Quando gli europei scoprirono la coca

Dato il carattere fortemente sacrale della coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne avevano limitato l’uso all’aristocrazia imperiale e alla potente casta sacerdotale. Sino all’arrivo degli spagnoli, pertanto, la popolazione poteva consumare la coca soltanto in occasione di particolari riti religiosi e per scopi terapeutici.

Nel 1532, con la caduta dell’impero Incaico per mano degli eserciti spagnoli guidati da Francisco Pizarro, la situazione mutò radicalmente. Con l’uccisione dell’ultimo vero Inca, Atahualpa, gli indios dell’impero cominciavano a fare libero uso della coca, tanto che sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti spagnoli pubblicarono sulla nuova provincia è costante il riferimento all’estrema diffusione del consumo di coca.

«In tutto il Perù gli Indios masticano la coca, dal mattino fino a quando vanno a riposare, non la smettono mai. Quando chiesi a qualcuno degli Indios perché portassero le foglie in bocca, che non mangiano, ma che tengono semplicemente tra i denti, mi risposero che lo facevano per allontanare la fame e perché dava grande vigore e forza», scriveva Pedro Cieza de Leon nel resoconto del lungo viaggio esplorativo fatto dal 1540 al 1550 per conto di Augustin de Zarate, primo Presidente della Rappresentanza Reale Spagnola. Nei Commentarios reales de los Incas redatti nel 1560, lo storico Garcilaso de la Vega annotava: «L’erba che gli indiano chiamano Cuca e gli spagnoli Coca è una delle grandi ricchezze del Perù; poiché se ne fa un gran commercio. […] Gli indiani ne preferiscono le foglie all’oro, all’argento e alle pietre preziose; così le coltivano e le colgono con una attenzione estrema, le seccano al sole, ne aumentano l’odore, e le masticano senza inghiottirle. Coloro che la tengono in bocca hanno più forza nel loro lavoro, e si sostengono tutto il giorno senza prendere alcun cibo; preserva da molteplici malattie, è molto buona per rinforzare i denti e per placare i dolori».

L’uso da parte degli europei

Gli spagnoli usarono la coca come compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e nelle piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze sull’organismo prodotte dall’abuso generalizzato di coca, che così si instaurò tra la popolazione sottomessa, amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus europei per cui gli indigeni non avevano alcuna resistenza immunitaria, accelerando il già rapido processo di eliminazione degli indios da parte degli spagnoli.

Ma la pianta divina conquistò i conquistadores. Gli spagnoli della Nuova Castiglia, infatti, diventarono in breve grandi masticatori di acullico, una pallina composta da foglie di coca, calce e cenere vegetale. Ciò spinse la Chiesa a denunciare l’uso della coca come idolatria pagana nei concili ecclesiastici del 1551 e del 1567 e a proibire formalmente il suo consumo.

L’uso della coca come salario fece assumere alla pianta un nuovo valore, quello economico. Ciò induceva gli spagnoli a facilitarne ulteriormente i consumi e ad estenderne la coltivazione. La Chiesa stessa riconosceva questo nuovo valore, accettando le foglie di coca come pagamento delle decime. Nel Settecento la coca rappresentava una delle maggiori ricchezze di sfruttamento delle colonie americane spagnole, ma non aveva conosciuto ancora una reale diffusione in Europa.

La coca veniva usata come stimolante per le truppe dell’esercito di liberazione indigeno durante la guerra di indipendenza peruviana tra il 1820 e il 1824, tanto che il primo governo indipendente del Perù riconoscerà il valore rivoluzionario della pianta divina rappresentando una sua foglia nello stemma ufficiale del nuovo stato.

I primi seri studi di tossicologia e sull’uso della coca in clinica iniziavano tuttavia soltanto nella seconda metà dell’Ottocento, con la pubblicazione di un importante opera di, Paolo Mantegazza, un eclettico professore di patologia generale ed antropologia italiano, intitolata Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e degli alimenti nervosi in genere. Mantegazza aveva imparato a masticare coca («in lauta copia») durante un suo lungo viaggio nell’America del Sud ed era stato conquistato dal piacere che essa era in grado di dargli, «di gran lunga superiore a tutti gli altri conosciuti di ordine fisico». Un entusiasmo piuttosto ingenuo per il consumo della coca permeava, conseguentemente, le pagine del suo noto saggio del 1859, tanto da rendere l’opera un’esplicita apologia della divina pianta degli Inca.

