoughts cause behavior? Annual Review of Psychology, 62, 331–361. http://dx.doi.org/10.1146/annurev.psych.093008.131126.

[7] Tiffany, S. T. (1990). A cognitive model of drug urges and drug-use behavior: Role of automatic and nonautomatic processes. Psychological Review, 97, 147–168.

Tiffany, S. T. (1999). Cognitive concepts of craving. Alcohol Research & Health, 23, 215–224.

[8] Roy F. Baumeister (2017) “Addiction, cigarette smoking, and voluntary control of action: Do cigarette smokers lose their free will?” Addictive Behaviors Reports, 5, June 2017, pp. 67-84.

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