Eterogeneità e numerosità dei criteri nella diagnosi per disturbo da uso di sostanze nel Dsm-5

Nel DSM-5 il disturbo da uso di sostanze viene definito “Una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a disagio o compromissione clinicamente significativi, come manifestato da almeno due delle condizioni seguenti, che si verificano entro un periodo di 12 mesi:

1) La sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto;

2) Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza;

3) Una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza (per es., recandosi in visita da più medici o guidando per lunghe distanze), ad assumerla (per es., fumando “in catena”), o a riprendersi dai suoi effetti;

4) Craving o forte desiderio o spinta all’uso della sostanza;

5) Uso ricorrente della sostanza che causa un fallimento nell’adempimento dei principali obblighi di ruolo sul lavoro, a scuola, a casa;

6) Uso continuativo della sostanza nonostante la presenza di persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza;

7) Importanti attività sociali, lavorative o ricreative vengono abbandonate o ridotte a causa dell’uso della sostanza;

8) Uso ricorrente della sostanza in situazioni nelle quali è fisicamente pericolosa;

9) Uso continuato della sostanza nonostante la consapevolezza di un problema persistente o ricorrente, fisico o psicologico, che è stato probabilmente causato o esacerbato dalla sostanza;

10) Tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti: a) il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato; b) un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza;

11) Astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti: a) la caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza (riferirsi ai Criteri A e B dei set di criteri per Astinenza dalle sostanze specifiche); b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza.”

La soglia per la diagnosi è così costituita dalle presenza di soli due criteri, quali che siano. Una soglia assai bassa. In più, se ignoriamo la distinzione tra disturbo moderato e lieve abbiamo un totale di 2036 possibili combinazioni di criteri capaci di dare diagnosi. Ed inoltre combinazioni di criteri profondamente diversi l’uno dall’altro. Potrebbe infatti trattarsi della presenza di due soli criteri relativi alle conseguenze negative dell’uso; a questo proposito, detto incidentalmente, si potrebbe aprire un capitolo critico vastissimo sul valore di una diagnosi di un disturbo che può essere posta attraverso soltanto il riscontro delle conseguenze di un determinato comportamento. Suonerebbe assai strano diagnosticare ad esempio l’epilessia per le difficoltà e i problemi che crea a chi ne soffre nell’adempimento degli obblighi sul lavoro, a casa, a scuola o per il fatto che questa condizione può portare alla riduzione delle attività sociali e ricreative.

Ripetiamo, nel DSM-5 abbiamo oltre duemila possibili combinazioni di due singoli criteri per una diagnosi da disturbo da uso di sostanze e queste combinazioni possono vedere accoppiati criteri profondamente diversi l’uno dall’altro. Potrebbe in una mancare il craving, in altra essere assenti ripercussioni sociali o esistenziali, in altre combinazioni ancora mancare l’astinenza o la tolleranza o entrambe. Potrebbe essere poste diagnosi anche in assenza dell’uso continuativo della sostanza a dispetto della consapevolezza delle conseguenze negative o del desiderio di smettere e dei tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza. Criteri che sono cruciali nella concezione biomedica ortodossa della dipendenza.

Oltre duemila combinazioni diverse possibili. Una enorme gamma di possibilità diverse di sintomi per uno stesso identico disturbo, una sola medesima condizione patologica, almeno teoricamente. Soprattutto per le condizioni moderate, dal punto di vista probabilistico i soggetti con diagnosi per disturbo da uso di sostanze potranno essere così una massa multiforme di individui con condizioni fattualmente quasi incommensurabili. In linea di principio sarà possibile avere una stessa diagnosi per molti soggetti diversi senza alcun sintomo in comune. È vero che ogni malattia è una condizione unica e irripetibile, qualcosa di univocamente incarnato in un individuo. Ma una stessa condizione con così tante manifestazioni e tante profonde differenze tra una diagnosi e l’altra è davvero qualcosa di sconcertante. Questa possibile eterogeneità rimanda probabilmente a condizioni diverse, che andrebbero isolate e descritte in modo più preciso, pur tenendo conto degli elementi di possibile reciproca continuità. Una definizione che annovera casi e oggetti tanto numerosi e tanto diversi tradisce il suo scopo di strumento classificatorio, per identificare e discriminare, per fare una diagnosi esatta e quindi avviare un percorso di cura, che può essere efficace solo se mirato, relativo a una precisa condizione, a un insieme di singoli casi che – pur nella loro individualità – presentano un costante e congruo nucleo di elementi clinici in comune. Allo stesso modo tanta estensione teorica e tanta possibile difformità nei casi diagnosticati rappresenta un ostacolo impervio per la ricerca scientifica sulle dipendenze, di base e in clinica, considerato che la prima condizione di fattibilità di una ricerca è quella di avere un oggetto teorico univoco, chiaro, puntuale, l’esatto opposto della definizione di disturbo da uso di sostanze che ci offre il DSM-5.

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Stefano Canali

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