Aggiogati alle droghe? La dipendenza tra sostanze e comportamenti appresi

La dipendenza come malattia del cervello causata dall’azione delle droghe

L’idea che la tossicodipendenza sia sostanzialmente causata dall’azione farmacologica di una droga o di una sostanza psicoattiva sul sistema nervoso centrale costituisce uno degli aspetti più caratterizzanti dell’attuale concetto di dipendenza come malattia. Più precisamente questa malattia sarebbe una patologia del cervello e una malattia cronica, cioè una condizione patologica da cui non si guarisce. Il modello concettuale della dipendenza come malattia cronica del cervello è riassunto perfettamente in un citatissimo articolo di Alan Leshner uscito nel 1997 su Science. All’epoca direttore del National Institute of Drug Abuse statunitense – il più grande ente mondiale per lo studio e l’intervento sulle tossicodipendenze -, Leshner scriveva che nei soggetti vulnerabili l’uso prolungato di droghe modifica le strutture e le funzioni del sistema nervoso centrale tanto da far scattare “un interruttore metaforico nel cervello” che porta alla “condizione di dipendenza, caratterizzata dalla ricerca e dall’uso compulsivo”[1] e sarebbero queste modificazioni indotte dalle sostanze nel sistema nervoso centrale che renderebbero cronica la tossicodipendenza.

È un concetto in cui variabili importanti nella determinazione del comportamento, come l’ambiente, le modalità d’uso delle sostanze, i valori attribuiti alle sostanze e al loro consumo – fattori cruciali nel tipo di rapporto che si sviluppa con una droga – sono invece visti come fondamentalmente irrilevanti. In questa prospettiva biomedica sembra che l’azione della sostanza sul cervello sia non soltanto, ovviamente, necessaria, ma anche sufficiente a determinare il passaggio dall’uso controllato, alla compulsione e alla perdita di controllo sull’uso, cioè la dipendenza.

Tra le tante ricerche di base, psicologiche e sociali che contraddicono questa prospettiva descriviamo in questo post il paradigma sperimentale degli animali aggiogati. Questo è un formidabile protocollo di ricerca proprio della neurofarmacologia comportamentale purtroppo poco conosciuto, anche a molti di coloro i quali lavorano nella ricerca e nella clinica delle dipendenze.

 

Il paradigma sperimentale degli animali aggiogati

Messo a punto già dal 1987 da James R. MacRae e Shepard Siegel, il paradigma sperimentale degli animali aggiogati tipicamente prevede due o più animali con ago endovena o con catetere intracerebrale, cioè una microcannula, che veicolano una sostanza psicoattiva (morfina, cocaina e altre droghe) direttamente nel sangue o nel cervello. Gli animali sono però posti in ambienti separati e soggetti a diverse modalità di somministrazione della sostanza. L’animale attivo può autosomministrarsi la sostanza imparando una qualche procedura, eseguendo un determinato lavoro, ad esempio premendo una leva o un bottone.  Si tratta in questo caso di un comportamento strumentale, cioè un insieme di azioni coordinate tese all’ottenimento di una forma di ricompensa. Gli animali aggiogati invece ricevono passivamente la stessa sostanza quando il primo si autosomministra, quindi nello stesso tempo e anche nella stessa dose.

Dopo alcuni giorni la somministrazione viene sospesa e gli animali vengono studiati dal punti di vista fisico e comportamentale. L’animale attivo tende sviluppare un consumo compulsivo, a diventare così dipendente. L’animale aggiogato invece va incontro a tolleranza e dipendenza fisica (sino a manifestare sintomi di astinenza), ma senza comportamenti compulsivi[2].

 

L’esposizione passiva a una sostanza può proteggere dalla dipendenza?

Come ha dimostrato uno studio condotto da Robert C. Twining e collaboratori, gli animali aggiogati alla somministrazione di cocaina possono addirittura presentare comportamenti avversivi verso la sostanza ricevuta passivamente. I ratti aggiogati tendono in questo caso ad evitare i luoghi in cui hanno ricevuto passivamente la dose di cocaina. Questi animali presentano così l’apprendimento condizionato di un comportamento avversivo che li porta ad essere protetti verso l’induzione di forme di dipendenza da quella stessa sostanza[3].

Gli studi sugli animali aggiogati inaugurati da MacRae e Siegel indicano così che il comportamento finalizzato è il principale elemento causale della dipendenza, non l’azione della sostanza sul cervello. La dipendenza sarebbe cioè l’esito di un apprendimento. L’apprendimento di un comportamento strumentale che, almeno nelle fasi iniziali, si è dimostrato capace di fornire una ricompensa, una qualche forma di gratificazione. Per questo la dipendenza non si stabilisce negli animali che subiscono la somministrazione della sostanza, una modalità di assunzione passiva e impredicibile, e come tale non suscettibile di apprendimento.

Stefano Canali

 

Riferimenti bibliografici

[1] Leshner AI. Addiction is a brain disease, and it matters. Science. 1997 Oct 3;278(5335):45-7.

[2] MacRae JR, Scoles MT, Siegel S. The contribution of Pavlovian conditioning to drug tolerance and dependence. Br J Addict. 1987 Apr;82(4):371-80; Macrae, J. R. and Siegel, S. Differential effects of morphine in self-administering and yoked-control rats. In: Psychotropic Drugs of Abuse, Balfour, D. J. K. (Ed.), Pergamon, New York, 1990, p. 81; MacRae JR, Siegel S.The role of self-administration in morphine withdrawal in rats. Psychobiology. 1997 March; 25(1):77–82.

[3] Twining RC, Bolan M, Grigson PS. Yoked delivery of cocaine is aversive and protects against the motivation for drug in rats. Behav Neurosci. 2009 Aug;123(4):913-25.

 

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2 Comments

  • per la verità i due paradigmi e cioè autosomministrazione (contingente) vs somministrazione passiva (non contingente) finiscono con attivare un overflow di dopamina in due parti distine del nucleo accumbens: la prima nella shell dell’accumbens che è una struttra che appartiene all’amigdala estesa che viene attivata nei rinforzi positivi come effetto edonistico e gratificane, legata all’autosomministrazione (consumo per gli umani, azione della levetta per gli animali da esperimento; la seconda al core che è parte dello striato ventrale localizzato nell’ambito dei nuclei della base., adibito al processo motorio della gratificazione che facilita l’acquisizione di una nuova gratificazione nel futuro. L’attivazione della shell può coinvolgere il core e viceversa a seconda anche della tipologia della stimolazione dei neuroni della dopamina (fasica o a picco). Per esempio nel fumatore, la prima sigaretta del mattino sembra stimolare maggiormente la shell dell’accumbens, mimando una somministrazione contingente, mentre quando i recettori nicotinici dell’acetilcolina sono desensibilizzati (già alla terza sigaretta completamente) le altre stimolano il core dell’accumbens in un paradigma di habituation di tipo associazione con stimoli secondari pavloliani simile al modello di stimolazione non contingente.

  • ecco il riferimento bibliografico di quanto sintetizzato : Malenka, Nestler and Hyman et al. 2009 molecular neuropharmacology : a foundation for Clinical Neuroscience 2nd edition McGraw Hill medical ed. pp. 147-148.

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