Ristrutturare l’elaborazione della ricompensa con tecniche mindfulness nelle dipendenze

Stress, dolore cronico e dipendenze hanno una radice comune: una “disregolazione omeostatica edonica”, cioè uno sbilanciamento qualitativo e quantitativo del circuito del piacere e della ricompensa cerebrale. Nelle dipendenze patologiche, in particolare, si evidenzia uno squilibrio del sistema edonico che rende progressivamente insensibili ai piaceri comuni, e porta a dipendere da quelli indotti dalle sostanze. Esistono diverse tipologie di intervento indirizzate a ristabilire il normale funzionamento del circuito del piacere per curare le dipendenze, e tra queste una delle più promettenti è la cosiddetta Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement, o MORE, un paradigma di cui Eric Garland, psicologo della University of Utah, descrive il razionale scientifico, successi e prospettive future in un articolo pubblicato sugli Annal of the New York Academy of Sciences.

La percezione di ricompense e punizioni negli stimoli ambientali, spiega Garland, è una funzione cerebrale fondamentale per adattarsi all’ambiente, che attraverso l’attivazione dei circuiti della dopamina e degli oppioidi nelle aree mesolimbiche permette di mettere in pratica i comportamenti più adeguati alla situazione: ricercare una fonte di piacere, come il cibo, e fuggire da un pericolo.

Nell’essere umano queste funzioni sono mediate però da processi cognitivi che attribuiscono valori agli stimoli: positivi per il piacere, e negativi al dolore. Studi clinici e preclinici hanno dimostrato che questi due estremi sono processati da una serie di circuiti cerebrali interconnessi, che rappresentano la “valuta” delle emozioni nel cervello: il piacere (o la sua assenza) è la moneta con cui il sistema nervoso valuta motivazioni in costante competizione, e determina quindi la messa in pratica o meno di un dato comportamento. Nell’uomo, questa attribuzione di valori è mediata da processi cognitivi di ordine superiore, che permettono di rimodellare (consciamente e inconsciamente) la propria esperienza edonica: trasformare il dolore in piacere, come può capitare durante intensi sforzi atletici, o l’amore in odio, al termine di una relazione sentimentale.

Allo stesso tempo, però, questo processo di apprendimento di valori che ci permette di valutare e modificare i nostri desideri può diventare “disregolato”, o sbilanciato. È quello che accade nelle dipendenze: si diventa progressivamente insensibili agli stimoli positivi “sani”, e sempre più sensibili alla gratificazione procurata dalle sostanze psicoattive. Accanto a questo slittamento del sistema edonico, nelle dipendenze è coinvolto inoltre anche un secondo fenomeno: l’impossibilità di controllare le abitudini, o schemi comportamentali, collegate all’assunzione di una sostanza. La causa è di un malfunzionamento dei circuiti cerebrali che dovrebbero permettere il controllo cosciente e la soppressione degli schemi comportamentali automatici, che sono contenuti nei circuiti dell’abitudine presenti nello striato, un complesso insieme di nuclei alla base del cervello.

ideogramma di “Sati” la parola della lingua Pali che è stata tradotta nell’inglese Mindfulness

La strategia di intervento MORE è pensata per agire contemporaneamente su entrambi i fronti. Per farlo, combina l’utilizzo della mindfulness alle tecniche della cosiddetta “Third Wave” delle terapie cognitivo comportamentali, e principi della psicologia positiva. La meditazione mindfulness nel metodo MORE viene utilizzata per interrompere gli schemi comportamentali coinvolti nel consumo di sostanze, e promuovere il corretto processo di valutazione dei valori edonici. Fondamentalmente, il paziente è spinto a imparare da capo cosa è importante nella vita, e cosa non lo è.

Dopo aver appreso le tecniche base della mindfulness, ai pazienti vengono insegnati esercizi di contemplazione più avanzati (non utilizzate da altre strategie di intervento simili), pensati per ristrutturare i processi di valutazione che provocano la dipendenza, e per imparare a “gustare”, i piaceri naturali attraverso tecniche di mindful savoring, cioè di assaporamento consapevole,.

Fino ad oggi, scrive Garland, la strategia MORE è stata sperimentata in tre studi clinici randomizzati. Il primo, svolto su 53 alcolisti in cura in una struttura residenziale, e ha dimostrato che la tecnica è in grado di diminuire lo stress e il thought suppression (pensieri ricorrenti che devono essere costantemente soppressi), e di migliorare la variabilità del battito cardiaco in condizioni di stress e alla vista dell’alcol. Un secondo trial su 115 pazienti con una dipendenza da antidolorifici oppiodi ha dimostrato che il gruppo sottoposto a MORE ha sviluppato una maggiore tolleranza allo stress e al dolore, un minore desiderio di assumere le sostanze, e ha avuto più pazienti che al termine della terapia non rientravano più nei criteri diagnostici per l’abuso patologico di oppioidi L’ultimo studio, effettuato su 180 pazienti psichiatrici con una concomitante dipendenza, ha valutato l’efficacia di MORE comparandola a quella di una terapia cognitivo comportamentale, e ha dimostrato la maggiore efficacia della nuova terapia rispetto a quella più tradizionale.

Per valutare correttamente l’efficacia della terapia MORE, ammette però Garland, serviranno ulteriori ricerche svolte su campioni di pazienti maggiori, e su un più ampio numero di disturbi e dipendenze. E bisognerà metterla alla prova confrontandola con altre terapie basate sulla Mindfulness, e con strategie di intervento basate su dati empirici, per stabilire se offre vantaggi terapeutici sulle strategie della evidence based medicine.

di Simone Valesini

edited Stefano Canali

Riferimenti bibliografici

Garland, Eric L. (2016) Restructuring reward processing with Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement: novel therapeutic mechanisms to remediate hedonic dysregulation in addiction, stress, and pain. Annals of the New York Academy of Sciences, 1373: 25-37.

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