Come e perché è possibile e anche molto comune l’uso controllato delle droghe

Si tende comunemente a definire abuso ogni tipo di consumo di droga, di sostanze psicoattiva illecita. Nella percezione comune del fenomeno, l’espressione “uso controllato” riferita a queste sostanze è giudicata una contraddizione in termini. Eppure ormai la ricerca ha conclusivamente dimostrato che  l’uso non compulsivo, controllato, di droghe costituisce la gran parte dell’insieme delle pratiche umane di consumo di agenti psicotropi. L’ultimo World Drug Report of the United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), pubblicato nel 2014, stima che a livello mondiale circa 243 milioni di persone, o il 4,5%, ovvero ancora uno su 22 della popolazione mondiale tra I 15 e i 64 anni, ha usato almeno una sostanza psicotropa illecita. Le persone che hanno sviluppato dipendenza sono invece circa 27 milioni, all’incirca lo 0.5% della popolazione adulta mondiale, vale a dire che solo il 9% delle persone che consumano sostanze psicotrope illecite finisce per cadere nell’uso problematico o patologico.

Cosa media il consumo controllato di una droga

Honoré Daumier, Due uomini a un tavolino, 1855-56

L’uso problematico o l’autoregolazione del consumo di sostanze psicoattive sono una conseguenza degli incentivi e dei vincoli che operano nello spazio psicosociale in cui si muove un individuo. La dipendenza non scaturisce dalle droghe, ma procede dall’esperienza umana. Il rapporto tra una sostanza e un individuo va infatti ben oltre i meccanismi farmacologici attivati nel sistema nervoso e nell’organismo. Perché questi stessi processi neurobiologici e fisiologici sono la risultante della composizione dei campi di forza biologici, psicologici, etici, economici, legali in cui una persona gravita. Il tipo di rapporto che un individuo sviluppa con una sostanza dipende fortemente dai costi e dai rischi che ha questo comportamento, dalla cultura del momento, dal gruppo di riferimento da cui un individuo trae le sue norme del suo agire, dalle sue esperienze, dall’educazione, dalle pressioni dei suoi pari e dalla tendenza a conformarsi ad essa; ma dipende pure dai vantaggi, reali o anche solo presunti che certi effetti della sostanza gli garantiscono in un certo periodo della sua vita. Un individuo può infatti usare eroina per anestetizzare un trauma o un’ansia per cui non riesce a trovare altra soluzione, oppure al contrario usare uno stimolante come la cocaina per cercare di elevare le sue prestazioni, ovvero anche – nel caso di soggetti depressi – per riattivare la gratificazione e la stessa capacità di mettersi in moto nell’ambiente e nelle relazioni. Come scriviamo in un altro post, per alcuni individui, l’uso di una sostanza in talune circostanze e periodi della vita può essere anche razionale.

Il risultato di tutti questi determinanti resta dunque legato agli apprendimenti e diventa esso stesso un apprendimento e, come tutti gli apprendimenti di tipi di comportamenti significativi, esso dipende fortemente dal contesto materiale, culturale e sociale in cui si realizza.

Come si impara l’uso di una droga

Il ruolo dell’apprendimento sociale nel rapporto e sugli effetti delle sostanze era stato esemplarmente dimostrato da Howard Becker nel lontano 1953 a proposito dell’uso della marihuana[i]. Becker per primo ha sottolineato l’importanza di identificare la sequenza delle esperienze sociali attraverso cui si stabilisce l’uso di una sostanza, piuttosto che cercare i tratti o le disposizioni che rendono un individuo prono al consumo abituale o alla dipendenza. Becker ha tentato di delineare questo processo e i suoi meccanismi con una ricerca sul campo che evidenziava la centralità dei fenomeni di apprendimento sociale sull’esperienza della sostanza e la natura del rapporto tra essa e il suo consumatore. Così secondo i risultati delle sue interviste, il consumo voluttuario di cannabis si stabilirebbe solo quando chi consuma 1) impara a usarla in un modo che la renda capace di garantire certi effetti (per esempio, come e dove reperirla, prepararla, fumarla, ecc.), 2) impara a riconoscere gli effetti e a collegarli alla sostanza, 3) impara a percepire e ad apprezzare i piaceri che la sostanza sembra dargli o che soggettivamente gli garantisce. In quest’ultimo caso in modo non dissimile da quanto si fa imparano il piacere del fumo o di una bevanda alcolica, del caffè, di una corsa, di una lettura o della musica lirica. Nessun piacere si apprezza immediatamente, anzi è esperienza comune la spiacevolezza del primo incontro con le sostanze, ma anche con certi cibi, ovvero ancora con taluni comportamenti.