La vicenda del Vin Mariani

Il Saggio sulle virtù igieniche della coca e degli alimenti nervosi in genere, conobbe un successo straordinario in tutta Europa e divenne il maggiore veicolo di promozione del potente stimolante nella società occidentale. I resoconti degli incredibili effetti tonificanti ed euforizzanti della coca fatti da Mantegazza ispirarono ad un chimico farmacista corso, Angelo Mariani, l’idea di un prodotto altamente commerciale: una bevanda preparata con coca sciolta in vino corso. La formula del Vin Mariani, così venne denominata la bevanda bevettata nel 1863, coniugava gli effetti tonici e stimolanti della coca al gusto gradevole del vino. Il Vin Mariani sollevava il morale ai depressi e curava praticamente ogni tipo di disturbo fisico, dal mal di gola alle affezioni nervose, dall’impotenza all’insonnia, dall’anemia alle febbri, finanche ai morbi di tipo contagioso.

La bevanda acquistò immediatamente una popolarità clamorosa, annoverando tra i suoi estimatori personalità del mondo dell’arte e della cultura, come Emile Zola, August Rodin, Charles Gounod, Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne, Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica, come Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti, come lo zar di Russia e il Principe di Galles, dello spettacolo, come l’attrice Sarah Bernhardt e la cantante Adelina Patti. La medicina e il mercato gli tributavano un successo straordinario. Mariani era ritenuto un benefattore dell’umanità, il papa stesso, Leone XIII regalava al chimico corso una medaglia d’oro in segno di riconoscenza.

La diffusione del Vin Mariani fu assicurata anche da una campagna pubblicitaria eccezionale che mirava a provare la realtà delle straordinarie virtù del tonico attraverso le autorevoli e favorevoli testimonianze delle grandi personalità che l’avevano usato. Per raccogliere e a rendere noti ai consumatori questi ingenui testimonial di un potente e dannoso psicofarmaco, Mariani cominciò a pubblicare, dal 1891, una elegante serie di quattordici Album. In essa erano presenti i ritratti e le autografe attestazioni di gratitudine che la gente illustre gli aveva inviato. Le campagne promozionali di Mariani proseguivano con la pubblicazione di cartoline postali e brevi racconti a tema sulle magnifiche virtù della coca. Il chimico corso pensava quindi di ampliare la gamma dei suoi prodotti, differenziando la presentazione della sua formula originale. Venivano così commercializzati il Patê Mariani (pastiglie per la gola), le Pastilles Mariani (Patê Mariani con aggiunta di cocaina), il Tè Mariani (estratto concentrato della foglia di coca privo di vino).

La Coca Cola

Il successo mondiale del Vin Mariani spingeva l’artigianato e l’industria chimico-farmaceutica a mettere a punto un preparato capace di trarre profitto dal ricchissimo mercato creato dal tonico francese. Fu un farmacista americano di Atlanta, John Styh Pemberton a commercializzare nel 1885 la prima bevanda in concorrenza con il Vin Mariani, il French Wine Coca. L’anno successivo Pemberton, modificava il suo preparato eliminando l’alcool e aggiungendo estratto di noce Kola (ricca di caffeina), oli di agrumi e dolcificanti. Il nuovo analcolico (soft drink) era destinato, secondo la pubblicità che ne accompagnò l’immissione sul mercato, «agli intellettuali e agli alcolisti in astinenza», il suo nome commerciale era Coca Cola.

Nel 1888 Pemberton sostituiva l’acqua naturale con l’acqua gassata: la Coca Cola, a parte il fatto che contenesse ancora cocaina, si era ormai evoluta nella attuale formula “classica”. Nel 1891, un altro farmacista, Asa Candler, acquistava i diritti da Pemberton e l’anno successivo fondava la Coca Cola Company. Candler faceva quindi progettare degli eleganti apparati di ceramica per la distribuzione della bevanda «con scatto-forza-energia», le “fontane” da porre in ogni spaccio e drug store americano, per incrementare il suo consumo. Nel 1903, infine, il governo federale statunitense imponeva l’esclusione della cocaina dalla composizione della bevanda. La coca, infatti, fa ancora parte degli ingredienti della Coca Cola, ma è decocainizzata da un’industria chimica sotto il controllo di un’agenzia federale americana.

Immagine: Pubblicità del Vin Mariani, Jules Cheret, 1894.

User Avatar

Stefano Canali

Read Previous

La Coca divina pianta degli Inca

Read Next

La cocaina: primi studi ed applicazioni

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *