Molti aspetti della dipendenza suggeriscono di indagare le basi neurobiologiche di quella condizione pratica che nella tradizione etica occidentale è stata chiamata akrasia, e cioè lo stato in cui un soggetto sembra comportarsi in contraddizione con ciò che giudica meglio per se stesso, ovvero la debolezza di volontà, l’incontinenza (Mele, 2002 e 2010). Ai fini della comprensione delle dipendenze, tra le molte e diverse interpretazioni che sono state avanzate nel corso della storia della filosofia, appare particolarmente interessante la nozione di akrasia come conflitto tra ragione ed emozione (ad esempio Jones, 2003).
I tossicodipendenti sanno che la loro condizione migliorerebbe con l’astinenza. I loro giudizi e la comprensione cognitiva del problema che li affligge non sembrano pregiudicati. Nonostante questa consapevolezza, i tossicodipendenti decidono di consumare la sostanza da cui dipendono quando si presentano certe circostanze, taluni stimoli e sotto la spinta del loro desiderio. Peraltro anche in questo caso la scelta non appare meramente legata agli appetiti ma soggiace alla pianificazione, genera piani preordinati. Ad esempio i soggetti dipendenti decidono talora di astenersi dal consumo per ridurre la tolleranza e abbassare così le dosi necessarie per raggiungere gli effetti desiderati (Ainslie, 2002). Il consumo di sostanze è anche legato a fattori, come il prezzo, le pressioni sociali, la valutazione dei rischi (Fingarette, 1988; Elster, 1999; Neale, 2002). Tutto ciò attesta da un lato la presenza di processi di valutazione razionali e dall’altro il fatto che il desiderio della sostanza non è irresistibile, non può dirsi letteralmente compulsivo.
Dunque il caso della dipendenza per molti versi ripropone il problema del rapporto tra dimensione cognitiva e sfera emotiva che ha impegnato per secoli la riflessione nella filosofia pratica. Oggi anche le neuroscienze cercano di far luce sui rapporti tra emozione e cognizione nell’apprendimento e nei giudizi pratici e morali che contribuiscono a determinare il comportamento umano. La ricerca sul cervello sembra aver dimostrato che nelle decisioni non esiste un reale dualismo tra emozioni e cognizione, quanto piuttosto una interazione funzionale che è anche una costante tensione (Damasio, 1994; Dolan, 2002; Moll e de Oliveira-Souza, 2007; Moll et al., 2008). Così, descrivere i fenomeni compulsivi che si osservano nei tossicodipendenti come compromissione del controllo cognitivo appare quantomeno riduttivo e improprio: è una rappresentazione empiricamente, neurobiologicamente, inadeguata.