App per smartphone per predire e prevenire le ricadute nell’uso di droghe

Uno degli aspetti più importanti nel trattamento delle dipendenze, con particolare riferimento a quelle da sostanze d’abuso, è ovviamente quello di evitare gli episodi di ricaduta. Facile a dirsi, decisamente meno a farsi: si pensi che alcune recenti stime indicano che circa la metà di coloro che affrontano un percorso di disintossicazione interrompono l’astinenza nel primo anno dall’inizio del trattamento1; ciò accade perché i pazienti possono facilmente perdere interesse e continuità nei confronti delle tecniche apprese durante le prime fasi del trattamento di disintossicazione, o perché tali tecniche – molto efficienti in contesti strutturati e seguiti, come quelli in cui avvengono le fasi acute del trattamento-  perdono di efficacia nel contesto multifattoriale, ricco di stimoli ed imprevedibile che è la vita quotidiana di tutti noi.

“In caduta libera” – Tullio Crali, 1964

Per evitare il ritorno alla sostanza è quindi cruciale effettuare un costante monitoraggio dei fattori, interni ed esterni, che possono aumentare il rischio di ricadute: per fattori interni, in questo ambito, si intendono principalmente le sensazioni legate allo spasmodico desiderio di assunzione (il craving) e alle motivazioni che spingono verso l’assunzione, mentre i fattori esterni si configurano piuttosto come il substrato sociale (fatto di persone, luoghi, attività, circostanze) su cui la dipendenza può attecchire, e grazie al quale può rinascere.

Gli odierni strumenti di comunicazione, come ad esempio gli smartphone, possono rappresentare validi strumenti di monitoraggio, con cui effettuare, nell’ambiente in cui vive il soggetto, durante la sua quotidianità (in modo ecologico) e in maniera autonoma e istantanea delle misurazioni (Ecological Momentary Assessments, d’ora in poi EMA), come peraltro già accade per diverse patologie croniche (si pensi ai disturbi cardiovascolari, o al diabete) in cui è fondamentale il controllo costante di determinati valori. 

Secondo alcuni gruppi di ricerca, tuttavia, la forza degli EMA non si limita a un monitoraggio preciso, gratuito e facilmente ripetibile: l’altro elemento in cui gli le misurazioni ecologiche ed istantanee potrebbero essere utili sarebbe infatti quello di sviluppare un modello in grado di predire gli episodi di ricaduta, quantificando il rischio associato ai valori registrati, di volta in volta, dall’EMA.

Per testare questa ipotesi un team statunitense ha registrato le compilazioni degli EMA di 43 volontari nel corso di 6 mesi, monitorando l’eventuale assunzione di sostanze (i partecipanti facevano uso di una o più delle seguenti sostanze: alcol, marijuana, cocaina, eroina o altri oppioidi) attraverso test delle urine. Ma come funziona nello specifico una valutazione EMA? Il partecipante deve innanzitutto rispondere ad alcune domande (in questo caso2 costituite da 4 diverse checklist) per indicare le concomitanze ambientali in cui l’assessment aveva luogo (“con chi sei?”, “dove ti trovi?”, “cosa stai facendo/hai appena fatto?”, “come ti senti”). Poi è necessario indicare – attraverso un punteggio che va da 0 a 6- il grado con cui ognuno dei fattori elencati aumenti in lui/lei il desiderio di assunzione, e quanto invece venga considerato un supporto alla guarigione della dipendenza.  Ulteriori domande sono invece finalizzare all’acquisizione di informazioni riguardanti l’uso di sostanze nel periodo precedente la misurazione ecologica istantanea, la partecipazione o meno a programmi di recupero e/o di auto-aiuto.

Uno dei punti di forza di questo protocollo è il fatto di essere in linea con i fondamenti di uno degli approcci più validati nell’ambito del trattamento delle dipendenze, la teoria per la prevenzione delle ricadute (relapse prevention theory), elaborato da Marlatt all’inizio degli anni ’80. Secondo questa teoria è più utile concettualizzare la ricaduta come un processo dinamico e in divenire, che fa leva sulla continua neuroplasticità a cui sono sottoposti i circuiti neurali di un individuo dipendente in fase di recupero, piuttosto che considerarla un evento discreto, a sé stante3.

Gli interventi terapeutici che si sono sviluppati partendo da questi assunti hanno quindi fatto leva su approcci che enfatizzano il consolidamento di capacità cognitivo-comportamentali dei pazienti, piuttosto che considerare craving, cioè desiderio della sostanza, e crisi di astinenza come mere sintomatologie di uno stato patologico di fondo (come invece facevano gli approcci basati su modelli più tradizionali). Le teorie cognitivo-comportamentali enfatizzano invece l’importanza dei fattori contestuali (sia in termini di stimoli ambientali esterni, sia in termini di processi cognitivi in atto), in quanto prodromi di una ricaduta. Secondo questo approccio gli eventi di ricaduta sono infatti immediatamente preceduti da una situazione ad alto rischio, definita a livello generale come qualsiasi contesto che conferisca vulnerabilità al mantenimento dell’astinenza4. Esempi di questi contesti ad alto rischio sono particolari stati emotivi e/o cognitivi, contingenze ambientali, alterazioni degli stati fisiologici; inoltre è bene ricordare che nonostante alcune situazioni alto rischio siano pressoché universali ai diversi comportamenti di abuso e dipendenza, altri fattori possono variare sensibilmente a seconda della sostanza in oggetto, del diverso paziente e, addirittura, del momento in cui agiscono (variazione intra-individuale nel tempo).

I risultati dello studio confermano innanzitutto un dato piuttosto lapalissiano: che la propensione ad assumere la sostanza, ossia a sperimentare un episodio di ricaduta, derivi in larga parte dal consumo effettuato (o meno) il giorno precedente alla valutazione.  D’altro canto, i ricercatori sono riusciti anche a correlare lo stato emozionale negativo e il desiderio di assunzione al consumo precedente la misurazione ecologica istantanea. Nello specifico, il sentimento negativo correlava con un aumento del rischio per i partecipanti che non avevano assunto sostanze di recente; il desiderio invece correlava con un aumento del rischio per i partecipanti che avevano avuto una recente ricaduta.

Al di là delle singole correlazioni, tuttavia, l’aspetto più importante dello studio- lo ribadiamo- sta nella validazione di un metodo in grado di stimare il rischio di ricadute, individuando le situazioni potenzialmente più pericolose e al contempo riducendo il numero di “falsi allarmi”, uno tra gli elementi più nocivi quando si considera l’efficienza di molti interventi sociosanitari (in quanto comportano una dispersione di risorse, sia in termini strettamente economici sia di personale).

Marcello Turconi e Stefano Canali 

Riferimenti bibliografici: 

1- Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA, 2008). Treatment Episode Data Set (TEDS): 2005: Discharges From Substance Abuse Treatment Services: DASIS Series: S-41. Publication number SMA 08-4314

2-Scott CK et al (2018). Using Ecological Momentary Assessments to Predict Relapse after Adult Substance Use Treatment Special Issue of Addictive Behaviors

3- Marlatt GA et al (1980). Determinants of relapse: Implications for the maintenance of behavior change In: Behavioral Medicine: Changing health lifestyles. Davidson PO, Davidson SM, editor. New York: Brunner/Mazel.

4- Hendershot SC et al (2011).  Relapse prevention for addictive behaviors– Subst Abuse Treat Prev Policy. 6: 17.

 

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