L’apprendimento dell’uso di una sostanza è dato in parte dal gruppo sociale all’interno del quale questa pratica viene iniziata e si sviluppa e in parte dall’esperienza individuale del consumatore e alla sua capacità di riflettere su di essa, di cercare anche nuovi effetti, finalità d’uso e ciò in rapporto al suo ambiente, alla struttura della sua vita. Sono però i consumatori più anziani inizialmente a insegnare i modi in cui preparare, assumere la sostanza, aspettare, distinguere e dare un nome ai suoi effetti. E questi stessi consumatori anziani e il gruppo stesso tenderanno a diventare anche dei modelli su cui conformare e registrare il rapporto con la sostanza: frequenza, dosi, vincoli, situazioni, pratiche, valori contestuali e così via.

Il ruolo del setting: lo scenario sociale e il consumo di sostanze

Come ha chiarito Norman Zinberg, questo apprendimento è determinato dal setting, lo scenario sociale in cui prende forma e si realizza il consumo. In questo scenario il controllo del consumo può prendere corpo in virtù dell’intervento di sanzioni e rituali sociali. L’uso di ogni sostanza psicoattiva implicherebbe comunque, sempre, valori e regole di condotta, che possono dar luogo a sanzioni sociali, e schemi di comportamento, appunto rituali sociali. Queste strutture normative, formali o implicite operano a più livelli, diversificandosi e interagendo, dalle comunità sociali più vaste, dalla cultura del tempo in un dato stato, sino ai piccoli gruppi che possono muoversi abitualmente in singoli quartieri. Queste configurazioni di prassi e di valori funzionano da impalcature cognitive in grado di ordinare il senso, la desiderabilità, la resistibilità della sostanza in acuto, e la natura del rapporto nel tempo. Esse costituiscono la fonte di variabili e fattori con cui si compone la sommatoria nei processi di decisione se usare o no e per quanto: attivazioni viscerali, campo gravitazionale della ricompensa legata alla sostanza, computazione cerebrale dell’opportunità, delle conseguenze, dei costi del consumo, anche nel tempo.

Disponibilità della sostanza e struttura della vita

In questa originale teoria esplicativa Jean-Paul Grund[ii]. Charles Fauper[iii] hanno introdotto due fondamentali variabili aggiuntive: la disponibilità della sostanza, la struttura della vita.

Faupel e Grund hanno dimostrato che la disponibilità della sostanza ha un ruolo centrale nella possibilità di sviluppare un uso non problematico. È vero che, sino a una certa misura, la limitazione della disponibilità di una sostanza cui un consumatore è dedito può limitarne l’uso. Tuttavia ciò ha un elevato costo motivazionale e cognitivo. La scarsezza della sostanza tende ad amplificare l’appetito e ad attivare la motivazione alla sua ricerca ed assunzione a dare innesco al pensiero desiderante, fatto di immagini, appetiti e progressiva focalizzazione del consumatore sulla sostanza stessa[iv]. Questo processo, come è noto, da un lato accende la salienza incentivante della sostanza e quindi il desiderio, il craving, dall’altra erode le risorse cognitive necessarie al controllo, alla capacità di inibire l’impulso al consumo e alla formulazione e attuazione di decisioni in grado di contemplare gli effetti della sostanza nel presente e a medio-lungo termine.

