Dare parole al dolore. Lessico emotivo, regolazione delle emozioni e consumo di sostanze

Albert Gustaf Aristides Edelfelt (1854-1905) Suru / Tristezza

“Dai parole al dolore; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli ordina di spezzarsi”, cosi William Shakespeare fa dire nel Macbeth a Malcom che si rivolge a Macduff disperato per aver appena appreso l’uccisione di sua moglie e dei suoi figli.

La valutazione, il reappraisal di un evento emotivo e anche il distanziamento dipendono dal riconoscimento dell’emozione che esso suscita, non si può infatti giudicare il significato emotivo di qualcosa se non si riconosce l’emozione associata. Il riconoscimento è un processo cognitivo che porta a una attenuazione delle attivazioni del cervello emotivo-impulso, e quindi a una diminuzione delle reazioni fisiologiche e dello stress associato a quel particolare evento emotivo.

 

Parole e regolazione delle emozioni

Una evidenza scientifica di estremo interesse anche per la clinica delle dipendenze è che questo disinnesco emotivo-impulsivo avviene anche soltanto nominando l’emozione. Mettere in parole un carico affettivo anche penoso attenua immediatamente il suo impatto sul vissuto e sulla reattività fisiologica e comportamentale che quell’emozione tende a suscitare. E’ noto l’impatto del vissuto emotivo penoso e dello stress correlato a questa condizione affettiva sul consumo di sostanze e sulle ricadute. Per questo gli studi sul ruolo del lessico emotivo, delle capacità di riconoscere e “dare un nome” alle emozioni nella regolazione emotiva, possono avere notevoli ricadute nel trattamento e nella prevenzione del disturbo da uso di sostanze.

Una delle ricerche più citate a questo proposito è quella del gruppo coordinato da Matthew Lieberman alla facoltà di psicologia della University of California Los Angeles  – UCLA. Questo studio ha dimostrato che nominando l’emozione percepita durante l’osservazione di foto di persone con varie espressioni emotive, dalla rabbia alla gioia, l’attivazione della corteccia prefrontale aumentava e l’attivazione dell’amigdala diminuiva rispetto alle attivazioni corrispondenti alla semplice osservazione delle stesse foto[1]. L’attivazione della corteccia prefrontale correla con l’esecuzione di processi di controllo volontario del comportamento e di regolazione delle emozioni. Considerato che l’amigdala è il principale centro del cervello emotivo, la diminuzione della sua attivazione invece rimanda a una attenuazione della carica affettiva con la conseguente riduzione della risposta dello stress e della tendenza ad esprimere la reazione emotiva in modo impulsivo.

La ricerca del gruppo di Lieberman, come le molte analoghe condotte in seguito, suggerisce che il consapevole etichettamento linguistico di un’emozione percepita porta a una regolazione efficace e quindi facilita l’autocontrollo. Ciò suggerisce che i training che migliorano la capacità di riconoscere le emozioni possono contribuire a migliorare le regolazione emotiva e dunque diminuire il consumo di sostanze. Tra questi diversi esercizi, va indicato l’addestramento mindfulness, in particolare quello con specifica attenzione verso le emozioni, perché stimola e allena specificatamente la capacità di riconoscere l’emozione insorgente, di nominarla e di lasciarla andare. Per questo è ipotizzabile che possa essere utilmente usata negli interventi sulle dipendenze.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

[1] Lieberman MD, Eisenberger NI, Crockett MJ, Tom SM, Pfeifer JH, Way BM. Putting feelings into words: affect labeling disrupts amygdala activity in response to affective stimuli. Psychol Sci. 2007 May;18(5):421-8.

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