Questo conflitto cognitivo, questa imponente spinta impulsiva e viscerale facilitano peraltro l’assunzione di comportamenti rischiosi, sia nella ricerca della sostanza, ad esempio atti violenti o criminali, che nelle modalità di consumo.

Paradossalmente, così, una maggiore disponibilità di sostanza o meglio – sarebbe forse il caso di dire – una possibilità di stabile approvvigionamento a costi sostenibili, favorisce l’assestarsi del consumo autoregolato e non problematico.

Routine, impegni e responsabilità come fattori di controllo

La struttura della vita, la consistenza e la regolarità di abitudini, relazioni, occupazioni che danno forma alla quotidianità è un elemento fondamentale nella determinazione della natura del rapporto tra un individuo e una sostanza. Il consumo controllato è fortemente associato a una vita in cui sono sufficientemente mantenuti obblighi, routine, responsabilità, un impiego, varietà di connessioni sociali, obiettivi, aspirazioni: una vita ricca di riferimenti, strutturata e stabile. Anche in questo caso si può immaginare la funzione cognitiva e motivazionale di questi fattori nell’ancoraggio di un individuo rispetto a scelte capaci di contemplare il peso di altri elementi che non siano la ricompensa immediata o la salienza impellente associati alla sostanza. Questi fattori sono codificati a livello cognitivo, nelle aree prefrontali in grado di inibire le spinte consumatorie innescate dalla possibilità di usare la sostanza e dalle fluttuazioni della sua presenza nell’organismo.

Una routine robusta inoltre previene l’affaticamento cognitivo, la deplezione dell’io, che sono invece associati alla continua assunzione di scelte e decisioni, pur frammentarie e temporanee di una quotidianità senza struttura e abitudini solide. Le ricerche sui meccanismi dell’autocontrollo hanno dimostrato come il sovraccarico di scelte costituisca una richiesta cognitiva che erode le capacità di controllo volontario degli stimoli appetitivi. Una vita anomica, confinata in una sorta di caotico limbo normativo, rende così vulnerabili all’uso sregolato, che peraltro è caratterizzato da frequenti oscillazioni di preferenze verso la sostanza, come fortemente oscillante è il comportamento in generale di chi soffre una condizione di deplezione cognitiva, per richieste eccessive di controllo, di utilizzo delle risorse cognitive, oppure per disturbo del comportamento, come nel caso della depressione o del deficit di attenzione: due condizioni psichiatriche che non a caso ricorrono frequentemente con l’abuso di sostanze.

Per queste, e altre numerose ragioni, che per ragioni di spazio qui non possiamo affrontare, sarebbe opportuno anche fare più ricerca sul consumo controllato. Per comprendere infatti come mai alcuni perdono il controllo sull’uso di una droga e quindi trattare e prevenire più efficacemente le dipendenze, è fondamentale capire come e perché molti riescono a mantenere un uso controllato e sostanzialmente privo di conseguenze problematiche.

Stefano Canali

Riferimenti bibliografici

[i] Howard S. Becker, Becoming a Marihuana User. The American Journal of Sociology, Vol. 59, No. 3 (Nov., 1953), pp. 235-242

[ii] Grund JP. Drug Use as a Social Ritual. Functionality,Symbolism and Determinants of Self-Regulation. Rotterdam: Instituut voor Verslavingsonderzoek,1993.

[iii] Faupel, C. E. (1981) “Understanding the relationship between heroin use and crime: contributions of the life history technique.” Presented at the thirty-third Annual Meeting of the American Society of Criminology, Washington, DC; Faupel CE. Drug availability, life structure and situational ethics of heroin addicts. Journal of Contemporary Ethnograhy, già Urban Life 1987;15:395–419.

[iv] Grund, 1993, p. 248.

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